Wine Country: recensione del film Netflix
La sorellanza secondo Amy Poehler
Wine Country, prodotto da Netflix e diretto da Amy Poehler (protagonista della serie Parks and Recreation) è un film corale incentrato su sei amiche alle soglie dei cinquant’anni, che decidono di festeggiare il cinquantesimo compleanno di una di loro con un viaggio nella Napa Valley in California, famosa per i paesaggi collinari e la produzione viticola.
La festeggiata Rebecca (Rachel Dratch), non vuole che si parli troppo della sua età, ma l’amica organizzatrice Abby (Amy Poehler) la pensa diversamente. Insieme, le sei donne dovranno confrontarsi con il bilancio dolceamaro delle loro vite, che metterà alla prova la forza della loro ventennale amicizia.
Wine Country è un film che avrebbe molto potenziale, ma che non è stato purtroppo del tutto sfruttato. Le premesse erano tutte positive: Amy Poehler, attrice comica al suo debutto alla regia, riunisce alcune delle migliori autrici e performers del Saturday Night Live, come Maya Rudolph, Rachel Dratch, Ana Gasteyer, Paula Pell, Emily Spivey e Tina Fey; tutte le protagoniste sono donne di mezza età, uno dei gruppi demografici meno rappresentati nella storia di Hollywood; la loro sorellanza è rappresentata senza stereotipi e senza il classico triangolo amoroso che mette una donna contro l’altra e testa la loro amicizia, come in molte commedie teen; infine, il film passa a pieni voti il test di Bechdel, che determina la rilevanza e rappresentazione di personaggi di sesso femminile in una storia. Qui le donne parlano, parlano molto, parlano fra di loro, e la presenza maschile è ridotta al tuttofare di casa, interpretato con grande autoironia da Jason Schwartzman.
Le sette attrici (includendo anche Tina Fey che appare in un ruolo secondario) sono amiche di lungo corso anche nella vita, e si vede. Ma forse si vede troppo. Ci sono infatti molti inside jokes, battute autoreferenziali che non sempre possono essere colte da un pubblico che non ha familiarità con il lavoro pregresso delle attrici nel Saturday Night Live o con la cultura pop americana. La prima parte del film è quella che risente maggiormente dell’insularità della recitazione delle protagoniste e alcune battute cadono nel vuoto. La regista ama le sue amiche/colleghe e a volte indulge eccessivamente del lasciar loro spazio per l’improvvisazione, con il risultato di far rallentare il ritmo della narrazione e rendere il film a tratti noioso.
La seconda parte è migliore, la regia di Amy Poehler si stacca finalmente dall’aneddotica personale di ogni amica/collega per ripristinare una narrazione corale e un plot più strutturato. Senza troppi spoiler, i momenti migliori sono i dialoghi post-sbornia, lo scontro generazionale tra le cinquantenni e i millennials in una galleria d’arte, e tutte le scene con Tina Fey nei panni di una stravagante proprietaria di lussuose ville californiane.
Nonostante il film si concentri eccessivamente su sketch individuali piuttosto che su un insieme coeso, ha comunque il grande merito di raccontare una storia di sorellanza femminile in cui le protagoniste hanno più di quarant’anni e lo dimostrano, non indulgono in abbellimenti fittizi o romanticismi forzati, non disdegnano il sesso occasionale, e soprattutto sanno come andare d’accordo, aiutate da buon bicchiere di vino.
Maria Elena D. | ||
6 1/2 |