Alias Grace, thriller psicologico in costume
Il nuovo adattamento seriale e femminista di un romanzo di Margaret Atwood
Alias Grace è una miniserie di Sarah Polley trasmessa quest’autunno da CBC, la rete pubblica canadese, e poi distribuita in tutto il mondo da Netflix. Come The Handmaid’s Tale, anche Alias Grace è l’adattamento di un romanzo profondamente femminista di Margaret Atwood. All’apparenza, sembrano avere poco in comune: The Handmaid’s Tale è un incubo distopico, una grande prova di fantascienza sociale; Alias Grace è una miniserie in costume, ambientata nel Canada della metà ’800. Eppure, i due show hanno moltissimi punti di tangenza, così come i romanzi da cui sono tratti.
Alias Grace è soprattutto un thriller psicologico, in cui l’indagine sull’ambiguità della mente umana è supportata dall’analisi della condizione femminile dell’epoca – brani della quale hanno contribuito a creare il mondo di The Handmaid’s Tale, dalle velette che impediscono la visione laterale alle punizioni corporali subite dalle ancelle. E l’indagine psicologica non s’accompagna a questi temi solo per caso.
Alias Grace racconta la storia di una donna che forse è un’assassina. Nel presente narrativo è reclusa in un carcere, dove le detenute sono soggette a violenze di ogni genere. Ma Grace la violenza l’ha già conosciuta in ogni luogo in cui la vita l’abbia condotta: in famiglia, nelle case in cui ha prestato servizio come cameriera, in manicomio. Tutto quello che Grace ha imparato è che non si può fidare di nessuno, soprattutto degli uomini, e che le donne sono sempre in pericolo.
«Una donna che cade sulla schiena è come una tartaruga, non riesce più rigirarsi e chiunque ne può fare ciò che vuole», dice a Grace uno dei suoi tanti molestatori. Nella società in cui Grace vive, una donna è davvero costantemente in pericolo: se da un lato è continuamente oggetto di molestie e abusi, specie se è di bassa estrazione sociale come Grace, dall’altro un contatto sessuale può letteralmente metterla in pericolo di vita. Non sono solo gli aborti clandestini, a minacciarne la salute, ma anche la stigmatizzazione sociale che la donna subisce quando viene ritenuta compromessa: la perdita di un lavoro considerato rispettabile comporta la caduta nei gironi infernali dell’esistenza, tra estrema povertà e maggiore esposizione all’abuso, con il suicidio o la morte per fame come conclusioni.
Sarah Polley, coadiuvata dalla regia di Mary Harron e l’interpretazione di Sarah Gadon, usa questo materiale terrificante per raccontare la storia di una donna a cui non è mai permesso di appartenere a se stessa. La sua mente si frammenta, diventa un labirinto in cui il thriller psicologico ci risucchia. C’è un omicidio, che viene richiamato come un’interferenza continua durante tutta la miniserie. Grace potrebbe essere colpevole o innocente. Ma non è quello il vero climax verso cui la storia si protende.
Polley ci fa perdere negli anfratti della mente di Grace, come accade al dottore che la sta intervistando, uomo futile come tutti gli altri che hanno circondato la protagonista. La nota più significativa di Alias Grace è l’immersione in un personaggio che scritto da qualcun altro potrebbe facilmente diventare cliché, quello dell’assassina psicopatica o della casuale vittima di un errore giudiziario. Grace in definitiva non è né l’una, né l’altra.
Se vi è piaciuto The Handmaid’s Tale e volete sbirciare dietro la fiction per vedere cosa ha ispirato una storia del genere, Alias Grace è un’occasione altrettanto amara per scrutare in quell’abisso.
Sara M. | ||
7/8 |