La Grande Bellezza: la recensione
“Non trova imbarazzanti certe figure che lei dipinge in modo così grottesco?” – “Non provo imbarazzo, anzi. Io trovo anche una recondita bellezza nel frequentare persone squallide o considerate non interessanti“. Paolo Sorrentino su La Grande Bellezza.
La coppia Paolo Sorrentino – Toni Servillo porta sul grande schermo la storia di Jep Gambardella (Servillo), scrittore sessantacinquenne in “pausa creativa”, sorta di paradossale Arbiter Elegantiae e re dei mondani. Jep, emigrato a Roma in giovane età per godere della celebre movida romana, ha “segnato la letteratura italiana” con un libro adolescenziale che lui stesso considera futile. Ma è successo tutto troppi anni fa, e oggi Jep vive grazie a un lavoro di intervistatore e giornalista, conducendo un’esistenza frivola e flaneuse, tra coetanei e amici di lunga data come Romano, sfortunato autore teatrale interpretato da un Carlo Verdone mai così malinconico.
L’incipit del film, dedicato alle feste di Jep, è certamente potente e cattura l’attenzione dello spettatore con lunghe sequenze dal ritmo ipnotico (Chi non batteva i piedi in sala con Raffaella Carrà?!? A far l’amore comincia tu! – Che verso di grande bellezza!). Le sfrenate feste romane, dal sapore tribale e animalesco, appena suggerite ne Il Divo, vengono qui esaltate rappresentando tutta la volgarità e cafonaggine di una Roma che sembra uscita dalle pagine del Satyricon di Petronio. Si tratta di una sorta di grottesco acquario delle mostruosità, popolato da adepti del botox, cinquantenni che si atteggiano a teenager, ballano e bevono fino allo sfinimento, mentre le notti bruciano nei bicchieri di mojito e tra le strisce di cocaina nei bagni. E’ in una di queste notti che Jep, evadendo soltanto per un attimo dai salotti romani, incontra Ramona (Sabrina Ferilli), affascinante spogliarellista, dal carattere genuinamente romanesco. Un personaggio particolarmente riuscito che, come quello dello stesso Verdone, dimostra quanto il cast funzioni, spesso reinventando attori considerati familiari dal pubblico e facendoli apparire attraverso un’ottica inedita. Anche la narrazione non è istituzionale: il film subisce divagazioni e cesure temporali, scomponendosi per poi ricomporsi continuamente, in una perpetua ricerca di unità (con trovate a volte eccessive).
Tuttavia, ciò che ne La Grande Bellezza colpisce maggiormente è la descrizione straniante che Sorrentino opera della realtà odierna, nella quale sembrano esistere solo cinismo, solitudine e l’essere miserabili. Una realtà universale dove i trenini festaioli sfrenati e l’esistenza stessa sembrano non portare da nessuna parte, se non verso la definizione, sempre più violenta, dell’insensatezza della vita umana. In effetti, come dichiarato da Sorrentino, sembra che il suo sia il tentativo di rappresentare non tanto la specificità romana, quanto invece l’universale tema del male di vivere e le domande che ci affliggono quotidianamente: «Quel che mi premeva forse mostrare è la bellezza della fatica di vivere. Il film contiene in sé tutte le domande che ci poniamo ogni giorno, i perché… Jep non trae più piacere da nulla, neppure dal sesso. Ha un età (65 anni) in cui non si può più credere di poter essere felici…».
Eppure una bellezza è forse ancora possibile, anche per Jep. Infatti, oltre all’eccesso del pacchiano notturno esiste una realtà diurna e solare, capace di schiudere, anche grazie a impianti teatrali classici, guizzi di bellezza immortale che danno speranza, anche quando la morte o la corruzione morale sembrano macerare ogni cosa attorno al protagonista. In questo contesto, le sonorità risultano particolarmente adatte a marcare la dicotomia tra giorno e notte, tra armonia e caos, tra cori classicheggianti e musica da discoteca. La Grande Bellezza è infatti un film di impatto, nel quale la domanda di fondo resta la ricerca di una bellezza “grande e vera” nella difficoltà del vivere quotidiano, spesso soffocata dalle chiacchiere mondane e dalla miseria umana dell’uomo sociale.
“Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato é interamente immaginario. Ecco la sua forza. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi…” . Céline.
Scritto da Massimiliano Lollis.
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