Innamorati dei cartoni animati, Akira
Akira di Katsuhiro Otomo. “Darei qualunque cosa per interpretare Tetsuo. Ma il Tetsuo del manga […] voi volete fare un remake del film animato di Akira, ma quello è già perfetto così. Non riuscirete mai a riprodurne l’oscurità e il fascino”. È più o meno con queste parole che Toby Kebbell (Wrath of the Titans), contattato per interpretare Tetsuo nel fantomatico remake hollywoodiano dell’anime Akira, sostiene di aver rifiutato il ruolo. Troppo rispetto per la storia creata da Katsuhiro Otomo nel 1982 e portata sul grande schermo con la collaborazione di Izo Ashimoto nel 1988. Ecco però che mentre Kebbell e altri fan di lungo corso gridano “sacrilegio!” di fronte al controverso remake proposto dalla Warner Bros, altrettante voci gridano “cos’è Akira”?
Akira è letteralmente il leggendario salvatore che secondo i capi di fanatiche sette religiose libererà la Tokyo del 2019, devastata dalla Terza Guerra Mondiale e governata dal caos, più che dalla legge marziale, impotente di fronte ai saccheggi e alle lotte intestine tra bande di motociclisti, gruppi di terroristi e ribelli. Akira è anche metaforicamente la rappresentazione, attraverso immagini psichedeliche e allucinate, dell’incubo dell’atomica e del malessere generazionale serpeggiante nel nuovo Giappone. Infine Akira è la storia di Tetsuo, giovane teppista su due ruote dotato di doti telecinetiche, che cerca di trasformare il caos in un’apocalisse.
Secondo la rivista statunitense Wired nel 2002, Akira figura al diciannovesimo posto in un elenco dei venti migliori film di fantascienza. Non c’è dubbio che il film animato di Otomo abbia cristallizzato su di sé una quantità di risorse prima inimmaginabili nell’ambito di una produzione animata nipponica: il lungometraggio è costato circa un miliardo di yen e ha visto al lavoro più di 1.300 animatori impegnati a disegnare 150.000 rodovetri con più di 327 diverse sfumature di colore diverse.
Del resto Otomo aveva ben presente i look e l’atmosfera da dare al film di Akira, e sotto la sua guida il direttore della fotografia Mizawa impiega numerose tecniche di sovrapposizione per ottenere con precisione quella cupezza diffusa che avvolge il manga. L’ambientazione prevalentemente notturna, spinge a una sperimentazione innovativa con sfumature di colori, espressamente creati per la resa cinematografica. Si pensi alle folli corse notturne in moto dove l’oscurità della scena è illuminata solo dal fascio di luce dei fari che si incrociano sulle strade deserte.
Nel film Otomo da anche grande risalto a una delle premesse del manga secondo cui la realtà è informazione: informazione genetica, culturale, economica. Akira narra del tentativo di piegare e dominare queste “informazioni psico-biologiche”: un tentativo che si risolve in una gigantesca sconfitta della carne, che si altera e si deforma sotto la spinta di un’energia psicofisica della quale si è perso il controllo. Un paradigma poetico e allucinante di quanto potrebbe accadere alla società umana contemporanea.
Akira è un capolavoro nella misura in cui ha rappresentato un punto di svolta per l’animazione nipponica, tanto da un punto di vista espressivo, con la sua narrazione intricata e maestosa, quanto da un punto di vista estetico, con le sue atmosfere scure e avvolgenti, ma è un capolavoro incompiuto: impeccabile dal punto di vista tecnico e visivo, non presenta una trama compiuta e comprensibile, probabilmente a causa della difficoltà di condensare l’omonimo “manga fiume” in pochi minuti di animazione cinematografica.
Negli anni Novanta, attraverso Akira, l’animazione nipponica è tornata a “urlare” sugli schermi mondiali con uno dei suoi prodotti più innovativi e controversi. Vedremo se Akira riuscirà a gridare la sua rabbia anche attraverso gli schermi hollywoodiani.
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