Home Video – The Help
The Help, film diretto da Tate Taylor e interpretato da Emma Stone e Viola Davis, in DVD dal 9 maggio 2012, è una storia ambientata nel Mississippi dei primi anni Sessanta: Eugenia, detta Skeeter, ragazza di buona famiglia appena uscita dal college, ritorna a casa e prende coscienza della discriminazione razziale ancora molto diffusa. Stretta amicizia con le domestiche di colore Aibileen e Minny, Skeeter si schiera al loro fianco, denunciando le ingiustizie cui esse sono sottoposte sulle pagine di una rivista: le reazioni della società segregazionista non tardano a verificarsi.
Tratto dal romanzo di Kathryn Stockett, questo film raccoglie l’eredità del cinema americano liberal nella sua forma più classica e accattivante, ovvero un felice mix di commedia di costume e denuncia sociale che guarda alla Hollywood degli anni Sessanta come fonte ispiratrice.
Al suo secondo film dietro la macchina da presa, l’attore Tate Taylor, amico d’infanzia della Stockett, mette in scena un ritratto a volte impietoso dell’establishment bianco del Sud degli Stati Uniti, che in piena era Kennedy sembrava essersi fermato all’epoca di Via col vento per la leziosità e l’ipocrisia dei riti sociali, ma soprattutto per quella commistione di paternalismo e disprezzo che caratterizzava il rapporto con la popolazione nera, blandita con falsi sorrisi ma ancora costretta a fare i propri bisogni in bagni separati.
In questo ripugnante quadro d’insieme (di cui incarna un perfetto campione la perfida miss Hilly interpretata da una Bryce Dallas Howard di rara antipatia), le uniche note positive sono rappresentate dalla ragazza istruita e anticonformista che lotta contro il sistema (la Skeeter di Emma Stone) e dalla coetanea svampita, ma di buon cuore, miss Celia, che Jessica Chastain ritrae con notevole istrionismo, ispirandosi dichiaratamente a Marilyn Monroe. Dal loro canto, i neri non incarnano soltanto vittime indifese in attesa di essere salvate dai bianchi buoni (come si rischia in molti film del genere), ma, al contrario, ne sono messi in risalto lo stoicismo e l’abnegazione (nel personaggio della saggia Aibileen) e, al tempo stesso, la dignità e il desiderio di ribellione, che per Minny deriva da anni di vessazioni, prima che sul lavoro, all’interno delle mura domestiche.
Oltre che un film sul razzismo, The Help è una storia al femminile: egualmente divise fra personaggi positivi e negativi, sono le donne al centro della vicenda; al loro confronto, gli uomini, di volta in volta pavidi, maneschi o comunque ininfluenti, restano sullo sfondo. Questo, grazie anche a un cast di ottime attrici al loro meglio, in cui spiccano la sensibilità interpretativa di Viola Davis (una materna e commovente Aibileen) e l’istintiva simpatia di Octavia Spencer (irresistibile nel ritratto della grassa e battagliera Minny). Emma Stone impersona una versione anni Sessanta, socialmente impegnata, delle ragazze ribelli da lei interpretate in tante commedie, dimostrandosi ormai un’attrice matura, mentre Sissy Spacek resta una garanzia nei panni di una signora affetta da lieve demenza senile ma ancora capace di guardare alla vita con ironico distacco.
Classico nella regia, impeccabile nella ricostruzione d’epoca, abile nello stemperare la drammaticità dei temi fino a raggiungere picchi esilaranti (la vendetta di Minny contro l’ex-padrona sembra uscita da un film di Peter Sellers per la sua irriverenza), The Help può contare su una perfezione formale, unita a una solidità del messaggio, che alcuni hanno scambiato per ruffianeria, ma che rivela invece buone capacità di coniugare lo spettacolo hollywoodiano e la nobiltà d’intenti, senza risultare falso né pesante. Il risultato si colloca a metà fra Il buio oltre la siepe e A spasso con Daisy: se lo spirito di fondo è circa lo stesso del classico dell’impegno civile con Gregory Peck, la leggerezza dei toni lo avvicina maggiormente alla commedia con Morgan Freeman.
