Game of Thrones 4×03 – 4×04: la recensione
Chi ha ucciso re Joffrey? Questo l’interrogativo dietro al quale si sviluppano il terzo e il quarto episodio della stagione 4 di Game of Thrones, Breaker of Chains e Oathkeeper, con la ripresa del cliffhanger che aveva reso il finale dell’episodio precedente uno dei più memorabili dell’intera serie.
Il colpevole è Tyrion, pensa Cersei, che fa subito catturare l’odiato fratello minore, mentre Lord Tywin ordina l’arresto di Sansa, a suo avviso complice nel delitto. La giovane Stark, aiutata a fuggire fino a una nave ancorata fuori dal porto da ser Dontos, scopre con terrore l’identità del mandante di quest’ultimo: Lord Baelish, pronto a usarla per i suoi scopi, e a pagare col ferro l’ex cavaliere a missione finita. Un inizio degno di un feuilleton, con tanto di fanciulla in pericolo vittima di cattivoni (l’inflessione irlandese di Aidan Gillen rende il personaggio di Ditocorto più eccessivo e romanzesco che mai). Nell’episodio 4×04, lo stesso Baelish rivela a Sansa di aver preso parte al complotto per uccidere Joffrey – ma di essere al riparo da ogni accusa in quanto in apparenza privo di movente (a differenza di lei) – per fare un favore ai suoi nuovi amici potenti.
Amici che “crescono forti”, come i Tyrell: non a caso, durante una delle sue solite conversazioni con la nipotina Margaery, nonna Olenna dice a quest’ultima che non l’avrebbe mai lasciata sposare col biondino psicopatico. E c’è tutta l’astuzia di un cardinale Richelieu al femminile nella recitazione sorniona di Diana Rigg, a cui fa da perfetto contraltare l’ingenuità (soltanto apparente) della duckface Natalie Dormer. Tanto ingenua che, poco dopo, su consiglio della nonna, la troviamo a far visita in camera da letto al giovane erede al trono Tommen, gettando le basi di quel “rapporto speciale” che dovrà instaurarsi fra i due in attesa di una nuova vedovanza della ragazza.
Nel frattempo, i Lannister si raccolgono al capezzale di Joffrey. Dopo aver catechizzato il giovane Tommen sulle doti di un buon re (“Un giovane re saggio ascolta i propri consiglieri e segue i loro consigli”), nonno Tywin fa visita al bordello a Oberyn Martell, dando vita a un vero capolavoro diplomatico (e Charles Dance, con la sua recitazione soave, rende il momento assai piacevole): smentito “categoricamente” il proprio coinvolgimento nello stupro-omicidio di sua sorella, scaricando sulla Montagna tutte le responsabilità, il vecchio Lannister propone a Oberyn di prendere parte, in qualità di terzo giudice, al processo a Tyrion, allontanando così ogni sospetto di regicidio dal focoso principe e gettando al tempo stesso le basi per una possibile alleanza con i nemici storici.
Cersei chiede al fratello-amante di uccidere il folletto prima del processo. “Sei una donna piena di odio. Perché amo una donna così piena di odio?” replica Jaime, dopodiché, nella prima sequenza veramente WTF di questa stagione, possiede con la forza la riluttante sorella, non più tanto intima con lui, accanto al cadavere del figlio morto: una sequenza decisamente fuori luogo, che non solo conferma il sospetto che, troppo spesso, si punti sul binomio sesso-violenza per giustificare scelte narrative assai discutibili, ma stride anche con l’evoluzione del personaggio di Jaime, ormai non più solo sterminatore di re e uomo senza onore e senza scrupoli, ma anche salvatore di fanciulle e uomo di una certa caratura morale.
L’episodio 4×04 sembra fortunatamente confermare quest’ultima tendenza quando, spronato da Bronn, Jaime va a trovare Tyrion in carcere, dando vita a un dialogo alquanto spassoso: i due Lannister, già accomunati dalla menomazione fisica, sembrano infatti solidarizzare e fidarsi l’uno dell’altro, soprattutto ora che su entrambi pesa un’accusa infamante (“I fratelli sterminatori di re! Ti piace?” ironizza il nano, dimostrando di non aver perso il sarcasmo che lo caratterizza da sempre). Il ruolo di antagonista in famiglia è quindi riservato a una Cersei ormai sempre più alcolizzata, che prima rimprovera Jaime per non aver ucciso Tyrion, poi gli ordina di portargli la testa di Sansa Stark, in un delirio di rancore etilico che Lena Headey interpreta con grande efficacia.
Le sequenze con Arya e il Mastino si rivelano sempre più uno dei punti forti della quarta stagione (grazie anche all’umorismo offerto dall’interpretazione all’insegna dell’understatement di Rory McCann), cementandosi fra i due un rapporto quasi di padre-figlia, con la piccola Stark che rimprovera il compagno di viaggio dopo che questi ha derubato il contadino che li aveva ospitati e offerto loro un lavoro da sorveglianti per la fattoria: “È un debole, non sarebbe sopravvissuto all’inverno” sentenzia il cinico ex-cavaliere “Io ho solo capito com’è che vanno le cose… Quanti Stark devono venire decapitati prima che lo capisca anche tu?”. Un’educazione alla vita da strada agli antipodi di quella impartita alla piccola Stark dall’idealista Eddard, a dimostrazione che, nel mondo di Martin, non c’è posto per il buonismo.
