Innamorati dei cartoni animati – Berserk
Se guardi Berserk, diventi violento.
Cosa hanno in comune Berserk di Kentaro Miura e The Dark Knight Rises di Christopher Nolan? Entrambi sono stati accusati di istigare alla violenza.
Il 19 luglio, in un multisala di Aurora (Denver), viene proiettato The Dark Knight Rises. A 15 minuti dall’inizio dell’ultimo capitolo della saga di Batman, entra nella sala James Holmes, un ragazzo di 24 anni, vestito di nero, il volto coperto da una maschera anti-gas. Il suo ingresso, scambiato da molti per una trovata pubblicitaria, segna l’inizio di una strage. La notizia è stata sulla prima pagina di tutti i giornali italiani, cartacei e online. In tutti gli articoli, nessuno escluso, si dice che “il Killer aveva deciso di travestirsi come Bane, il supercattivo del film”. Secondo i giornalisti, infatti, la maschera anti-gas indossata dall’autore della strage per proteggersi dai fumogeni lanciati tra la folla prima di iniziare a sparare, è “molto simile alla maschera indossata dal cattivo del film”. Altri ricordano che Bane (“il Flagello”) si è classificato al 34° posto nella classifica dei più grandi cattivi della storia dei fumetti. Seguono schede informative sul personaggio che ne descrivono nel dettaglio crudeltà e violenza.
Il passo per accusare i fumetti di istigare alla violenza è breve. Del resto, non sarebbe la prima volta. Luciano Secchi (Max Bunker) e Roberto Raviola (Magnus), nel 1967 vennero rinviati a giudizio per avere pubblicato le storie di Kriminal e Satanik. Ancora prima, nel 1954, il famoso libro americano The Seduction of the Innocent di Frederick Wertharn accusò i fumetti, per altro senza avvalersi di alcuna dimostrazione scientifica, di istigare alla violenza, alla promiscuità e alla delinquenza.
Parlare di un fatto di cronaca nera in una rubrica dedicata agli anime ha senso perché, come ogni appassionato sa bene, gli anime vengono accusati di essere “brutti e cattivi” ogni volta che una notizia di qualche agenzia ci fa sapere che per colpa loro è successo questo e quello. Il punto è che fumetti e cartoni, da quelli umoristici a quelli d’azione, da quelli di fantascienza a quelli erotici, da quelli americani a quelli giapponesi, non possono essere genericamente accusati di essere dannosi o violenti: vanno considerati dei fattori precisi quali il target di riferimento, le trame, i valori proposti e, soprattutto, i contesti in cui le cosiddette “scene violente” sono inserite.
Prendiamo Berserk, un manga poi declinato in anime e videogioco per adulti. La violenza, in questo caso, diventa cifra narrativa e motore della storia. Le violenze subite dal protagonista, Gatsu, hanno lasciato segni terribili sul suo corpo e indurito il suo cuore. Queste violenze, fisiche e psicologiche, lo hanno trasformato in un guerriero maledetto spinto solo dal desiderio di vendetta. Eppure Gatsu è stato anche un valoroso spadaccino della Squadra dei Falchi, amico e servitore dell’ambiguo condottiero Grifis e ancora prima un ragazzino fragile, costretto a diventare mercenario per sopravvivere a un’esistenza di miseria e sopraffazione. E’ rimasta traccia di questo passato o la violenza del medioevo fantastico costruito da Berserk lo ha definitivamente cancellato? Ed è vero che gli uomini sono condannati sempre alla perdizione e alla rovina o anche in un mondo crudele e brutale c’è posto per la speranza?
Per rispondere a queste domande, Kentaro Miura costruisce una storia capace di miscelare in maniera imprevedibile crudeltà, violenza e poesia. Prodotto ambiguo e complesso, adulto tanto nel disegno quanto nella storia, Berserk è diventato un fenomeno culturale al pari di Evangelion, ed è la migliore dimostrazione che la violenza mostrata o raccontata non è necessariamente gratuita e inutile, ma può essere anzi funzionale e utile in una storia.
Stimolato da una riflessione sull’ennesimo fatto di cronaca nera, le cui origini sono state impropriamente ricercate in un prodotto di intrattenimento, questo articolo vorrebbe sottolineare due punti.
