The Walking Dead 3×12: la recensione
Clear – Ripulire è scritto da Scott M. Gimple e diretto da Tricia Brock, alla sua prima regia nella serie. Il quarto episodio di questa seconda parte della terza stagione è andato in onda il 3 marzo negli USA e il giorno successivo in Italia, sul canale Fox. Ed è, per certi aspetti, uno dei momenti più alti del serial. Apparentemente rimane un episodio a sé, sorta di “cerniera”, quasi slegato dal plot principale di questa terza stagione; e forse anche per questo riesce a (far) riflettere meglio sull’umanità perduta, avanzata, nascosta, infranta della cosiddetta razza umana, che di “umano” ha sempre meno.
Rick, il figlio Carl e Michonne sono in missione, verso la cittadina di King County – dove tutto ha avuto inizio per la famiglia Grimes – per cercare armi e munizioni, utili, anzi necessarie, nell’imminente e inevitabile scontro con il Governatore. Per ben due volte, lungo la strada, i tre ignorano con fredda indifferenza e spietata determinazione la disperata richiesta d’aiuto di un sconosciuto, che sta viaggiando a piedi con un grosso zaino arancione e il cui volto non viene inquadrato. La stessa freddezza e la medesima indifferenza sono le note che caratterizzano i personaggi anche quando rimangono circondati, chiusi in auto, da un gruppo di morti viventi: una situazione che terrorizzerebbe chiunque, ma che per loro (e per lo spettatore stesso) è ormai solo routine, è il loro mondo; e, quasi annoiati, si liberano – fuori campo – dell’“impiccio”.
La deserta cittadina nella quale giungono non ha ormai più nulla della King County che padre e figlio conoscevano: ovunque sono ingegnosamente posizionate diverse trappole per fermare i cosiddetti “erranti”. E L’unico abitante “vivente” rimasto in città – e unico altro personaggio dell’episodio – è una “vecchia conoscenza”: Morgan, l’uomo che nel pilot della serie, Days Gone Bye – I giorni andati, ha salvato la vita proprio a Rick. Non è però inizialmente un incontro amichevole: Morgan, incappucciato e protetto da un giubbotto antiproiettile, non riconoscendo gli inattesi ospiti, spara preventivamente, dall’alto di un edificio, ai “visitatori”, ma viene colpito e stordito da Carl.
Dopo averlo portato in casa – sorta di fortezza inespugnabile, decorata con armi e protetta da trappole, con i muri interni pieni di scritte, indici della follia e della disperazione crescenti raggiunte nel corso dei mesi da Morgan – la linea narrativa si divide momentaneamente: Carl e Michonne escono, alla ricerca di una culla per la sorellina appena nata; Rick rimane in attesa del risveglio di Morgan. Questo sdoppiamento narrativo permette al regista di dirigere da un lato l’ennesima sequenza di azione claustrofobica nell’interno di un bar, dove il bambino cerca una foto di sua madre (l’unica immagine rimasta, dopo che la loro vecchia casa è stata bruciata dallo stesso Morgan), affinché sua sorella un giorno possa conoscerne almeno il volto; dall’altro di raccontare uno dei “faccia a faccia” (quasi un monologo, lucido e folle allo stesso tempo, caratterizzato dall’emozionante interpretazione di Lennie James) più emozionanti della serie.
Dopo aver pugnalato Rick a una spalla, Morgan riconosce l’ex sceriffo e lo accusa di non aver mai risposto al walkie talkie, come si erano promessi mesi prima. Poi inizia il tragico racconto (quasi tutti primi piani o piani medi ravvicinati) dei mesi precedenti, in particolare di come abbia perso sia la moglie sia il figlio Duane, morso proprio dalla donna trasformatasi. Morgan rifiuta anche l’invito di Rick a trasferirsi con loro nella prigione, spiegando che ormai il suo unico compito rimasto è quello di ripulire il mondo, creando trappole e bruciando i cadaveri. Poco prima di salutarsi, probabilmente per l’ultima volta, Carl chiede scusa a Morgan per avergli sparato: l’uomo, come innervosito, forse preoccupato, si raccomanda «don’t ever be sorry», perché è solo un segno di debolezza; e le fragilità e i sentimentalismi non sono più ammessi nel mondo in cui sono condannati a vivere, poiché rischiano solo di portare alla morte, come è infatti capitato ai suoi familiari, a causa di una sua esitazione: «weak people die», rimane la “sentenza chiave” dell’episodio.
La sequenza di chiusura rimane un epilogo raggelante: l’automobile ritorna sulla sua strada, la macchina da presa la segue con una carrellata laterale, una striscia di sangue per terra, un corpo ridotto quasi in poltiglia, poi lo zaino arancione dell’uomo che nell’incipit ha chiesto aiuto; forse una persona perbene, forse no, non importa: non lo sapremo mai noi, non lo sapranno mai loro. Rimane solo la loro gelida indifferenza di fronte a un’altra vita umana divorata, mentre l’auto si allontana, ritratta con un campo lungo.
Scritto da Luca Pasquale.
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