Classifica Oscar, il miglior film dal peggiore al migliore
Il meglio e il peggio dei "film da Oscar" dal 2011 al 2018
È tempo di Oscar, anche se non sarà una premiazione come le altre. Per la prima volta dopo 30 anni, e per la settima volta nella storia del premio, la Notte degli Academy Awards non avrà un presentatore. Il comico Kevin Hart, conduttore designato, ha infatti rinunciato all’incarico in seguito alle polemiche scaturite dalla diffusione di alcuni suoi tweet omofobi del passato, e l’Academy ha deciso di non sostituirlo. La cerimonia – che in Italia può essere seguita in chiaro su TV8 a partire dalle 23.40 – sarà quindi condotta dagli stessi ospiti, che di volta in volta provvederanno alla consegna dei premi.
In attesa dei risultati di quest’anno, Cinema Errante ha tirato le somme sulle ultime otto edizioni e vi propone una classifica dei vincitori della categoria Miglior Film, secondo i gusti della redazione, dal 2011 a oggi. Ecco il meglio e il peggio dei “Film da Oscar”.
Il caso Spotlight porta avanti la nobile tradizione delle investigazioni giornalistiche sul grande schermo. Un cinema di denuncia in grado di coniugare impegno e intrattenimento, che non ha paura di affrontare tematiche senza dubbio scomode e, soprattutto nel nostro paese, dallo scarso rilievo di cronaca. [Eugenio De Angelis]
#7. The Artist (2012)
Operazione giocata tutta sulla superficie dell’immagine, che celebra un immaginario cercando di giocare su alcuni punti cardine della storia del cinema in senso narrativo, visivo e acustico/sonoro. Lo fa in modo esile e spesso sbruffone, benché mantenendo un effimero fascino. [Ilaria De Pascalis]
Un film che certo ha poco o nulla di innovativo, ma che è classicamente bello e praticamente senza difetti (forse pecca appena appena nella costruzione un po’ stereotipata dei personaggi secondari, come Winston Churchill, o Wallis Simpson); rimane l’impressione che senza i tre attori di grande calibro sopra citati sarebbe valso molto meno. [Chiara Checcaglini]
Argo è il titolo del film di fantascienza che ha funzionato da copertura per la liberazione dei sei ostaggi: un solidissimo impianto di spy story misto a film di guerra, attraversato da squarci di commedia e di film politico alla ‘New Hollywood, in cui in più di un’occasione le angosce dei sei ostaggi sono adeguatamente esemplificate dal ricorso alle armi del ‘genere’. Argo merita il prezzo del biglietto fino all’ultimo centesimo. [Edoardo Peretti]
#4. La forma dell’acqua (2018)
Il film mette l’indubbio talento visivo di Del Toro al servizio di una storia che punta anzitutto sul romanticismo da fiaba, offrendo allo spettatore la possibilità di sognare ad occhi aperti. In questo senso, l’abbondanza di riferimenti cinefili, che spaziano dalla fantascienza anni ’50 allo spionaggio, fino al musical, rafforza l’atmosfera vintage che avvolge la vicenda. Un film molto furbo e stratificato, al netto delle prove degli attori e di singole sequenze, come quella (straordinaria) della sala che si allaga. [Davide Vivaldi]
il film che segna il passaggio di Steve McQueen da una visione “autoriale” e “personale” tout court a una visione sempre molto personale, ma allo stesso tempo maggiormente inserita nei canoni dell’industria cinematografica americana più mainstream. Tutto ciò non toglie il fatto che il regista inglese abbia comunque realizzato un’opera di una certa importanza, fosse solo per la cruda e sincera rappresentazione della violenza che non fa sconti o per gli interessanti spunti di riflessione strettamente storiografica (a questo proposito consigliamo di dare uno sguardo a questo articolo). [Edoardo Peretti]
È difficile non pensare al successo di Moonlight senza iscriverlo all’interno della polemica #OscarSoWhite – legata a una Academy storicamente poco virtuosa nel premiare o nominare artisti e titoli afroamericani – o senza contestualizzarlo nell’America del “Black Lives Matter“, il movimento attivista contro il razzismo e la diseguaglianza verso gli afromericani. Se poi si considera anche la sfera LGBT+, nessuna pellicola a tema era mai stata insignita dell’Oscar per il miglior film. Un premio politico, dunque, mirato a colmare la mancanza di diversity nel cinema statunitense e che chiude un occhio sui manierismi del film. Al di là di politica e imperfezioni, Moonlight è un cinema necessario che può contare su una forte storia autobiografica e un cast in stato di grazia. [Giacomo Brotto]
Alejandro González Iñárritu offre il destro a Michael Keaton per una delle sue migliori prove recitative, con il ritratto grottesco e, in gran parte, autobiografico di un attore in declino divenuto famoso vent’anni prima per aver interpretato un supereroe e alle prese con l’allestimento di un dramma che dovrebbe rilanciarne la carriera a Broadway. Fra serrati confronti verbali di solido impianto teatrale (nei quali prende corpo lo scontro di personalità fra il protagonista e un primattore arrogante interpretato da un altrettanto istrionico Edward Norton) e surreali divagazioni che citano lo stile pirotecnico dei cinecomics Marvel e DC, attore e personaggio, realtà e palcoscenico si fondono a più livelli in una messinscena talvolta spassosa, talvolta drammatica, a tratti geniale e molto spesso sopra le righe. [Davide Vivaldi]