Warm Bodies: la recensione
Data l’uscita nel periodo post-meyeriano e la tematica dell’amore “interspecie”, viene automatico collocare Warm Bodies fra i candidati più papabili all’ambito (?) titolo di successore della saga di Twilight. Ma mentre l’erede più probabile, Beautiful Creatures (in arrivo il 21 febbraio), sceglie di giocare rigorosamente secondo le regole del filone, fortunatamente la pellicola di Jonathan Levine con Nicholas Hoult e Teresa Palmer punta tutto sull’autoironia e sulla parodia, riuscendo a offrire novantasette minuti di svago spensierato, pur con i limiti strutturali dettati dalle pratiche auto-satiriche.
Basato sull’omonimo romanzo di Isaac Marion, Warm Bodies porta all’eccesso le dinamiche rappresentate da tanti prodotti contemporanei del supernatural romance adolescenziale: non solo l’amore può valicare il confine fra la vita e la (non)morte, ma la potenza del sentimento riesce persino a ripristinare il battito cardiaco, nonché a invertire l’abbrutimento fisico e psicologico, a restituire la favella e la capacità di discernimento. Si prospetta quindi un cambiamento inaudito nell’eterno presente post-apocalittico dell’aeroporto in disuso su cui si apre il film, con canonici branchi di zombi che si aggirano lentamente in cerca di carne umana e comunicano a grugniti, nel migliore dei casi.
In una scena che miscela The Hunger Games e Resident Evil, un gruppo di ragazzi inviato dai responsabili dell’ultima, fortificatissima enclave umana (con evidenti riferimenti al muro di Berlino) cerca di recuperare farmaci in territorio nemico. Sin da questo momento il film esplicita la cifra parodica che lo distingue: durante l’assalto alla task force il giovane zombi R si ciba del cervello del ragazzo umano Perry (Dave Franco, fratello minore di James), assorbendone involontariamente i sentimenti nei confronti della bella fidanzata Julie Grigio. L’istinto primordiale si coniuga quindi con un barlume di percezione dei nessi di causalità: R salva Julie e la porta nel proprio aereo/rifugio, suggerendole come mimetizzarsi con un indicibile sforzo fonatorio (“Fai la morta”).
La curiosa convivenza forzata in realtà non mira più di tanto all’esplorazione della diversità, come si sarebbe portati a pensare; la dicotomia cruciale non è tanto fra le due “casate” (nonostante abbondino i riferimenti a Romeo e Giulietta), quanto fra la teenage angst di un cervello e di un cuore in ripresa e la fisicità anestetizzata di un corpo in decomposizione. Le difficoltà di comunicazione diventano poi pretesto per gustose scene che fanno il verso ai survival horror e ai road movie (con un’atmosfera fra The Road, 30 Giorni di Buio e Thelma e Louise), nonché per un uso narrativo della notevole colonna sonora, ricca di grandi interpreti, dai Guns ‘n’ Roses a Bob Dylan, da Bruce Springsteen agli Scorpions.
La scoperta della reversibilità della zombi-tudine attraverso l’amore amplificherà poi le dinamiche di coppia in una battaglia fra i due schieramenti prima rivali e poi uniti dai battiti cardiaci e soprattutto dall’aver trovato un nemico comune, gli Ossuti, ex-zombi privi di qualsiasi retaggio di umanità (che si sono letteralmente strappati di dosso coi brandelli di carne) e negazione tangibile di quell'”aiutati che il ciel t’aiuta” che continua ad alimentare l’American Dream. Da sottolineare l’uso voluto e irriverente degli effetti speciali à la Siamo Fatti Così, con cui Breaking Dawn Parte 1 aveva invece distrutto quel poco di willing suspension of disbelief che poteva aver conservato.
Più deludente, invece, la sceneggiatura, che cerca di puntare sul paradosso, ma non sempre riesce a lasciar trasparire l’intento parodico, almeno nella versione doppiata (“Ehi, ma devi proprio mangiare le persone?”; “Signore, Sua figlia è col cadavere”). Fortunatamente i dialoghi malriusciti vengono compensati da un buon voice-over (è R stesso a raccontare la storia, espediente resosi necessario nella trasposizione audiovisiva) e soprattutto da un cast di tutto rispetto che brilla per motivi molto più rincuoranti rispetto a quelli di Robert Pattinson. Ritroviamo infatti Nicholas Hoult, child actor di About a Boy, ma soprattutto apprezzato interprete di Tony Stonem nelle prime due stagioni di Skins. Non è da meno la bionda Teresa Palmer, giovane attrice australiana già interprete dell’intenso 2:37 e del delicato I ragazzi di Dicembre, al fianco di Daniel Radcliffe. Bonus aggiuntivo: il ruolo del bad-guy-con-possibilità-di-redenzione spetta nientemeno che a John Malkovich. To un-die for.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Thomas M. | ||
6 |
Data l’uscita nel periodo post-meyeriano e la tematica dell’amore “interspecie”, è automatico collocare Warm Bodies fra i candidati più papabili all’ambito (?) titolo di successore della saga di Twilight. Ma mentre l’erede più probabile, Beautiful Creatures (in arrivo il 21 febbraio) sceglie di giocare rigorosamente secondo le regole del filone, fortunatamente la pellicola di Jonathan Levine punta tutto sull’autoironia e sulla parodia, riuscendo a offrire 90 minuti di svago spensierato, pur con i limiti strutturali dettati dalle pratiche auto-satiriche.
Basato sull’omonimo romanzo di Isaac Marion, Warm Bodies porta all’eccesso le dinamiche rappresentate da tanti prodotti contemporanei del supernatural romance adolescenziale: non solo l’amore può valicare i confini fra la vita e la (non-)morte, ma la potenza del sentimento riesce persino a ridare la vita, nonché a invertire l’abbrutimento fisico e psicologico e a restituire le capacità fonatorie e di discernimento.
Data l’uscita nel periodo post-meyeriano e la tematica dell’amore “interspecie”, è automatico collocare Warm Bodies fra i candidati più papabili all’ambito (?) titolo di successore della saga di Twilight. Ma mentre l’erede più probabile, Beautiful Creatures (in arrivo il 21 febbraio) sceglie di giocare rigorosamente secondo le regole del filone, fortunatamente la pellicola di Jonathan Levine punta tutto sull’autoironia e sulla parodia, riuscendo a offrire 90 minuti di svago spensierato, pur con i limiti strutturali dettati dalle pratiche auto-satiriche.
Basato sull’omonimo romanzo di Isaac Marion, Warm Bodies porta all’eccesso le dinamiche rappresentate da tanti prodotti contemporanei del supernatural romance adolescenziale: non solo l’amore può valicare i confini fra la vita e la (non-)morte, ma la potenza del sentimento riesce persino a ridare la vita, nonché a invertire l’abbrutimento fisico e psicologico e a restituire le capacità fonatorie e di discernimento.