Tomboy: la recensione
Vincitore di un Teddy Award al Festival di Berlino e della 26° edizione del GLBT Torino Film Festival, Tomboy di Céline Sciamma è arrivato nelle sale italiane con un carnet di titoli di tutto rispetto.
Francia. Una famiglia come tante si trasferisce in una nuova città e la primogenita Laure approfitta dell’occasione per reinventarsi completamente, complice un’innocente equivoco con una ragazzina del quartiere che la scambia per un maschietto.
Il termine tomboy, letteralmente “maschiaccio”, introduce immediatamente il tema che il film ha intenzione di affrontare. Si parla di identità sessuale, quindi; argomento sicuramente complesso ma che, visto attraverso gli occhi di una ragazzina di undici anni, riesce ad assumere valenze nuove, bypassando con facilità i confini culturalmente dati delle identità di genere. E se è vero che il tema affrontato non è affatto nuovo nel suo genere, è altrettanto vero che Tomboy riesce comunque a trovare una sua nota di originalità nel modo in cui questo ci viene presentato.
Tutto nel film è infatti studiato per restituire al pubblico un’atmosfera complessivamente leggera che va ad inquadrare il tema centrale della storia spogliandolo di ogni complicazione di tipo culturale e consegnandolo infine allo spettatore come ridotto ad una sorta di “grado zero”. Non ci sono drammi in Tomboy, né tanto meno difficili situazioni familiari; anche le rivelazioni finali, con le loro inevitabili conseguenze non portano il film in una direzione veramente drammatica, ma sono in un certo senso attutite dall’atmosfera complessivamente delicata di cui si parlava.
Allo stesso modo, la “morale” proposta nel corso delle ultime scene risulta come il giusto coronamento del senso complessivo del film. Così, riuscendo a ridurre tutta la questione ad un problema di onestà, la regista riesce ad offrire al suo pubblico la possibilità di continuare a considerare il tema dell’identità sessuale dalla prospettiva della pre-adolescenza, anche quando nella storia sono coinvolti gli adulti.
Scritto da Rossella Carpiniello.
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Mi ispira molto l’idea del “grado zero” e della leggerezza, c’è bisogno di film che affrontino queste tematiche senza caricarle di pesi “esterni”. Bella anche la lcoandina!