Colei che spezza le catene è invece, ovviamente, Daenerys: giunta con il suo esercito alle mura di Meereen (la cui architettura ricalca chiaramente l’antico Egitto, con gigantesche piramidi e la statua di un’arpia al posto della Sfinge), come sempre esorta gli schiavi locali alla ribellione. Affidato a Daario il duello con il campione della città, di cui il guerriero si libera come Davide con Golia, la Khaleesi fa catapultare al di là delle mura sacche contenenti i collari degli schiavi da lei liberati e, con l’aiuto di Verme Grigio e dei suoi Immacolati che, penetrati all’interno delle mura, forniscono le armi agli schiavi locali, dà l’avvio alla rivolta (con il motto “Kill the Masters” scritto sul muro col sangue dei padroni). La scelta registica abbastanza discutibile di lasciare fuori campo la rivolta è riscattata dalla forza visiva della scena successiva, in cui Daenerys, messo da parte l’invito alla moderazione del saggio Barristan Selmy, in risposta ai centosessantatre schiavi crocifissi sulla strada, fa crocifiggere altrettanti schiavisti, mentre in cima alla piramide di Meereen sventola il vessillo dei Targaryen. Una sequenza dal grande respiro epico in cui la Khaleesi, nonostante la giovane età, si conferma forse la più temibile e determinata fra i pretendenti al Trono di Spade.
La determinazione è la caratteristica di un’altra donna, Brienne, a cui Jaime affida la ricerca di Sansa (scelta che, da un lato, preserverebbe la vita della giovane Stark, e dall’altro allontanerebbe la guerriera da eventuali vendette della gelosissima Cersei). Con l’occasione, l’uomo le fa dono della spada di Valyria ricevuta dal padre, a cui Brienne dà il nome di “Giuramento” (quello del titolo). La partenza di Lady Tarth, responsabile in buona parte della sua redenzione, apre nuovi orizzonti sulla figura di Jaime: ricadrà di nuovo nelle trame della sorella e del padre, o saprà mantenere un senso dell’onore troppo a lungo dimenticato?
Intanto, a Nord, assistiamo a un massacro compiuto dai Bruti in un villaggio di pastori, inaugurato da una freccia piantata da Ygritte nel collo di un malcapitato. L’unico sopravvissuto, un bambino, riferisce il fatto ai Guardiani della Notte, e qui Jon Snow dimostra, per una volta, di saperne più degli altri: i Corvi ribelli sono ancora rifugiati da Craster, e se i Bruti li troveranno per primi verranno a conoscenza della scarsità di uomini alla guardia del confine, e la loro avanzata sarà inarrestabile. Jon si offre quindi di guidare una spedizione di volontari (alla quale prende parte anche Locke, infiltrato per conto di Lord Bolton) oltre la Barriera volta a stanarli, convinto anche di poter trovare il fratellastro Bran, per la gioia del comandante provvisorio Alliser Thorne, che confida nel suo non ritorno. Il coraggio e l’eroismo degli Stark, sembrano suggerirci gli sceneggiatori, viaggiano di pari passo con la loro avventatezza strategica, e in entrambi i campi Jon dimostra di aver ereditato in pieno le doti di famiglia.
L’episodio 4×04 raggiunge il climax al di là della Barriera, con la ripresa di un personaggio appena abbozzato nella terza stagione, Karl Tanner, capo dei Corvi ribelli e talmente feroce da far rimpiangere Craster alle sue figlie-spose: prima lo vediamo bere vino dal teschio di Jeor Mormont e impartire ordini deliranti ai suoi uomini (“Scopatele fino a ucciderle”), poi catturare Bran e il suo gruppo, pianificando di usarli come pedine di scambio. Una sequenza ricca di tensione e violenza (non ci viene risparmiata neanche la tortura al povero Hodor), che rende finalmente interessanti le altrove soporifere vicende del giovane metamorfo, e si riallaccia perfettamente al lato più orrorifico della saga, quello degli Estranei, che ben si inseriscono nell’atmosfera inquietante innescata dalla caratterizzazione di Burn Gorman. Ed è proprio sul destino dell’ultimo figlio maschio di Craster, catturato da un Estraneo, che si chiude un episodio fra i più dark dell’intera serie, decisamente riuscito.
Ormai divenuta una delle serie più seguite di sempre, Game of Thrones in questa quarta stagione dimostra che i pochi difetti strutturali – numero di personaggi sempre crescente e, di conseguenza, eccessiva frammentazione della trama – non compromettono se non minimamente l’interesse della vicenda, che comunque si mantiene altissimo in quasi tutti i segmenti (in questo caso, pleonastico quello di Sam e Gilly e non proprio esaltante quello di Stannis e Davos, ancora in fase di assestamento), e l’accuratezza della regia dimostra di superare con facilità alcune scelte poco convincenti con un senso di coralità che rasenta l’eccellenza.
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