Mi rifaccio vivo: la recensione
Film inaugurale della vicina Festa del Cinema (dal 9 al 16 Maggio al cinema si entra con soli 3 euro), Mi rifaccio vivo di Sergio Rubini tenta di immaginare cosa succederebbe se dopo la morte ci fosse un’altra possibilità, un “bonus” per tornare in vita e cambiare le cose che l’hanno resa insopportabile.
Biagio Bianchetti è un imprenditore affermato: la sua azienda di abbigliamento va a gonfie vele fino a quando un’ombra non si posa sul suo palazzo in pieno centro di Roma. È l’ombra dell’insegna dell’ODV, l’azienda di Ottone Di Valerio, eterno concorrente e nemico di Biagio, che sin dai tempi della scuola si diverte a metterlo in ridicolo. Mentre l’attività di Ottone si ingrandisce, quella di Biagio collassa, tanto da spingerlo al suicidio. Ma una volta giunto nell’aldilà, gli viene offerta un’altra opportunità: tornare sulla Terra con le sembianze del socio in affari di Ottone e compiere una buona azione. Inutile dire che Biagio approfitterà dell’occasione per tentare di rovinare definitivamente il tanto odiato nemico, che si scoprirà essere molto meno vincente di quanto sembra.
Quante amicizie sono cominciate con un odio profondo? Con quella ostilità mista a un po’ di invidia, che ci fa desiderare di essere al posto dell’altro. Anche nell’ultima commedia di Sergio Rubini, Biagio e Ottone sono nati per contrastarsi e sono destinati poi a intrecciare strettamente le rispettive vite. Apparentemente piena di successo e di soddisfazioni quella di Ottone (Neri Marcorè), meno appagante quella di Biagio (Lillo Petrolo) che viene trascinato dalla moglie Sandra (Vanessa Incontrada) da un ristorante giapponese all’altro, ed è continuamente costretto a sorbirsi i discorsi intellettuali sulla cultura nipponica fra un odiato sushi e un sakè. Il destino vuole, però, che quando Biagio torna a farsi vivo nel mondo, vesta i panni di un manager appassionato di cultura orientale e colto estimatore della cucina giapponese, assolutamente non fumatore e per di più astemio. Sotto le spoglie di Dennis Rufino (Emilio Solfrizzi), Biagio si insinua nell’intimità della casa di Ottone e scopre che il tanto detestato nemico non è altro che un debole, un piccolo come lui con una moglie frigida, una sempiterna, nevrastenica Margherita Buy, con cui non riesce a comunicare, e un’amante psicologa (Valentina Cervi) che lo perseguita. Quasi si impietosisce Biagio, che da questa parte del film in poi assume le sembianze di un simpatico, ma non inaspettato Emilio Solfrizzi, mentre allo specchio la sua anima più malvagia, quell’es con cui spesso ci troviamo a parlare e che ha il volto paffuto e anche questo consolidato di Lillo, lo incita a non farsi abbindolare e a distruggere Ottone. Nemmeno i momenti di debolezza e di verità di quest’ultimo convincono in questo film dove tutto è già stato detto, dove gli attori fanno le parti di sempre e non stupiscono, eccetto Vanessa Incontrada, brava interprete di un personaggio meno piatto degli altri e più coinvolgente, della quale ci si dimentica giustamente per tutta la metà del film per dare risalto ai due “mattatori” Solfrizzi e Marcorè, e ritrovarla solo alla fine.
Per non parlare del meccanismo dell’aldilà dove un improbabile maggiordomo con la faccia di Karl Marx fa la morale a Biagio in quanto imprenditore capitalista e organizza il piano per riportare sulla Terra il redivivo Bianchetti. Meccanismo inverosimile persino nell’universo irrealistico dell’oltretomba, e che non trova giustificazioni in una sceneggiatura che tenta di salvarsi in corner con un finale a dir poco arrabattato e mal congegnato.
Ad alleggerire la grave situazione in cui si trova il regista Rubini non è, dunque, la direzione degli attori che, bisogna riconoscerlo, hanno dovuto confrontarsi con macchiette stereotipate, e nemmeno la sceneggiatura, che si è ridotta agli stilemi della commedia televisiva degli ultimi anni, fatta di gag messe una di fila all’altra e degli ormai noti equivoci che danno vita alle risapute situazioni, ma solo quell’ombra così “fritzlanghiana” su Biagio, un tentativo di omaggio al cinema espressionista tedesco, che però non può da solo salvare un film che non dice niente di nuovo.
Scritto da Vera Santillo.
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