Always Be My Maybe: recensione
La romcom che stavamo aspettando
Always Be My Maybe – (tradotto in italiano con il pessimo Finché forse non vi separi) è l’ultima di una serie di romcom di produzione Netflix che, negli ultimi tempi, stanno finalmente dimostrando tutte le potenzialità di un genere troppo spesso vituperato e deriso, per il noto principio che “le cose da femmine” sarebbero sempre e comunque qualitativamente inferiori. Lo scarto dall’idea di film-commerciale-di-scarsa-qualità è più semplice soprattutto quando le romcom sono particolarmente riuscite come questa, che è diventata rapidamente un piccolo cult: una colonna sonora d’effetto – con una punta nostalgica verso i primi 2000-; le sottili punzecchiature alla mania del momento dei grandi chef e dei programmi di cucina, una pletora di personaggi interessanti a partire dai due protagonisti, Sasha Tran (Ali Wong) e Marcus Kim (Randall Park), e un incredibile ed esilarante piccolo ruolo per Keanu Reeves, che fa piangere dalle risate per i meno di dieci minuti in cui resta sullo schermo.
Romcom at its best – Always Be My Maybe : recensione
Always Be My Maybe è quanto di meglio ci si può aspettare da una romcom: non lesina niente dei tropi del genere che gli appassionati della sottocategoria “amici d’infanzia che in realtà si amano” aspettano con ansia: il meet cute (che qui guadagna punti con un’adorabile scena dell’infanzia dei protagonisti, che crescono in due case vicine a San Francisco); il “fattaccio” che spezza l’amicizia (in questo caso un altro esilarante momento dentro la vecchia Corolla di Marcus in cui con tutta la awkwardness del caso i due protagonisti perdono la verginità insieme prima che lei parta per il college); il nuovo incontro da adulti (orchestrato dalla migliore amica di lei, Veronica, interpretata da Michelle Buteau) quando Sasha ritorna a San Francisco dopo aver fatto fortuna nel mondo della cucina; i malintesi e le rivalità, lo sbilanciamento dei sentimenti, e infine la separazione prima del lieto fine.
Il film dosa i suoi ingredienti con indubbia maestria, dovuta oltre che alla scrittura dei due protagonisti, anche sceneggiatori, alla regia di Nahnatchka Khan (già nota per Fresh off the Boat e Don’t Trust the B*tch…). Wong e Park, amici di lunga data, hanno a lungo coltivato il progetto di scrivere una romcom, e dopo aver ricevuto moltissime richieste hanno creato il primo script di Always Be My Maybe, includendo Khan nel progetto fin dalle sue prime fasi (come raccontano in questa intervista).
Devin Gordon, nell’articolo del New York Times dedicato al film, lo definisce efficacemente “genere in superficie, sovversivo nei dettagli”, e non possiamo che sposare questa considerazione: Always Be My Maybe riesce nella triplice impresa di essere una romcom non sessista, di portare sullo schermo una (numerosa e variegata) comunità quasi sempre ignorata, e di essere assolutamente godibile, a tratti esilarante – complice sicuramente la scrittura di due comici di talento.
Spam of my heart – Always Be My Maybe : recensione
Per quanto sia Wong che Park abbiano dichiarato a più riprese che non era loro intenzione creare un film “statement” che contenesse a tavolino tutti gli elementi per costituire una più che necessaria e tardiva rappresentazione della comunità Asiatico-Americana, il risultato finale è senza dubbio di valore anche perché i due autori riescono a portare sullo schermo non solo due personaggi asian-american, ma un’intera comunità finora quasi costantemente ignorata, se non rappresentata attraverso stereotipi e tropi negativi.
Always Be My Maybe, invece, include un’infinità di dettagli che rendono il film una rappresentazione efficace della grande comunità asiatica di San Francisco, a partire dal quartiere in cui vivono i due amici, che è proprio il quartiere in cui è cresciuta Ali Wong. Le molte comparse, in particolare nelle scene ambientate nei vari locali dove si esibisce la band di Marcus, gli Hello Peril, sono tutte volutamente asiatiche, per rispecchiare quella che è effettivamente la composizione demografica della città che normalmente viene cancellata. Il cibo, anche per ragioni di sceneggiatura visto che Sasha è una famosa chef, la fa da padrone, e viene utilizzato come una marca importante delle tradizioni e delle abitudini dei personaggi. Se è la cucina – in questo caso coreana – a unire la Sasha bambina con la tenera mamma di Marcus che le insegna i primi rudimenti del mestiere, si è registrata una diffusa commozione per una delle prime scene in cui si vede la giovanissima Sasha prepararsi un piatto di riso e Spam (una nota marca di carne in scatola), apparentemente un’abitudine diffusa nella comunità asiatico-americana e un piccolo dettaglio che conferma l’attenzione e l’accuratezza della storia scritta da Park e Wong.
