Noi – Us di Jordan Peele – Recensione
Dopo Get Out, torna l'horror politico di Jordan Peele con Us
Us – in italiano Noi – è il secondo film diretto da Jordan Peele, autore che si è ritagliato uno spazio importante nella cultura pop di questo decennio. Prima da comico protagonista del varietà Key & Peele, insieme a Keegan Michael Key, poi esordendo nella scena horror col film Scappa – Get Out del 2017. Da allora, Peele ha deciso di fermarsi come autore nell’ambito fantascientifico/horror, con progetti di varia natura. A questo punto del 2019 sono già usciti i primi episodi del suo reboot di The Twilight Zone e la web comedy sci-fi Weird City per YouTube. Ma il titolo più atteso era senza dubbio il suo nuovo film: Us, la storia di un’ordinaria famiglia americana perseguitata dal proprio doppio.
Da home invasion a life invasion – Noi – Us di Jordan Peele – Recensione
Più che un home invasion, Us si potrebbe definire life invasion, tant’è che si sviluppa soprattutto come inseguimento attraverso spazi non claustrofobici. Viene così tolto l’accento dal privato della casa borghese che di solito ospita questo tipo di racconto: è rappresentata anch’essa – addirittura doppia, prima quella dei protagonisti, poi quella degli amici – ma è soltanto una delle tappe di una corsa disperata attraverso un mondo ben più vasto.
Us è retto in larga parte dai suoi attori: nonostante la buona regia di Peele, il film sarebbe depotenziato senza una grande performance fisica di chi presta la faccia e il corpo alle coppie di personaggi. Fondamentale l’interpretazione di Lupita Nyong’o, diva che crea due personaggi fortissimi nei panni di Adelaide e di Red. Anche il resto della famiglia (Winston Duke, Shahadi Wright Joseph e Evan Alex) e l’Adelaide bambina (Madison Curry) infondono vita e brivido alla storia che scorre sullo schermo. Resta impressa Elisabeth Moss, che si rivela dotata per l’horror – e potenzialmente un’ottima Joker, se mai ci dovesse essere un genderswap.
SPOILER ALERT – Noi – Us di Jordan Peele – Recensione
In Us, la paura è suscitata soprattutto da quella che inizialmente sembra la manifestazione di un’ombra interiore, la nostra stessa faccia che ci viene a prendere, sconvolta, sogghignante, incattivita. Lo svelamento finale ci rivela invece che non solo il personale è politico, ma è anche collettivo. L’allegoria in sé è abbastanza semplice, esplicitata negli ultimi minuti: l’America sotterranea è emersa per reclamare il suo spazio vitale, ponendo fine alla condizione di privilegio vissuta dagli ignari abitanti della superficie.
Peele crea un amalgama di citazionismo e remix pop figlio di questi tempi, che pesca a piene mani dalla tradizione horror/weird. Oltre ai film apertamente citati come Shining, C.H.U.D., Lost Boys e molti altri, si avverte forte l’eco dei Morlock e degli Eloi di The Time Machine di H.G. Wells e dei suoi adattamenti. Le immagini speculari create da Peele sono precedute da quelle dell’episodio Mirror Image di The Twilight Zone e dal film britannico del 2008 The Broken, che ha un twist finale molto simile.
Anche se l’idea di partenza di Us non è troppo originale – ci si sta confrontando con un tema archetipico come quello del doppelgänger – lo sviluppo che ne fa Peele invece riesce a esserlo, nonostante tutte le ispirazioni di cui sopra. È un film che cresce ancora dopo la visione, grazie alle immagini fortissime che si lascia alle spalle. C’è l’idea poetica della tua ombra che vuole acquisire indipendenza, recidendosi da te con un paio di forbici (te le pianterà nel collo, ma quello è un altro discorso). C’è l’ingresso della bambina nel mondo sotterraneo del luna park. C’è la danza di Adelaide e Red. Ci sono i tethered (i doppi) che si tengono per mano attraverso la vastità dell’America, stabilendo una linea di confine e rendendo visibile la divisione. E c’è Elisabeth Moss che si mette il rossetto e si sfregia davanti allo specchio.
L’horror politico – Noi – Us di Jordan Peele – Recensione
Si parla molto dell’horror “alto” e di come la distinzione tra esso e un supposto horror meno rilevante non abbia sempre molto senso. Anche se Jordan Peele non ha mai usato l’espressione “elevated horror”, per i suoi film (a differenza di altri autori contemporanei), ha descritto Get Out come un “social thriller”, ma ha puntualizzato di considerare Us come un film dell’orrore tout court.
Come fa notare Ilgiornodeglizombi, Peele rientra nella tradizione dell’horror politico, come quello di George A. Romero. Come detto da Esquire, i tunnel sotterranei evocati dalla didascalia iniziale sembrano richiamare quelli di La ferrovia sotterranea, romanzo Pulitzer nel 2016, in cui l’elemento sovrannaturale crea l’unico spiraglio di speranza nella realtà dello schiavismo delle piantagioni. Il parallelo in Us regge, anche se il film di Peele traduce il discrimine razziale in quello di classe, decostruendo il sogno americano, come notato da Loudvision. Ma quello di Peele è anche un horror che ha ripreso il suo posto nel mainstream, con incassi eccellenti (numeri), come è stato anche per It, The Nun, A Quiet Place, Annabelle: Creation e lo stesso Get Out in quest’ultimo biennio. Insomma, con Us, Peele ha confermato la sua importanza nell’horror, sia con i contenuti, sia con i numeri.
Senza nulla togliere al suo meritato successo, nel film si può trovare anche qualche difetto. La parte finale è pericolosamente vicina all’idea di “spiegone” e potrebbe far storcere il naso ai più precisi: non torna esattamente tutto (il mondo sotterraneo si trova ovunque, in ogni metro quadrato degli USA? Perché Red non rivela subito di essere l’Adelaide originale?), eppure quella parte è impostata secondo canoni fin troppo razionali. C’è una vaghezza eccessiva in un discorso che invece vuole imporsi come fin troppo esaustivo. È un ossimoro narrativo perché solleva una quantità di domande, quando invece il suo obiettivo è quello di risolvere la trama. E sono domande che il pubblico non era nemmeno invogliato a porsi, finché credeva che i doppi fossero una misteriosa manifestazione del sovrannaturale. Oltre a questo, c’è qualcosa di scricchiolante nella “linea comica” affidata al personaggio del marito, con uno humor che spesso stempera il ritmo, raffreddando il legame tra pubblico e materia narrativa. Nonostante qualche crepa, però, Us rimane una bella seconda prova per Jordan Peele e un horror affascinante, destinato a durare.
Sara M. | ||
7½ |