6 serie per dimenticare il World Congress of Families
La maratona di Cinema Errante per sopravvivere al #WCF di Verona
E mentre a Verona dispensano souvenir anti-aborto, Cinema Errante continua a dispensare consigli per superare il weekend del World Congress of Families. Dopo sei rimedi cinefili, oggi è la serialità a liberarci dal male. E se volete scendere in piazza, vi aspettiamo al concentramento di questo pomeriggio – presso la Stazione di Verona Porta Nuova, ore 14.30 – per lottare insieme.
Dimenticare il World Congress of Families – Rimedio:
Storie di ispirazione per tutt* (contro i mostruosi gadget feto)
Charmed (2018-In corso)
Il reboot della serie degli anni Novanta ha approfondito, migliorato ed esaltato le premesse proposte dal suo pilot. Lasciando un po’ da parte le polemiche, pure sensate, sulla cultura di origine delle attrici, la serie ha proceduto a scrivere delle personagge di grande impatto sull’immaginario contemporaneo e sul femminismo intersezionale. Le tre sorelle hanno sviluppato nel tempo caratteristiche specifiche senza mai essere statiche o monolitiche, e ancora una volta sono le relazioni – di sorellanza in senso stretto o solidarietà in forma più ampia, e comunque non solo fra donne – a dare valore al racconto. La differenza dei soggetti messi in scena e la processualità dei rapporti permette molte forme di identificazione con mescolanze culturali e posizionamenti del desiderio non normativi e ribelli in vari modi. [Ilaria De Pascalis]
The Handmaid’s tale (2017-In corso)
La storia di un futuro distopico non troppo lontano in cui gli Stati Uniti, in seguito a un aumento dei disastri ecologici causati dall’uomo che hanno portato a sterilità di massa e crollo verticale della natalità, sono in preda a una guerra civile per l’istituzione di Gilead, totalitarismo teocratico cristiano. Lo showrunner Bruce Miller e le altre scrittrici hanno creato un universo di radicale attualità, che riflette su alcune questioni dolorosamente irrisolte, primo fra tutti il maschilismo e la violenza di gender che tornano a soffocare la vita di tante donne e altre persone non-privilegiate, anche a livello istituzionale. Una serie che riesce a mostrare le strutture di controllo e produzione dei soggetti, senza semplificare i livelli di violenza del patriarcato. Ma la lotta dell’Ancella è anche contro un modello politico ordinato, a suo modo rassicurante: la sfida è creare comunità alternative attraverso la differenza come valore. [Ilaria De Pascalis]
The OA (2016-In corso)
È appena tornata con la sua Part II la serie più strana e innovativa di Netflix, degna erede di Sense8 ma anche di Twin Peaks. In The OA, i personaggi formano tra loro legami che vanno oltre la tradizionale amicizia, diventando una famiglia dalle connotazioni queer: non composta attraverso i legami di sangue, ma fondata sul supporto e l’accettazione reciproci, capace di colmare i vuoti lasciati da famiglie assenti e non disposte all’ascolto. Da outsider, trasformano l’inadeguatezza che li tormenta in un valore positivo, diventando veri e propri eroi. [Sara Mazzoni]
Orange Is The New Black (2013-2019)
Lo show racconta la vita in carcere di donne non-bianche, non-eterosessuali, non-borghesi, cercando di guardare alle donne secondo punti di vista molteplici, e mantenendo uno sguardo intersezionale sulle differenze: razza, queerness, posizioni culturali ed esperienze delle sue tante protagoniste. La serie insomma privilegia la molteplicità dei corpi e delle soggettività delle donne, senza nascondere la loro difficoltà di relazionarsi alle istituzioni (carcerarie e non, a loro volta raccontate in modo complesso e mai anonimo) e di resistere al potere, cercando sempre di andare nella profondità dei rapporti e delle differenze. [Ilaria De Pascalis]
Sense8 (2015-2018)
Otto sconosciuti sviluppano una connessione telepatica tra loro. Perché Sense8 è il rimedio perfetto per dimenticare il World Congress of Families? È un intrattenimento nato dall’esigenza di mutare l’immaginario collettivo in uno spettacolo senza limiti di gender, nonché uno tra gli universi sci-fi/queer più interessanti di sempre. La rappresentazione di una queerness condivisa da tutt* è allo stesso tempo uno dei ritratti più rivoluzionari, ma anche ordinari in cui ritrovarsi. Il tutto raccontato attraverso l’estetica mistica-tamarra delle sorelle Wachowski, alle quali possiamo solo dire grazie! [Giacomo Brotto]