Ineccepibile, infine, la colonna sonora, che unisce grandi hit del periodo (di Johnny Cash, Bob Dylan, Chubby Checker e molti altri) al nuovo singolo di Mary J. Blige The Living Proof, il tutto all’interno dell’avvolgente partitura originale di Thomas Newman.
Candidato a quattro Oscar, The Help si è aggiudicato la statuetta nella sezione miglior attrice non protagonista, per l’interpretazione di Octavia Spencer.
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Chiara C. | Giacomo B. | Leonardo L. | ||
5 | 4 | 7 |
OK Giacomo, mi sa proprio che abbiamo avuto una diversa percezione di The Help.
Riguardo a Lontano dal paradiso, trovo che sia uno dei pochi film che sviluppi davvero tanto l’aspetto visivo quanto quello narrativo del cinema, unendo l’esercizio di stile ad una profondità psicologica davvero invidiabile. Un plauso a Todd Haynes per essere riuscito a fare con il melodramma ciò che Robert Rodriguez ha tentato con l’exploitation-movie: omaggiare un genere, mantenendone la forma e attualizzandone i contenuti.
@Davide: Lontano dal paradiso è piaciuto molto anche a me, grazie per averlo citato.
Regia e sceneggiatura di Todd Haynes sono veramente altra cosa rispetto alla prova di Tate Taylor, come hai riportato. Il personaggio di Julianne Moore è molto più interessante e sfaccettato di qualsiasi personaggio presente in The Help, troppo buono o troppo cattivo. Secondo la mia percezione, infatti, Lontano dal paradiso non vuole essere un film di denuncia, ma un ritratto intimo di una donna alle prese con una realtà di benessere apparente (personale e sociale) che non le permette di esprimersi apertamente. Cathy, infatti, riuscirà a sentirsi viva solo attraverso il rapporto catartico con il suo giardiniere nero (impossibile per l’epoca e per le regole di genere – il melodramma-). La situazione esterna passa attraverso Julianne Moore, è vero, ma è funzionale alla storia narrata.
The Help, invece, mi è sembrata una pellicola incentrata più sulla rivoluzione razziale che su personali sentimenti. Il personaggio di Emma Stone è infatti un’aspirante giornalista che decide di scrivere un libro di denuncia. È questo che mi ha lasciato perplesso. Se si sceglie di raccontare una storia basandola sul potere rivelatore del quarto potere, secondo me alla fine lo spettatore dovrebbe godere di qualche nozione in più. Purtroppo The Help mi ha lasciato solo con l’immagine di donne bianche e stronze e cameriere nere troppo buone. E, cosa ancora più discutibile e abusata, come ha fatto notare anche Chiara, la rivoluzione è possibile solo grazie alla bianca liberal di turno – intesa come unica possibilità di mostrare il punto di vista black, al di là della ribellione personale di Minny –
Anch’io sono contento del bel dibattito sul film, nel rispetto e nelle idee di tutti. 🙂
@ Chiara: avrei voluto risponderti nel commento precedente, ma sarebbe venuto fuori un poema più lungo della recensione stessa! 🙂
Pieno rispetto del tuo punto di vista, poi i gusti sono gusti, ci mancherebbe, ma non lo condivido. Secondo me, se il film può sembrare datato nelle tematiche (io preferisco definirlo classico, nel senso hollywoodiano del termine), definirlo reazionario non mi sembra appropriato, perché è vero che le domestiche nere trovano il coraggio di ribellarsi solo grazie alla bianca buona che sta dalla loro parte, ma il discorso vale per Aibileen, che è una persona mite e di natura poco incline al conflitto, ma non per Minny, che invece si ribella eccome, anche se in maniera sgangherata e rimettendoci di persona, anche prima di conoscere Skeeter. Il film, più che altro, vuole sottolineare non tanto l’incapacità dei neri di ribellarsi da soli, quanto l’impossibilità che la loro ribellione avesse esito positivo, perché la mentalità dei bianchi di quel tempo era talmente abituata ad accettare come giusto il razzismo che qualsiasi tentativo di cambiamento dello status quo sarebbe stato soffocato con la repressione, se non avesse avuto l’appoggio di qualche bianco illuminato. Brutto, ma vero. Non penso che Aibileen considerasse giusta la sua condizione, ma sapeva che ribellarsi non avrebbe portato a nulla, così aspetta l’occasione giusta, nella conoscenza di Skeeter, e la coglie.