L’elemento più divergente rispetto agli stereotipi tipici sui personaggi asiatici sono, però, i genitori dei protagonisti, in particolare l’adorabile padre di Marcus, Harry (James Saito). I genitori del film sono ciò che di più distante si può pensare dai freddi, rigidi e anafettivi genitori asiatici che siamo soliti vedere e sono invece buffi, affettuosi, scherzosi e talvolta irriverenti, persino più liberi e incuranti delle convenzioni rispetto ai loro figli che annaspano nelle difficoltà della vita adulta.
In ogni caso, la bellezza del flm sta proprio nella semplicità con cui tutti questi dettagli sono inseriti nella narrazione: i personaggi sono complessi e sfaccettati, senza che la questione della loro etnicità sia al centro della storia. Non uno statement quindi, semplicemente personaggi asiatico-americani che vivono le loro vite. Il fatto che nel 2019 questo sembri sorprendente dà la misura di quanto questo film fosse necessario.
Sasha is going places – Always Be My Maybe : recensione
Dopo una infinità di titoli in cui la donna con la carriera di successo veniva immancabilmente rappresentata come sola e infelice (oltre che terribilmente fredda e stronza) fino a che l’uomo semplice (ma virile) di turno la riportava finalmente verso le vere gioie della vita (ovvero il matrimonio e l’amore romantico), è decisamente rigenerante vedere un film in cui questo terribile tropo da romcom viene ribaltato. Se inizialmente, infatti, anche Always Be My Maybe sembra rientrare in questa casistica – anche se la solitudine di Sasha sembra più causata dall’abbandono del primo fidanzato socialite e narcisista (Daniel Dae Kim) – man mano che il film prosegue tratteggia con maggiore complessità i caratteri dei due personaggi e i rapporti tra i due, oltre il temuto scoglio della carrierista fredda che non vuole cedere all’amore di un uomo in fondo poco interessante. Marcus ci viene mostrato come ripiegato nella sua semplice quotidianità tra il lavoro con il padre e la sua storica band certamente per mancanza di coraggio ma anche perché ama la sua vita così com’è, è un uomo buono cui piace vivere nella propria pelle. E Sasha per quanto si senta sola, priva di cose “autentiche” nella sua vita dorata di chef e non riesca ad “accontentarsi” mai di quello che ha, ci viene mostrata come risolutamente non disposta a rinunciare o rallentare la sua carriera (stellare) per tenere il passo di Marcus. I due, inoltre, continuano a supportarsi a vicenda, persino durante i conflitti.
Wong ha desiderato fortemente che questa produzione potesse rappresentare una vera innovazione nel genere, anche a partire dal cast tecnico che contava – oltre a lei nel triplice ruolo di sceneggiatrice, attrice e produttrice, e alla regista Nahnatchka Khan – un nutrito gruppo di donne: il loro punto di vista innovativo ha reso il film una boccata d’aria fresca, soprattutto se si pensa che Sasha Tran è forse una delle prime protagoniste di una romcom (escludendo parzialmente uno dei titoli storici del genere, Il diavolo veste Prada) che alla fine riesce a ottenere sia l’uomo sia il lavoro dei suoi sogni – ed è particolarmente poetico che alla fine la rinnovata e riscoperta autenticità della sua vita passi per entrambi, con la creazione di un vero ristorante coreano in onore della mamma di Marcus.
E in fondo la storia di questo film è anch’essa una storia quasi fantastica di agency e presa di parola: invece di aspettare che finalmente facessero una romcom con personaggi a loro somiglianza, Park e Wong hanno deciso di scriverla e interpretarla da sé. E se per riuscirci hanno dovuto prendere a pugni Keaunu Reeves, alla fine i risultati gli danno ragione.
Lucia T. | ||
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