Black Panther: Le donne di Wakanda
L'ultimo film di casa Marvel ci regala una nuova utopia, un mondo senza patriarcato
È una stagione d’oro per il Marvel Cinematic Universe: dopo le sperimentazioni futuristiche-kitsch di Thor: Ragnarok (probabilmente il più divertente e psichedelico film Marvel di sempre) arriva ora sugli schermi uno dei titoli più attesi in assoluto: Black Panther.
Il pubblico ha fatto la conoscenza di Re T’Challa (Chadwick Boseman, eccezionale) e del regno di Wakanda in Captain America: Civil War dove il nostro eroe cercava di vendicare l’assassinio del padre Re T’Chaka alleandosi con TeamIronMan per poi dare rifugio ai ricercati Captain America e Bucky – Winter Soldier – Barnes sul finale.
Black Panther ci trasporta quasi immediatamente nel regno di Wakanda subito dopo gli eventi di Civil War. T’Challa sta per essere incoronato re di questo regno africano nascosto che – grazie a un fortunoso asteroide – è patria dell’unico deposito al mondo di vibranio, il metallo più forte esistente in natura, con proprietà eccezionali che hanno permesso a Wakanda di prosperare da un punto di vista economico e scientifico-tecnologico più di ogni altro paese, riparata dagli occhi del mondo da uno scudo di vibranio che nasconde alla vista esterna i suoi tesori.
Si potrebbero scrivere interi libri su questo film che in maniera magistrale e coraggiosa, necessaria per i tempi in cui viviamo, affronta di petto colonialismo e post-colonialismo, razzismo, transnazionalismo nero, lotte per i diritti civili, panafricanismo, diaspora con un’infinità di riferimenti diretti o sottili, mantenendo però intatta la prospettiva coerente al genere fantastico dei supereroi. Tutto a Wakanda, dai colori degli abiti ai dettagli di ogni singolo personaggio, dalla musica alle architetture, è curato nei minimi dettagli per costruire un mondo Afro-futuristico che omaggi le radici culturali africane. Incredibile, su tutti, il lavoro della costumista Ruth Carter (e per le fan della maglia, se volete, c’è il pattern gratuito per riprodurre la strepitosa sciarpa verde di Nakia)
Da parte nostra, scegliamo di concentrarci su un elemento centrale del mondo di Wakanda, perché questo mondo utopistico che non è mai stato colonizzato presenta infatti un ulteriore elemento di meraviglia ben più straordinario della tuta in vibranio che cola letteralmente dalla collana di T’Challa, un mondo (quasi) non patriarcale.
Sono infatti le donne di Wakanda a colpire per la ricchezza dei loro personaggi e per i ruoli che vengono loro affidati, tutt’altro che da comprimarie. Perché se è vero che ogni film Marvel è ben più corale di quello che sembra a una prima occhiata, questo Black Panther sarebbe impossibile senza le straordinarie donne che circondano quasi costantemente T’Challa – in un cast che ancora più straordinariamente raggiunge la parità di genere. Ben lontane dalla singola “Puffetta” di turno che da sempre infesta i film del genere – nonostante i tentativi anche riusciti di creare personaggi a tutto tondo (da Peggy Carter a Black Widow) – Nakia, Okoye e Shuri sono un gruppo efficace e affiatato senza le quali T’Challa potrebbe ben poco, anzi, è lui a “farle restare indietro” come giustamente fanno notare loro nel bell’inseguimento nella sezione coreana del film: “ci raggiungerà” si dicono, mentre partono all’inseguimento del perfido Ulysses Klaue (Andy Serkins) senza aspettare “l’eroe”.
La Generale: Okoye (Danai Gurira, nota per il suo ruolo di Michonne in The Walking Dead), capo delle Dora Milaje guardia personale del Re composta da sole donne, pericolosissime e armate di picche mortali, ispirate a un gruppo realmente esistito in quella che oggi è la Repubblica del Benin, poi denominato dagli esploratori occidentali le Amazzoni Dahomey.
Okoye è una vera combattente, fedelissima a Wakanda e ai suoi principi, in cui crede al punto da porli al di sopra dei propri affetti e fedeltà personali. Sarà per lei fonte di enorme conflitto dovere scegliere da che parte stare tra il re T’Challa e il suo legittimo (per le leggi millenarie di Wakanda) rivale, Erik Killmonger (un intenso Michael B. Jordan) – probabilmente il “miglior cattivo” Marvel di tutti i tempi, o almeno quello motivato dalle ragioni più comprensibili (sì, Loki e le tue frignosissime pretese di salita al trono, ce l’ho con te).