Riguardo invece alla madre di Skeeter, che sembra redimersi non appena si ammala, non penso che la malattia cancelli le sue colpe agli occhi della figlia e della vecchia domestica nera che ha cacciato: semplicemente, in linea con la filosofia liberal che traspare dalla sceneggiatura, non si infierisce sul personaggio, gli si concede una seconda possibilità, ma le conseguenze del male che ha commesso sono indelebili. Per dirla con linguaggio legale, si cancella la pena, ma non il reato, il suo è un indulto, non una assoluzione.
Comunque ripeto, i gusti sono gusti, e un po’ di sana discussione attraverso i commenti non può che farmi piacere!
@ Giacomo. rispetto il tuo punto di vista, che oltretutto hai spiegato molto bene, ma non lo condivido, per un semplice motivo: non penso che il film sia rivolto solo ad un pubblico femminile dalla mezza età in su, anche se anagraficamente può scattare l’identificazione per quel tipo di pubblico. Penso, al contrario, che le donne, le casalinghe in particolare, siano la cartina di tornasole del pensare comune, della società di un certo periodo storico e dei suoi costumi. Prendiamo come esempio un altro film che tratta in parte temi analoghi, ambientato qualche anno prima di questo, negli Stati Uniti del nord anzichè del sud: Lontano dal paradiso, di Todd Haynes. Fatte le debite proporzioni, dato che quest’ultimo film è anche un grande saggio di regia, un omaggio al melodramma anni Cinquanta girato con lo stile di quel tempo anche nella sceneggiatura e nelle interpretazioni, anche lì però il tema dell’intolleranza, razziale più che sessuale, viene trattato nell’ambiente delle signore dell’alta società, di cui vengono messi in risalto il conformismo e l’ipocrisia. In quel film il messaggio è molto forte (quel che conta sono le apparenze, non i sentimenti che il singolo prova, che devono essere sacrificati), ma passa attraverso le azioni del singolo personaggio di Julianne Moore, il solo a sfuggire a questa logica perversa, senza però che alla base del suo comportamento nel film ci siano più alte ragioni sociali rispetto alla voglia di seguire il cuore: che sia lei il veicolo del messaggio del regista, è un aspetto esterno alla vicenda, che nella forma rimane un melodramma alla Douglas Sirk. Di forma eccellente, ma sempre melodrammatica. Eppure non mi sembra che il film possa piacere solo alle casalinghe quarantenni, né che qualcuno diverso da queste ultime sia impossibilitato ad identificarsi con la protagonista e le sue scelte.
Secondo me è un film molto superficiale. Già il concept risulta datato e un po’ reazionario (ribellione possibile solo grazie a giovane bianca benestante ed emancipata), in più i personaggi sono tutti unilaterali, o buoni buoni o cattivi cattivi, e si salvano dalla macchietta solo perché le attrici sono particolarmente brave. Ho detestato il modo in cui l’odiosa madre di Skeeter diventi buona tutto ad un tratto, come se la malattia fosse una punizione sufficiente per il suo razzismo: pura soap opera. Per me non c’è proprio bisogno di film così, e vederci dentro le mie adorate Emma Stone e Jessica Chastain mi ha fatto un po’ piangere il cuore.
