Breaking Bad 5×13: la recensione
Succede di tutto in To’hajiilee, episodio al cardiopalma che si presenta nettamente diviso in due parti: nella prima si predispongono trappole, inganni e sotterfugi; nella seconda si smette letteralmente di respirare, mentre Gilligan fa di noi ciò che vuole. Lo sapevamo, che in questa seconda parte di stagione Vince non ci avrebbe risparmiato nulla, e To’hajiilee è l’ennesimo pugno nello stomaco, l’ennesima discesa verso l’inferno dove i personaggi si stanno vicendevolmente tirando giù.
Walt mette in pratica ciò che ha elaborato in Rabid Dog: si incontra con la gang di Todd – non a caso protagonista della scena iniziale insieme a Lydia, a ribadire quanto siano poco inclini agli ordini, come verrà tragicamente confermato dal finale – stabilisce cosa fare e accetta l’inaspettato scambio proposto da zio Jack. In cambio del compito assegnato, Walt cucinerà un’ultima volta, in modo da insegnare al diligente allievo Todd come dare quel tocco di blu, tanto desiderato da Miss Lydia, che è ormai il brand del prodotto. Nel frattempo anche Jesse ha un piano: puntare ai soldi di Walt per tendergli una trappola. Per metterlo in atto Hank e Gomez si fanno aiutare dal povero Huell, il quale, invero un po’ ingenuamente, si fa abbindolare dalle minacce dei due poliziotti e vuota il sacco su furgone e barili di soldi. Walt invece cerca un modo per far uscire allo scoperto Jesse, e non riesce a pensare ad altro che tornare all’origine di quella rabbia sacrosanta e incontrollabile: Brock. Ma una volta tanto Jesse è un passo avanti: nell’esposizione dei punti deboli, il piano di Walt fallisce miseramente, mentre funziona insospettabilmente bene quello di Jesse e Hank.
La misura dell’esasperazione di Walt braccato è data dall’ansia con cui si precipita nel deserto, dalle parole urlate a un Jesse insolitamente diretto e quasi tranquillo al telefono, dalla dimenticanza di un piano di backup. E’ la fiducia sconfinata che, nonostante tutto, nutre per Jesse (e che lo fa inalberare quando i nazisti insinuano che sia “a rat”) a farlo agire precipitosamente e a cadere nella trappola orchestrata con Hank e un paio di pessimi fotomontaggi.
Nonostante ormai tra vita familiare e criminale la separazione si sia erosa totalmente (a sancire la mutazione il discorso di Skyler in Rabid Dog), la rocambolesca corsa in macchina torna a tracciare un confine tra il castello di menzogne e l’inizio della resa dei conti, tra Walter White e Heisenberg. Ma ora più che mai Walt è Heisenberg, e soprattutto è una maschera smascherata, battuto col suo stesso tipo di gioco: la manipolazione, lo scambio, il fakin’ it. La corsa, le grida al telefono e poi il silenzio. La potenza di questa lunghissima sequenza nella riserva di To’hajiilee non ha eguali: il pesante senso di inevitabilità di ciò che sta per succedere, la dilatazione temporale, la lentezza dei gesti contribuiscono all’epicità che deve necessariamente accompagnare l’arresto di Walt. Non è da Walt consegnarsi, ma la lacrima rivela la consapevolezza di aver perso, di essere giunto alla fine: la voce di Hank scandisce gli ordini di rito (“Drop it!” – “Hands up!”), le inquadrature oblique fanno giganteggiare i protagonisti, ed è obbligatorio il primo piano sulla manetta che stringe il polso. E non importa la comprensibile strafottenza di Hank, la sua incontenibile soddisfazione: è una cosa tra Walt e Jesse, e in quello sguardo carico di rabbia (“coward”), ma anche di amara delusione, in risposta allo sguardo di Jesse colmo di lacrime di incredulità, c’è ancora, nonostante tutto, la traccia di un legame impossibile da cancellare.
E’ tutto talmente memorabile che si dimenticano tranquillamente certe vaghe stonature: una certa casualità di comodo che fa sì che Walt faccia giusto in tempo a dare le coordinate ai nazi prima di annullare l’operazione, o che questi arrivino decisamente troppo velocemente, o che Hank chiuda Walt nell’auto giusto prima che si scateni un inferno di pallottole. L’arrivo dei nazisti è altamente prevedibile, ma proprio per questo la sequenza è capace di gettare anche il più impassibile degli spettatori nell’angoscia più totale: sappiamo che ogni attimo della chiamata di Hank a Marie, ogni pacca sulla spalla in più con Gomez, ogni secondo di ritardo sul fuggire via da lì avrà conseguenze disastrose. In uno dei cliffhanger più crudeli dell’intera serie, l’episodio ci lascia a rimuginare con angoscia su chi ci lascerà le penne e chi si salverà, ripensando a quella telefonata di Hank a Marie che sa tanto di addio, ma proprio perché troppo spesso cliché premonitore di morte, forse è insignificante nel mondo di Breaking Bad. E Jesse riuscirà a scivolare fuori dalla macchina? L’unica cosa certa è che Walt arriverà sotto falso nome al suo cinquantaduesimo compleanno, ma chissà come. Il resto è un adrenalinico punto interrogativo che, comunque vada, ci farà stare entusiasticamente male.
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Scritto da Chiara Checcaglini.