In primo luogo, uscire da una situazione difficile, superare una prova, sono tutti elementi narrativi che richiedono l’uso di violenza da parte dell’eroe. Senza un minimo di violenza non si potrebbero nemmeno creare storie come Biancaneve. Insomma, non sarebbe più possibile raccontare.
In secondo luogo, come molte ricerche scientifiche hanno dimostrato, lo spettacolo della violenza induce alla violenza solo in contesti socio-familiari particolarmente difficili, mentre non ha effetti ansiogeni in soggetti che vivono in famiglie equilibrate. Accusare gli anime, i film, i fumetti non serve certo a risolvere la crescente piaga della violenza minorile e non e soprattutto non chiarisce alcunché.
A dare tragico spettacolo in un cinema americano non è stato “il super cattivo di un fumetto”, ma una società intera, con tutti i suoi valori e dis-valori. Una società che non è la migliore possibile, ma che non sono certo gli anime, i fumetti o film a rovinare.
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@Eleonora: scusa ma ero passato a fondo pagina e mi era “sfuggito” quanto avevi scritto!
Mi stride un po’ l’accostamento a Black Lagoon con Lupin (che anche te hai sottolineato come un passo molto lungo): avrei preferito un paragone con Cowboy Bebop, riprendendo quando detto da Davide: Questa però è, e resta, solo una personalissima opinione. Per il resto rispetto appieno la tua visione che in parte condivido ed in parte vorrei controbbattere, ma così facendo rischierei di innescare un contraddittorio lunghissimo sul tema, alimentato da un vivace scambio di soggettive e personalissime opinioni. Per questo preferisco ritirarmi dal confronto dicendo semplicemente “touché”, invitando tutti coloro che passeranno da questa pagina di soffermarsi su di un articolo interessante e veramente ben scritto.
In ultima battuta permettimi di dire che ho letto con piacere ed interesse la tua ulteriore riflessione “derivata” e onestamente non posso che rinnovare i miei complimenti, restando in attesa del tuo prossimo articolo!
Ottima ed interessante intromissione, oserei dire!
Ed il bello di questo mondo “fantastico” sta proprio nella soggettiva e personalissima interpretazione che ognuno ha!
Complimenti Davide!
Se posso permettermi un’intrusione, oltre che a Lupin, Black Lagoon mi fa pensare ad una versione meno sofisticata e ancora più smodata di Cowboy Bebop. Revy è una Faye Valentine meno sfuggente e più distruttiva, Dutch un Jet molto più arido, mentre Rock differisce da Spike perché, a differenza di lui, non ha scelto quella strada, anche se entrambi hanno un passato che, seppur per ragioni diverse, li fa soffrire.
Riguardo ai riferimenti cinematografici, prima che Tarantino mi viene in mente Sam Peckinpah, con i suoi personaggi cinici e fatalisti che si gettano a capofitto in catartiche sparatorie.
Ciao Matteo!
Intanto grazie dei complimenti e soprattutto della tua fedeltà alla rubrica 😉
Le tue riflessioni me ne hanno stimolate altrettante…
Per quanto riguarda Black Lagoon trovo che in questo caso la violenza, che pure c’è ed è inevitabile dato il soggetto, sia più bilanciata con siparietti comici e gag a sfondo sessuale ripsetto a Berserk (credo tra l’altro che la “censura” chiesta da MTV alla Panini in fase di doppiaggio fosse proprio rivolta ai numerosi momenti “scurrili” presenti nella serie oltre che ad alune scene particolarmente splatter). Non è un caso sicuramente che il mangaka dietro Black Lagoon sia Rei Hiroe, famossissimo in patria per i suoi Hentai e dunque particolarmente attento al disegno dei corpi femminili e propenso a dare spazio all’aspetto sensuale/sessuale della storia.
Personalmente vedo Black Lagoon più come una versione moderna di Lupin (è un lungo passo, lo so…) mentre lo trovo molto lontano da Berserk proprio per il diverso uso della violenza nell’economia della storia che in Berserk è per così dire “narrativa” mentre in Black Lagoon è più “di genere”.
Sul fronte del confronto cinematografico mi trovo pefettemente d’accordo con te, anch’io ho subito pensato aTarantino (le Iene in particolare).