Sì, il problema di The Help è Topolino. Non mi aspettavo un film di denuncia, sapevo a cosa andavo in contro con la Disney, è il film stesso, secondo me, a voler far denuncia. Proprio per questo aspetto, durante la visione, mi ha lasciato perplesso; mi aspettavo qualcosa in più. Non dura denuncia, ma il potere di veicolare un’informazione; un fatto.
The Help è veramente un’occasione mancata. Mi spiego. Una pellicola di questo tipo ha la grande fortuna di poter informare anche il grande pubblico. La commedia va benissimo, non è certo un limite, ma così strutturata finisce con il conquistare solo nonne e signore di mezza età. Anche sotto il lato personale, le azioni delle protagoniste sembrano mosse più da immagine e invidia, piùttosto che dalla situazione esterna. Mi domando: dal momento che si tratta l’argomento, al di là della regione per cui si produce il film (coscienza pulita o meno), perché non lasciare un segno più incisivo di qualche catfight verbale? Così secondo me passa solo il lato soap.
Prendiamo un’altra commedia di successo, con elementi dinsneiani, pensata per il grande pubblico e con spirito di denuncia: Quasi Amici. Ecco, in questo caso la pellicola riesce a colpire anche lo spettatore più disattento, poco, ma lo fa. Vabbè, sono francesi: anche nel peggio c’è qualcosa di buono. 😉
Jessica Chastain è irresistibile; per fortuna con lei c’è stato un buon lavoro di sceneggiatura.
Innanzitutto grazie per il commento! 🙂
Anch’io amo Jessica Chastain. Non la conoscevo prima della scorsa Mostra di Venezia, poi avendola vista in un paio di film in rassegna mi ha suscitato interesse. La sua prova in The Help me l’ha infine resa molto simpatica. Trovo sia un’ottima attrice, veramente brava, oltre che affascinante. Mi manca ancora The Tree of Life, ma la sua presenza è un motivo in più per guardarlo!
Peccato che questo film non ti sia piaciuto molto… Riconosco che, per chi si aspettava un duro film di denuncia, veramente brutale, alla Mississippi Burning, il risultato possa essere deludente perché comunque edulcorato da toni da commedia, però a me è piaciuto proprio quello: la capacità di trattare un tema serio come la segregazione razziale pur mantenendo il sorriso sulle labbra, senza declamare ma mettendo a nudo una situazione storica che in effetti, nel suo anacronismo, oltre che ingiusta era anche molto ridicola. Per questo non mi ha infastidito il fatto di aver concentrato la vicenda sulle faccende personali delle protagoniste, più che sul periodo storico in genere: con i loro atteggiamenti, penso lo ritraggano meglio di qualsiasi scena di massa. Poi va beh, ti dò ragione sul fatto che i personaggi non siano immuni al manicheismo, con la Howard esageratamente stronza e la Davis esageratamente buona, ma si tratta sempre di una produzione Touchstone (leggasi: Disney), dove il bene e il male sono sempre ben distinguibili e il primo vince sempre sul secondo…
Ho appena finito di vedere il film. Adoro Jessica Chastain. Le voglio bene.
La tua recensione è veramente ben scritta e puntuale. Complimenti. 🙂 Purtroppo il film non mi ha suscitato le tue stesse emozioni. La cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso è aver ridotto il tutto a un film da casalinghe. Mi sarebbe piaciuto un po’ di ricostruzione storica in più, ecco. Qualcosa c’è, ma è veramente timido (le immagini alla TV di Martin Luther King, la sua voce fuori campo, la corsa notturna verso casa di Aibileen). Secondo me alla fine il film lascia solo con il ricordo di qualche catfight. Almeno a me ha lasciato questo. Io ho visto 2 ore di “quanto è stronza bryce dallas howard” e di “quanto è buona viola davis”. Che va bene eh, è un film per famiglie, ma, considerando lo spirito di denuncia, non è tutto.
Ho già detto che adoro Jessica Chastain? 🙂