TFF 2013 – Frances Ha: la recensione
I like things that look like mistakes, dice la protagonista di Frances Ha, ed è come se lo dicesse Greta Gerwig stessa del film di cui è co-autrice e interprete, che sembra somma di errori, abbozzi, passi falsi ed è invece insieme in divenire, pennellate apparentemente casuali pronte a ricomporsi in un quadro coerente. O in una coreografia, quella realizzata infine da Frances, così personale e unica e al contempo matura e conclusa.
Perché l’ultimo lavoro di Noah Baumbach, presentato nella sezione Festa Mobile del 31esimo Torino Film Festival, è elogio del frammento, del dettaglio, dell’episodico e al contempo celebrazione della sua ricomposizione, che non rinnega, ma rielabora e integra, in uno sguardo unitario. Il frammento è sia nella forma discontinua e sincopata – un mixage debitore della nouvelle vague francese, continuamente citata – sia nel contenuto, il ritratto di un periodo della vita – la gioventù, tanto più di un’aspirante artista a Manhattan – percepito come concatenazione di immagini-tempo irripetibili e peculiari: Frances che immagina di vivere ancora a lungo con l’amica Sophie, protagoniste di godardiane corse per la città, che vuole danzare, che gioca alla lotta, che inciampa e sanguina e ride di se stessa. Un universo che comincia ad andare in crisi nel compromesso con una realtà ben diversa da quella immaginata: l’allontanamento dell’amica, i problemi economici, le frustrazioni in ambito lavorativo, il rapporto con gli altri, che da affinità elettiva diventa faticosa mediazione.
E in questo movimento dialettico al frammento segue lo sguardo critico su di esso, preliminare alla sintesi finale. Non a caso le tappe di questa maturazione sono quelle che demitizzano i feticci di cui la prima parte del film si era nutrita: i diversi momenti di confronto con Sophie, ora sofisticata fidanzata di un facoltoso broker, il ritorno alla dimensione di provincia in cui vivono i genitori (tra l’altro interpretati dai veri genitori della Gerwig) e il viaggio solitario a Parigi che invece che ridare forza alle suggestioni bohemien le ridimensiona definitivamente. Una demitizzazione che non ridicolizza né nega, ma insegna a guardare le cose in prospettiva, con la tenerezza che meritano, con la distanza che ormai le separa dal presente. Come lo sguardo che Frances lancia a Sophie sul finale, non più rancoroso o deluso, ma consapevole della natura di un rapporto che non può più essere quello simbiotico e idealizzato degli inizi. Ma, allo stesso tempo, parte di un percorso insostituibile che ha portato fino a qui: a un lavoro di cui vivere – in parte compromesso, ma anche occasione di effettiva realizzazione personale – e a una casa per sé, a rapporti più consapevoli, al desiderio di un amore semplice e appagante.
Frances Ha è tutto questo, una commedia brillante e divertente, un piacere per gli occhi, una straordinaria prova attoriale della Gerwig, un romanzo di formazione, che scorre lieve sulle note di David Bowie e dei T.Rex, con lo splendido bianco e nero fotografato da Sam Levy e le tante suggestioni di cinema che si integrano con grazia al racconto, mai compiaciute o pretestuose. Tra i migliori visti al Festival e presto anche nelle sale italiane grazie alla distribuzione di Whale Picture.
Scritto da Barbara Nazzari.
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