Skam Italia – Stagione 2 (2018)
Alcuni personaggi della serie social transnazionale più diffusa fra gli adolescenti sono connotati anche dalla loro appartenenza in modo molto diverso alla comunità LGBTQIA+, e soprattutto nella versione italiana portano una scrittura complessa e sofisticata. Cercando di tenersi al riparo da troppi spoiler, la narrazione sia della loro esistenza nel gruppo che soprattutto del coming out di uno di questi personaggi, avvenuta nel corso della seconda stagione nella versione italiana, ha visto una grande capacità di tenere insieme la tensione, la paura, ma anche il desiderio e la consapevolezza del cambiamento in atto. Nulla è stato semplificato, non si è cercato di minimizzare alcune ansie, ma neppure di amplificare il drama: tutto è equilibrato rispetto alle storie raccontate, senza togliere mai intensità emotiva e identificazione per chi interagisce con queste narrazioni. [Ilaria De Pascalis]
BONUS per dimenticare il World Congress of Families
Carmilla (2014-2016)
Un piccolo gioiello che intreccia ironia, queerness e romance, giocando con le strutture narrative del racconto di vampiri. Fantasy e diversità al grido di “We do not apologize for the hardcore” – “non ci scusiamo per la figaggine” – sottolineando l’importanza della manifestazione della propria diversità e unicità come punti di forza di ciascun soggetto. [Ilaria De Pascalis]
Buffy The Vampire Slayer (1997-2003)
Potrei fare un elenco infinito di tutte le cose bellissime che Buffy ci ha regalato e non penso che finirei mai più (oh, potrei provarci: ragazze che si salvano da sole dai mostri; rappresentazioni dell’amicizia realistiche, affettuose, sentite; relazioni giovani-adulti improntate all’aiuto e al supporto e non stereotipate; relazioni amicali e amorose complesse tra donne; rappresentazioni della sessualità femminile e maschile non improntate alla colpevolizzazione e allo shaming generico – ed era la fine degli anni ’90 -; racconto della scoperta di una sessualità più fluida fatto con empatia e affetto; Il primo bacio lesbico nella storia della televisione generalista per teenager; episodi di rara bellezza registica e di sceneggiatura; esplorazione dei generi fatta con humor e intelligenza; storie che riguardano una infinita varietà di emozioni umane – vergogna, voglia di riscatto, invidia, disperazione, engagement, desiderio, apatia, rassegnazione, rabbia, gioia, pentimento, cambiamento, etc.etc.etc.-; il racconto della morte e della perdita di un genitore; la perdita di un partner per scelta o per ragioni per noi incontrollabili; la più grande parabola della famiglia che ti scegli e che è fondamentale per la tua vita; una lunga serie di rappresentazioni complesse e mai banalizzanti della violenza di genere – cosa non facile per una serie il cui fulcro era uccidere i mostri -; la rappresentazione della sorellanza tra donne che sfida secoli di dominazione patriarcale…. scusate se è poco e dimentico sicuramente miliardi di cose…).
Tra le milioni di scene, battute, cose che amo alla follia, impossibile in questo momento non citarne almeno una, l’apertura di quel capolavoro incredibile che è “Once More with Feeling“. Perché Buffy riesce anche a raccontare in maniera efficace un tema complesso come la depressione e il trauma, facendolo passare attraverso un episodio cantato. Trovare una ragione per continuare a combattere nonostante ci si senta perse, senza più motivazioni e senza più punti di riferimento. Dopo essere state – letteralmente – all’inferno e ritorno.
E di tutte le cose che devo a Buffy, la cosa più potente è che ha creato un luogo dove poter sempre tornare, ricaricare le pile e ripartire, un mondo in cui una parte di te – chiunque tu sia e in qualunque momento della tua vita tu sia – sarà sempre capita.
I’m the thing that monsters have nightmares about. [Lucia Tralli]
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