5 film “Leone d’Oro” per sentirsi a Venezia 77
I consigli di Cinema Errante per vivere la Mostra del Cinema anche da lontano
Non potete raggiungere la Mostra del Cinema? Dalla storia recente del festival, ecco cinque film “Leone d’Oro” per sentirsi un po’ a Venezia anche dal divano di casa. Partiamo dal miglior film 2014…
Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson (2014)
Leone d’Oro alla 71ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Terzo capitolo di una trilogia composta da Canzoni del secondo piano e You, the Living, il film è composto da una sequenza di brevi quadri che ruotano tutti attorno alle miserie del vivere umano. Rifacendosi al teatro dell’assurdo, Andersson ci presenta una coppia di personaggi ricorrenti d’ispirazione beckettiana – due venditori di scherzi di carnevale, novelli Vladimir ed Estragon in attesa di un non specificato Godot – e mette in scena i suoi frammenti di racconto in modo antinaturalistico. Coerente con quest’idea, la curatissima estetica del film ne accentua l’effetto surreale. Seppure didascalico nelle sue metafore e nelle citazioni, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza rimane un bell’oggetto cinematografico. [Sara Mazzoni]
Ti Guardo – Desde Allà. di Lorenzo Vigas (2015)
Partiamo dal nome: Desde Allà (Da lontano). Sta tutta lì, nel distacco, la chiave del film di Lorenzo Vigas, vincitore del Leone d’Oro 2015. Storia di un legame affettivo tra un uomo e un ragazzo in cui Vigas traspone la sua personale fissazione autoriale: l’assenza del padre. Due eccellenti protagonisti a debita distanza, un Venezuela barbarico, machista e anaffettivo, un noir metropolitano che colpisce con la forza dirompente di un pugno nello stomaco. Avvicinarsi con cautela. [Giacomo Brotto]
La forma dell’acqua – The Shape of Water di Guillermo del Toro (2017)
Non era mai successo che un film di genere fantastico ottenesse il massimo riconoscimento in un Festival d’arte cinematografica come quello del Lido. The Shape of Water è un film molto furbo e stratificato, adatto alla fruizione di vari tipi di pubblico.
Confezionato in maniera elegante (l’uso di colori e luci è magistrale), ben scritto e interpretato da un cast di alto livello (soprattutto dall’eccellente Sally Hawkins), il film mette l’indubbio talento visivo di Guillermo del Toro al servizio di una storia che punta anzitutto sul romanticismo da fiaba, offrendo allo spettatore la possibilità di sognare ad occhi aperti. L’abbondanza di riferimenti cinefili, che spaziano dalla fantascienza anni ’50 allo spionaggio, fino al musical, rafforza l’atmosfera vintage che avvolge la vicenda.
Su una trama di base che è un aggiornamento al tempo della Guerra Fredda della classica storia de La Bella e la Bestia, del Toro affronta problematiche sociali d’attualità e, mettendo in scena un’alleanza fra personaggi che rappresentano ognuno un tipo di minoranza, tesse un vero e proprio elogio della diversità. [Davide Vivaldi]
Roma di Alfonso Cuarón (2018)
Alfonso Cuaron continua a inanellare successi veneziani con Roma, titolo che si riferisce al quartiere omonimo di Città del Messico, ma ha ha il respiro e la vastità di un impero. In una bilanciata fusione di toni epici ed elegiaci, di quotidianità e storia, il regista ricostruisce un universo profondamente femminile che rende omaggio alle donne che lo hanno cresciuto. La narrazione segue i personaggi, più che gli eventi: il fulcro gravitazionale è Cleo (Yalitzia Aparicio), domestica di una famiglia dell’alta borghesia, ma in parallelo la pellicola tratteggia anche la crisi della famiglia stessa e un’immagine della città che alterna poesia e violenza.
A guidare il film è la dimensione della memoria, che spazia dalla ricostruzione fedele del quartiere e della casa d’infanzia del regista (con l’arredamento in buona parte originale) a un uso magistrale delle panoramiche e dei piani sequenza (evidenziati dal formato digitale in 65mm) alternati a primi piani e grandangoli. La casa si fa immensa, ingigantendo anche le figure che contiene, in particolare Cleo e la matrona Sofia (Mariana De Tavira): di fronte allo scarto tra un mondo ancora marcatamente patriarcale e la fuga dalle responsabilità dei personaggi maschili, le due donne sanno trovare una forza immensa a cui il Cuarón adulto offre un tributo personale e toccante.
Il bianco e nero non offusca i ricordi, ma anzi ne sottolinea la potenza e il valore simbolico: memorabile la sequenza iniziale del lavaggio del pavimento dell’ingresso, costantemente minato dagli escrementi del cane di casa. Fondamentale anche la dimensione sonora: il Dolby esalta le risate dei bambini e la lingua indigena mixteca parlata dai personaggi, conducendo subito lo spettatore nell’intimità quotidiana della casa, ma anche i rumori assordanti della città e della storia (come il massacro di Corpus Christi), utilizzati come cassa di risonanza del microcosmo familiare. [Alice Casarini]
Joker di Todd Philips (2019)
Nel raccontare la origin story dell’iconico villain DC, Todd Phillips si ispira per il suo Joker alle opere di Martin Scorsese degli anni ’70 e ’80. La Gotham City in cui si svolge la vicenda è una trasfigurazione della New York degradata, in preda al crimine e alla crisi economica, di quel periodo e il suo protagonista una miscela tragica, disperata e delirante dei sociopatici borderline che popolano la filmografia del regista.
Ciò che rende la caratterizzazione di Joker così unica è la straordinaria interpretazione del macilento Joaquin Phoenix, che ne fa un antieroe, un povero emarginato che diviene suo malgrado simbolo di rivincita in una società priva di empatia verso chi soffre, imprimendogli un’umanità senza precedenti, fino a rendere facile l’identificazione dello spettatore.
In Joker c’è tutto: una perfetta ricostruzione d’epoca, riusciti riferimenti all’attualità, scelte di regia incredibili, un’evoluzione del protagonista raccontata nei dettagli e in maniera sempre coerente e ottime caratterizzazioni di contorno. [Davide Vivaldi]