Looper: la recensione
Looper è l’ultimo film di Rian Johnson, un regista che si è fatto apprezzare per i film Brick – Dose mortale e The Brothers Bloom ma che ci piace ricordare anche per lo strepitoso episodio “Fly” (3×10) di Breaking Bad. Uscito negli Stati Uniti nel settembre 2012, è approdato anche sui nostri schermi, forte della presenza del quotatissimo Joseph Gordon-Levitt e del sempre amatissimo Bruce Willis.
“Looper” è il mestiere di chi, come Joe, si guadagna da vivere uccidendo persone mandate dal futuro attraverso una macchina del tempo, dispositivo esistente ma illegale per la sua pericolosità, e dunque in mano alla malavita. A un certo punto della vita di ogni looper, il suo cerchio, loop, deve chiudersi: per la precisione quando ognuno incontra il proprio se stesso molto più vecchio mandato dal futuro a farsi uccidere. La storia di Looper si svolge tra due futuri, uno più prossimo, il 2044, e uno trent’anni più tardi: il primo segnato da violenze e grilletti facili, e il solito divario esponenziale tra ricchi e poverissimi; il secondo addirittura catastrofico, in mano ad un inquietante personaggio chiamato lo Stregone, che non vediamo mai. Ma quando il te stesso del futuro è Bruce Willis, anche un meccanismo apparentemente perfetto come la chiusura del loop può saltare: il Joe/Bruce Willis non ha intenzione di stare con le mani in mano a farsi rottamare come merce obsoleta dal Joe/Gordon-Levitt.
Come molti film sui paradossi temporali, Looper si interroga sul peso della scelta, su come forzare la gabbia di un percorso la cui fine è già scritta. Joe è un personaggio dal passato difficile, destinato ad intraprendere una brutta strada, almeno secondo il boss Abe (Jeff Daniels) che preferisce incanalare la sua innata spietatezza per i propri comodi. Egoista e autodistruttivo (prima e dopo), Joe ha già accettato il suo destino e prenderà come una fastidiosa intromissione la ribellione del se stesso maturo; al Joe del futuro forte della sua felicità già vissuta e che torna indietro per preservarla dalla tragedia che ha visto accadere, il Joe giovane risponde con arroganza, insofferente all’idea che qualcuno decida ulteriormente del suo presente, qualcuno che ha già vissuto quella vita per la quale si sta preparando attentamente.
Così, l’elemento fantascientifico non è che uno spunto, semplificato ma coerente con se stesso, tanto più che il film cambia più volte veste: da sci-fi ad action-thriller con elementi noir e fumettistici, a qualcos’altro, che addirittura muta in corsa il peso dei vari personaggi. Quando entrano in scena Sara (Emily Blunt) e suo figlio Cid (Pierce Gagnon), i riferimenti all’imprinting al contrario dell’assenza di figure genitoriali, già emersi lungo il film nella figura dello stesso Joe, nel personaggio di Kid Blue e nella reazione del povero Seth (Paul Dano) alla chiusura del suo loop, confluiscono nella trama principale e modificano in parte la natura del doppio scontro Joe vs. Joe e Joe vs. tutti; Joe giovane ha ora nuove informazioni e nuovi punti di vista da considerare, e la prospettiva sul futuro si allarga autonomamente rispetto a quella raccontata da Joe vecchio. La visione sulla vita futura di Joe giovane prende una piega nettamente diversa, fino ad andare a cozzare con le ragioni a posteriori di Joe vecchio, e a rendere il primo meno egoista e più umano.
Nonostante qualche incongruenza spaziotemporale (distanze imprecisate che si coprono in secondi) e una storia che non si cura di nascondere dove vuole andare a parare, Looper è un’interessante variazione sul tema; merito di interpreti all’altezza (menzione speciale al tenero e inquietantissimo Pierce Gagnon), di personaggi dipinti con pochi, rapidi dettagli in tutte le loro sfumature, di scene d’azione funzionali e di una messa in scena che si appoggia efficacemente su elementi quali la reiterazione e la ricorrenza di figure dalla significazione “facile” (la freccia, l’orologio).
Forse alla fine la voce over risulta un espediente esplicativo fin troppo facile, e il finale “chiude il cerchio” in maniera un po’ frettolosa e banale, che vanifica in parte l’indecidibilità della breve scena (subito prima della sequenza che riassume i trent’anni successivi) in cui effettivamente Joe completa il loop. Quello spunto rimane lì, insoluto, a significare altri eventi e altre possibilità non esplorate.
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Sara M. | ||
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Scritto da Chiara Checcaglini.