I migliori film del 2017
Il best of di Cinema Errante
In quel di Cinema Errante è tempo di bilanci e classificoni di ogni tipo. Prima di affrontare il veglione di Capodanno, in redazione ci siamo divertiti a mettere nero su bianco le nostre considerazioni non richieste sui migliori Film del 2017.
Buon anno!
Giacomo Brotto: 120 battiti al minuto. La regia asciutta di Robin Campillo documenta la militanza di Act Up, un movimento LGBT di sensibilizzazione sull’AIDS. Una testimonianza di cui dovremmo andare fieri, grazie a Teodora che l’ha distribuito, non senza ostacoli.
Davide Vivaldi: Guardiani della Galassia Vol. 2. Il cinecomic secondo James Gunn giunge a completa maturazione: grottesco, coloratissimo, pieno di ironia e di citazioni pop come il prototipo, lo supera per caratterizzazioni e profondità nel suo declinare in ogni forma il tema della famiglia a ritmo di una colonna sonora rock sempre più awesome.
Eleonora Benecchi: The Square. Se l’arte moderna non fa per voi, questo film sull’arte moderna è paradossalmente un must. Non solo è ricco di immagini indimenticabili (la cena con controversa performance integrata su tutte), ma mette anche in discussione in modo non banale il mondo dell’arte e della creatività senza però svilirlo.
Giusy Palumbo: A Ciambra. Farci entrare dove difficilmente saremmo entrati, toccare le pareti umide, sentire il fumo addosso, le voci intorno. E’ solo uno dei meriti del film, contenitore di realtà, finzione, antropologia, etnografia, gioia, dolore, vita insomma. Chi, dunque, diceva che l’infanzia è un’invenzione borghese?
Giampiero Raganelli: L’altro volto della speranza di Aki Kaurismäki. Ancora un cinema umanista del regista finlandese, che vive di colori pastello con un respiro alla Tati. Raccontando di solitudini, incontri, comunità meticce. Squarciando l’ipocrisia europea sull’emergenza profughi, nel cinismo di un mondo in cui i valori multietnici sono solo nei ristoranti fusion.
Michele Boselli: Mektoub My Love: Canto Uno. Altro che passo falso, Mektoub My Love: Canto Uno è uno dei più bei film di Kechiche. Un cinema che è frutto di paziente attesa e di riflessione, ma che sullo schermo si traduce nell’irruenza istintiva di un ballo, di uno sguardo fugace, di un rapporto amoroso.
Chiara Checcaglini: Scappa – Get Out. Infilandosi felicemente nella tradizione dell’horror politico, Jordan Peele esordisce alla regia con una delle interpretazioni più puntuali del conflitto tra black culture e ipocrisia progressista bianca. Un film importante e godibilissimo, praticamente perfetto sotto ogni aspetto.
Gualtiero Bertoldi: Scappa – Get Out. Thriller, horror, allegoria delle tensioni etniche e sociali americane ma, sorpresa, prese dalla parte che tradizionalmente si vorrebbe solidale con gli afroamericani, Get Out è un film elegantissimo, solido e delicatamente ipercitazionista (sì, è possibile). E un Daniel Kaluuya in stato di grazia.
Lucia Tralli: Scappa – Get Out. Spaventoso come solo la realtà può esserlo, un film che ti incolla alla sedia incredul\* come il protagonista nella scena più iconica del film. Un horror che parla dell’oggi, di suprematismo bianco, di razzismo, di violenza, di oppressione e privilegio, e lo fa con gli strumenti della narrazione.
BONUS: i migliori film del 2016 (usciti quest’anno)
Eugenio De Angelis: Ritratto di famiglia con tempesta di Kore’eda Hirokazu. Quasi un sequel spirituale di Still Walking, con questo film Kore’eda si riafferma come il legittimo erede della tradizione di Naruse nel raccontare slice of life con una delicatezza e una profondità di sguardo commoventi. Il magnifico perdente di Abe Hiroshi è il valore aggiunto di un’opera in cui si respira la vita.
Ilaria De Pascalis: Arrival. Gli alieni portano un nuovo modello di lettura del mondo e di comprensione delle cose. Il linguaggio, il tempo e l’esperienza divengono circolari e pervasivi, e non più lineari e produttivi. Prospettive e possibilità si contaminano, e solo una studiosa del linguaggio può aprire la strada per un pensiero “altro”.
Sara Mazzoni: Arrival. La fantascienza di Arrival è la più illuminata, quella che ci parla di contaminazione e trasformazione. La sua forza non si trova negli incastri narrativi perfettamente riusciti, quanto nel cogliere quel senso di meraviglia, paura e curiosità per l’ignoto che caratterizza noi, la razza umana.