Quando invece parlavo di violenza necessaria nelle storie intendevo il concetto di violenza in senso molto ampio. Prendo proprio l’esempio che hai fatto, Aria di Kozue Amano, per chiarire questo punto. Si tratta come dici tu di una storia patinata, “leggera” se vuoi come è apparentemente la sua protagonista aspirante gondoliera della futuristica Neo Venezia, Una storia dove la violenza non è per niente esplicita, ma trovo che sia comunque presente e in senso lato sia il motore della storia: penso alla “competizione” tra le diverse compagnie di gondole, ma anche a quella di ogni allieva con se stessa e i propri limiti per passare di livello e togliersi i famigerati guanti che la etichettano come apprendista e ne segnalano appunto il grado di abilità. Anche in questa storia così solare, dove Aika la protagonista si entusiasma e ride (ma anche piange in molte occasioni) per ogni piccola scoperta o esperienza, trovo che ci sia un certo grado di violenza anche sologuardando all’ambientazione: un pianeta “acquatico” forzatamente colonizzato dai terrestri a immagine e somilgianza della città acquatica per eccellenza, Venezia.
E’ proprio a questa concezione di violenza che mi riferivo quando dico che senza violenza non sarebbe possibile narrare.
Poi è chiaro che Aria e Nerserk sono imparagonabili perché come dici tu la storia di Aria non è una storia violenta, anche se come te la trovo affascinante quanto quella di Berserk.
Tornando a Denver credo anch’io che purtroppo la realtà superi sempre la fantasia, anche negli aspetti più violenti.
Proprio per questo anche che pensare di proteggere lo spettatore (compreso quello minore) e la sua sensibilità censurando la violenza contenuta nelle serie animate la trovo una strategia del tutto inadeguata, perché la violenza subita da bambini e non solo è spesso fuori e non dentro lo schermo e aggiungo anche che un bambino sano, figlio del dialogo, è più forte di qualunque “mostro” animato…
Come prima cosa, Eleonora, vorrei farti i miei complimenti per gli articoli che curi che leggo sempre con molto interesse.
Berserk è sicuramente un opera per adulti, o seinen che dir si voglia, dove la violenza prevale ma non a titolo gratuito, come giustamente fai notare. E’ vero che come anime è stato criticato proprio per questa sua peculiarità e ricordo Italia 1 lo aveva messo in palinsesto nella sua “versione integrale” in orario notturno (cosa assai rara per l’emittente di casa Mediaset che ha deturpato/censurato anche altre serie molto più blande).
Sinceramente, però, per livello e qualità di violenza, sono rimasto maggiormente impressionato da altre opere. Per portare un unico esmpio, cito solo Black Lagoon; anime trasmesso solo nella sua prima serie da MTV (censurato nei dialoghi su esplicita richiesta dell’emittente) la quale non ha proseguito nella sua trasmissione forse anche a causa della sua eccessiva dose di “caduti” e “sangue”, lasciando il piacere della visione in modalità home video di ques’anime decisamente interessante sia nel comparto della storia che nella sezione disegno. Si potrebbero portare altri esempi che più o meno direttamente fanno della violenza, più o meno esplicita, giocoforza di una giustizia individuale o collettiva (Black Note, Claymore, ecc. ecc.), però mi sono volutamente soffermare su Black Lagoon per un motivo ben specifico: in molti casi mi ha ricordato tanto, ma proprio tanto, le opere di Quentin Tarantino (che tra l’altro ammiro e seguo sempre con interesse).
Questo lungo preambolo mi serve solo per sostenere tutta la riflessione brillantemente illustrata con un unico punto di disaccordo: si possono ottenere storie anche senza ricorrere alla violenza più o meno esplicita. Porto solo due esempi semplici di opere abbastanza recenti per il pubblico italiano: Aria (nella sua trilogia) e Welcome to the NHK. Entrambe opere seinen, la prima sicuramente molto più patinata della seconda dove però, in entrambe, emerge l’idea che la prova da superare sia combattere contro i propri “mostri” o le proprie incertezze. Questi due esempi, più o meno fantastici, sono sicuramente molto lontani da una realtà ben differente dove violenza e malvagità ci vengono offerte in dono quotidianamente e dove spiccano fulgidi esempi, come quello di Denver, su come la follia si un singolo possa superare la più immaginifica e laboriosa fantasia del migliore scrittore, disegnatore, regista…