TFF 2012 – Ruby Sparks: la recensione
Ruby Sparks è un film di Jonathan Dayton e Valerie Faris, presentato nella sezione Festa Mobile all’ultima edizione del Torino Film Festival.
Calvin Weir-Fields è incapace di replicare il successo straordinario raggiunto in giovanissima età col suo primo romanzo. Ora ha dieci anni di più, la fidanzata lo ha mollato e preferisce rifugiarsi in sogni romantici piuttosto che vivere o approfittare delle ragazze che gli si gettano addosso, attratte dalla sua fama di giovane scrittore-prodigio. Dai suoi sogni emerge Ruby Sparks, perfetta creazione mentale e nuova fonte di ispirazione, che improvvisamente diventa fin troppo reale.
Archiviato il successo di Little Miss Sunshine, Jonathan Dayton e Valerie Faris mettono in scena una sceneggiatura di Zoe Kazan (nipote di Elia), anche interprete principale assieme a Paul Dano, che si muove tra reale e fantastico per raccontare l’instabile terreno delle relazioni amorose: la mente corre a Eternal Sunshine of the Spotless Mind, di cui però Ruby Sparks non ha la coesione né la profondità.
Innanzitutto, un racconto fantastico non può prescindere dalla coerenza dell’universo di riferimento: Ruby Sparks non si sforza di connotarlo, né, d’altra parte, si presenta come divertissement surreale, accontentandosi della totale sospensione d’incredulità dello spettatore, nella confusione tra rovelli psicologici su aspettative sociali e ansia da prestazione e svolte favolistiche. Bollata provvidenzialmente la situazione come “magica” o “miracolosa”, il film si concentra sulla descrizione del sogno narcisistico di ogni uomo, ovvero intraprendere una relazione perfetta con un guscio vuoto da riempire con le proprie proiezioni mentali.
La questione sembrerebbe un ottimo spunto per una virata grottesca o perturbante, ma in Ruby Sparks tutto è irrimediabilmente innocuo: le insicurezze egoistiche di Calvin, l’imprecisato conflitto con le ennesime figure genitoriali macchiettistiche sedotte dalle gioie new age e hippy-chic (Annette Bening e Antonio Banderas), l’incontro-spiegone con la ex fidanzata atto ad inquadrare il narcisismo di Calvin, la presa di coscienza di Ruby come persona e non come personaggio. Peccato che la personalità di Ruby sia tratteggiata coi più triti cliché dello “spirito libero” – è un mistero perché la legittima richiesta di un po’ di spazio per sé nella relazione debba necessariamente trovare la sua continuazione nel flirt facile con l’autore-rockstar – e l’attaccamento morboso di Calvin si risolva in una serie di meschinità che hanno come unico scopo l’esibizione del repertorio di stramberie di Ruby. Tanto che, nonostante l’atmosfera cupa, ritmata dall’apporto combinato di musica e montaggio, la sequenza dello scontro tra creatore e creatura manca dell’adeguata drammaticità, mentre la scena finale è capace di vanificare in un batter d’occhio qualsiasi effetto catartico.
Si finisce, così, per trovare difficile empatizzare sia con lo scrittore, né malvagio né buono, sia col personaggio, decisamente troppo bidimensionale per sollecitare il tifo per lei. Un film sulla scrittura in cui i personaggi meglio scritti sono quelli secondari, su tutti il fratello Harry (Chris Messina), ben più autentico del protagonista; si salva l’efficacia comica della fisicità di Paul Dano, genuinamente divertente in diversi momenti, più nell’interazione col cane Scotty che con la Ruby del titolo.
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Alice C. | Antonio M. | Edoardo P. | Leonardo L. | ||
6 | 7 | 6 | 6 |
Scritto da Chiara Checcaglini.