Breaking Bad 5×12: la recensione
Comincia così, Rabid Dog, con un rallentamento che sembra sottintendere una riconciliazione, un passo indietro rispetto agli sviluppi della scorsa puntata: Jesse si è fermato prima di appiccare il fuoco, Walter lo ringrazia alla segreteria con il tono manipolatorio e accondiscendente che lui – e noi tutti – ormai tolleriamo a fatica, il momento di crisi sembra rientrato. Ma niente è come sembra e tutto l’episodio gioca sull’equivoco e sull’incertezza, come se la materia, guidata da una forza attrattiva superiore, dovesse per forza muoversi in una data direzione, suo ineluttabile destino. E tutto, in questo orizzonte, suona beffardamente, come una domanda giusta rivolta nel modo sbagliato o alla persona sbagliata.
A partire da quella dell’unico inconsapevole rimasto, Walter Jr.: Dad, please, can you just tell the truth? e almeno un secondo di panico l’avrà provato anche Walter, arrabattandosi per giustificare l’odore di benzina lasciato dall’incursione di Jesse. Certo, il figlio – anima bella – fa riferimento ancora una volta al cancro, argomento passe-partout di ogni momento critico delle ultime puntate, ma la domanda non può che risuonare evocativa, tanto più alle orecchie della ormai ben scaltra Skyler.
Ma nonostante Walter continui caparbiamente a dire tutto tranne che la verità, sempre più rappresentazione del male assoluto, nel braccio di ferro col mondo esterno in cui ogni crimine diventa semplicemente a move, l’attenzione finisce per scivolare lentamente sull’altro polo, Jesse, che come in un’epifania collettiva appare improvvisamente la vera causa del problema. La domanda, già da un po’ nell’aria, si concretizza prima nella “ipotesi Old Yeller” ventilata da Saul: Jesse è ormai un rabid dog che deve essere eliminato per il suo stesso bene. Segue l’agghiacciante dialogo con Skyler che chiede con preoccupazione, a proposito di Jesse, So he has never hurt anybody? proprio all’uomo che ha ucciso dieci uomini in due minuti – per citare solo una delle ultime imprese – e conclude serafica We’ve come this far for us. What’s one more? E paradossalmente Walter si trova a recitare la parte del buono, dicendo prima a Saul di non azzardarsi a proporre soluzioni violente, sostenendo con forza che il ragazzo non è una minaccia, lasciando a Jesse messaggi che cominciano a sembrare quasi sinceri, espressione di un legame, di un desiderio di averlo al suo fianco che è forse l’unica cosa rimasta autentica dall’inizio della vicenda.
Osservazione, questa, che ci offre lo stesso Hank alla fine della testimonianza rilasciata dal ragazzo alla presenza di Gomez. Perché, come scopriamo con un flashback, quello di Jesse, tanica alla mano, non è stato affatto un ripensamento riconciliatorio, ma il frutto dell’intervento di Hank che ha convinto il ragazzo a collaborare con lui per incastrare il cognato. Ed è proprio l’atteggiamento di Hank il particolare più inquietante, la riconferma ultima che nessuno è salvo, quando di fronte alle perplessità di Gomez sui rischi che potrebbe correre Jesse nell’incontro con l’ex socio, sbotta con insofferenza, interessato solo a registrare l’eventuale conversazione e incastrare così Walter. Un altro gioco di potere che si consuma ben lontano da ogni orizzonte morale. E nell’intreccio di piccole e grandi meschinità, di volontà deboli, confuse, egocentriche, riconquista la scena quel destino tragico che sembra suggerire l’ineluttabilità del male. Perché forse Hank ha ragione e il rapporto tra Walter e Jesse, seppur manipolatorio, si è preservato da certe degenerazioni e in fondo Walter vuole solo proteggerlo. Ma basta un equivoco, un uomo – particolarmente trucido, in verità – che si aggira con fare sospetto nel luogo dell’appuntamento, a convincere Jesse che sia tutta una trappola e a spingerlo a fare la telefonata che cambierà il corso degli eventi con le minacce, questa volta chiare e inequivocabili, alla famiglia di Walter. Una nuova mutazione in Heisenberg, a questo punto, sembra inevitabile. E chissà che ruolo avrà Todd che, muovendosi sulla scena con brutale discrezione, si è ritagliato un posto d’onore all’inferno, braccio destro del diavolo. Un triangolo – fratricida? patricida? – che si apre sull’ignoto.
Scritto da Barbara Nazzari.
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