La spia: Nakia (Lupita Nyong’o) è uno dei personaggi più complessi del film: allevata come guerriera, crede nei valori di Wakanda ma non riuscendo a scendere a compromessi con il suo desiderio di aiutare le altre popolazioni in difficoltà intorno al regno protetto, l’ha abbandonata per essere utile nel mondo con le sue capacità, abbandonando così anche il suo fidanzato, T’Challa. Incontriamo Nakia all’inizio del film, apparentemente rapita insieme ad altre donne da un gruppo di terroristi (che richiamano iconograficamente le immagini di Boko Haram) e con Black Panther che sembra accorrere in suo soccorso. Scopriamo presto che era invece lei a essere impegnata in una missione di salvataggio sotto copertura e che è lui che la disturba perché la rivuole accanto a sé per la sua salita al trono. Il rapporto tra i due è chiaramente irrisolto e complesso, perché entrambi danno maggiore valore ai loro ruoli nella comunità che non alla loro relazione, ma tra i due è T’Challa ad avere sempre bisogno della guida politica e morale di Nakia.
Nakia crede in Black Panther e Wakanda, ma a differenza di Okoye crede in questo re e in questa Wakanda, non in ideali disincarnati dalle persone, ed è disposta a sacrificare tutto pur di salvare non solo T’Challa, ma ciò in cui crede. La scelta finale del re di aprire Wakanda e i suoi tesori al mondo è chiaramente influenzata in larga parte da Nakia e dalla sua visione.
La scienziata geniale: Shuri (la giovanissima Letitia Wright), sorella adolescente di T’Challa, è forse la sorpresa più inattesa e più gradita di questo film. Impossibile non paragonarla all’altro genio di casa Marvel, Tony Stark, che però perde clamorosamente il confronto con l’energia e la visione di Shuri. Esperta di tecnologie e genio nerd, Shuri (come Tony) non lesina i complimenti meritati a sé stessa per essere la mente dietro a tutte le incredibili invenzioni di Wakanda e dintorni: dal sistema di estrazione e trasporto del vibranio all’algoritmo che salva la vita al “token” personaggio bianco, Everett Ross (Martin Freeman – not pictured: la mia soddisfazione di poter scrivere questa frase senza ironia), dalla tuta di Black Panther a ogni singolo gadget elettronico. Shuri, con il suo entusiasmo e la grinta con cui gestisce il laboratorio – e con cui poi si lancerà in battaglia quando necessario – è il vero futuro non solo di Wakanda ma anche del pianeta. Senza contare che è lei a pronunciare le battute più memorabili del film: “non mi spaventare così, colonizzatore!” rivolta, con un poco velato pizzico di ironia e rivalsa, al povero Everett Ross definito poco prima “un altro uomo bianco rotto da aggiustare”. Un altro perché la scena finale del film ci mostra chi altro Shuri ha aggiustato con la sua magia, oops scienza: nient’altro che Bucky Barnes, riportato in sé dopo più di 70 anni di lavaggio del cervello da parte di qualsiasi governo o malefica organizzazione abbia incontrato sul suo cammino. E non può che essere esaltante vedere che solo la teenager geniale della utopistica Wakanda africana ha potuto riparare quello che le forze colonizzatrici occidentali non ha fatto nient’altro che calpestare e distruggere.
L’utopia di Wakanda, mondo non colonizzato e (quasi) non patriarcale risulta ancora più lampante dall’immediata violenza e noncuranza che Killmonger dimostra verso la componente femminile della società di Wakanda, segno come hanno notato in molti, che il suo personaggio non solo ha “imparato” dal mondo occidentale in cui è cresciuto la violenza come unico mezzo per ottenere il potere, ma ne ha anche interiorizzato la profonda misoginia.
E se è vero che è T’Challa a prevalere nell’inevitabile combattimento corpo a corpo finale, senza Okoye alla guida delle Dora Milaje e Nakia e Shuri, la battaglia non sarebbe stata mai vinta.
La Generale guerriera, la Spia dagli alti ideali politici e la Scienziata geniale – non c’era mai stato nei film dell’intero MCU (e anche in una buona fetta di cinema non supereroistico) un tale terzetto di talento e complessità. Il film ci lascia con la nota positiva di un mondo diverso e migliore.
Wakanda Forever, ma soprattutto Donne di Wakanda Forever .
Lucia T. | Davide V. | ||
9½ | 6½ |
Ma qui stiamo scherzando vero? È un pessimo film, con pessimi attori e con una idea interessante di fondo ma sviluppata male. Manca di logica in molti punti ed ha una trama banale con attori terrificanti e monoespressivi. Poi capisco che voglia dare omaggio alle radici africane ma come può un popolo così avanzato essere ancora diviso in tribù, con una monarchia assoluta e che sceglie il Re a cazzotti?Poi se comandano gli uomini delle tribù non ti sembra sia comunque una società patriarcale e arcaica? Altra cosa, se voleva ribaltare e criticare il colonialismo razzista ed Eurocentrico dei bianchi, da parte sua elegge a popolo superiore i wakandiani, che tengono per loro stessi progresso e tecnologia chiusi nel loro isolazionismo, lasciando morire il resto dell’Africa e del mondo intero. Quindi perdonami ma sembra razzista anche questa prospettiva. Questo è un film che può piacere alle masse e sbancare in tutto il mondo, ma resta una stronzata di film per chi il cinema lo intende come arte.