Innamorati dei cartoni animati, Holly e Benji
Calcioscommesse: in manette anche Holly e Benji. E’ il titolo di un’immagine che ritrae Oliver Hutton (Tsubasa Ozora) e Benjamin Price (Genzo Wakabayashi), protagonisti della serie Holly e Benji (Captain Tsubasa), portati via in manette dalla polizia. Una provocazione che da un parte segnala come l’inchiesta sul calcio malato non stia risparmiando neppure i grandi miti dell’infanzia e dall’altra dimostra che i giovani calciatori pieni di talento e speranze usciti dalla matita di Yoichi Takahashi nel 1981 occupano ancora un posto di primo piano nell’immaginario collettivo italiano. Holly e Benji è stato del resto uno degli anime più replicati nelle televisioni italiane.
Ecco allora che mentre veri giocatori scendono sui campi degli Europei nell’estremo tentativo di dimostrare che il gioco del calcio ha ancora un valore, nonostante gli scandali, noi preferiamo rifugiarci in un mondo in cui il valore del calcio è disegnato attraverso immagini potenti e momenti di disperata bellezza.
Immagini potenti, come quella di Mark Lenders (Kojiro Hyuga) che perfeziona il suo tiro della tigre scagliando incessantemente la palla contro le onde di un mare in burrasca, solo contro la forza della natura. Momenti belli e disperati, come quello in cui Julian Ross (Jun Misugi) decide di ignorare gli avvertimenti del suo cuore malato pur di giocare un’intera partita contro il suo avversario ideale, Oliver Hutton.
Proprio la storia di Julian rappresenta pienamente il messaggio che anima la serie: la dignità e l’onore non dipendono dalla vittoria in sé, ma dalla sicurezza interiore di avere dato il massimo, di avere fatto tutto ciò che era in proprio potere per realizzare il proprio sogno.
Julian Ross è un giocatore dotato di innegabili qualità, tanto che è soprannominato da avversarti e commentatori “il principe del calcio”. Il cuore malato lo costringe a giocare solo pochi minuti a partita, ma la sua grandezza è tale che questo breve tempo basta a garantire la vittoria della sua squadra. L’incontro con Holly accende in lui il desiderio di giocare un’intera partita. Una partita che rischia di essere falsata dalla reticenza di Holly: la malattia dell’avversario gli impedisce di dare il meglio. Solo le parole appassionate di Julian sbloccano la situazione, al principe del calcio non interessa vincere, vuole giocare la partita dei suoi sogni. Ritrovato il senso del gioco, Holly giocherà l’ultima fase della partita con rinnovato coraggio portando la sua squadra alla vittoria.
Le luci dunque si spengono, le acclamazioni si smorzano, Julian è solo sul campo da gioco, appoggiato al palo della sua porta, una mano sul cuore sofferente.
Quando Oliver Hutton e i compagni lo raggiungono non c’è segno di dolore o sconfitta sul suo volto, anzi quella che leggiamo nei suoi occhi è pura gioia. “Voglio imprimere nella mia mente ogni minuto di questa partita” dichiara il ragazzo “questo è stato il giorno più bello della mia vita”.
Niente lacrime, niente vergogna, Julian sa di aver dato il massimo ed è grato di aver avuto la possibilità di scontrarsi con un campione come Holly. Anche se non potrà più giocare, il ricordo di questa partita resterà nel suo cuore per sempre.
Quello che conta non è vincere, ma superare i propri limiti. Il desiderio di fare sempre di più e meglio permea del resto la società giapponese e gli anime sportivi da sempre sublimano questo desiderio. Ecco allora che i personaggi si sottopongono ad allenamenti durissimi e sono addirittura disposti a sfidare la morte pur di vincere un confronto che è essenzialmente con se stessi più che con gli avversari.
In tutto questo la purezza del gioco è un valore che i protagonisti difendono a ogni costo. Perché solo se il gioco è pulito la vittoria è onorevole. O per usare le parole di Mark Lenders “meglio morire che vivere senza onore”.
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