Tutti vogliono qualcosa: la recensione
Tra racconto di formazione e cazzeggio, per Linklater il cinema continua a essere vita
A chi soffre terribilmente il caldo, e a chi ama andare al cinema anche nei mesi estivi, una gradita ventata di freschezza può essere data dal nuovo film di Richard Linklater: Tutti vogliono qualcosa, che spicca in una programmazione estiva meno, per il momento, dedita alla palla di fieno che rimbalza come in anni passati (tra recuperi sempre ben accetti dei film di Tati, lo struggente Song of the Sea e qualche cult horror come It Follows o Goodnight Mommy).
Dopo Boyhood, il regista statunitense continua la strada di un cinema il più possibile aderente alla realtà e al suo scorrere – quello effettivo come quello percepito dai personaggi -, nascondendo, con maestrale uso della “sprezzatura”, l’assoluto artifizio che è inevitabilmente alla base di una concezione del genere, e apparendo così il più possibile naturalista, sempre a dispetto dell’artificiosità di fondo; se Boyhood cercava però di imprimere sullo schermo ogni aspetto della crescita, da quelli più drammatici e problematici a quelli più sereni e gioiosi, Tutti vogliono qualcosa vuole essere la rappresentazione di elementi più definiti (almeno all’apparenza) e tutti in qualche modo positivi: l’entusiasmo di una nuova esperienza in un momento decisivo della crescita, le speranze connesse, l’essenza gioiosa e sublimemente sciocca dell’amicizia virile e il fascino discreto e irresistibile del cazzeggio. Ne esco così un film molto divertente che sprizza energia e trasmette una strano mix di nostalgia della giovinezza e di fiducia verso il futuro.
Everybody Wants Some!! è la cronaca dei tre giorni che, nell’abitazione dove vivono gli studenti che fanno parte della squadra di baseball, anticipano l’inizio delle lezioni, vissuti tra allenamenti, feste di vario tipo, giochi, sfottò, scherzi, sfide e modi di amalgamare il gruppo (sempre all’insegna del cazzeggio); il film è corale, ma il personaggio principale è Jack, matricola appena entrata in questo mondo. E’ il suo punto di vista che determina, per esempio, la percezione del tempo che scorre – si veda l’allungamento di certi momenti più decisivi d’altri -, ed è lui il protagonista di questo racconto di formazione compreso nell’arco di tre giorni che appaiono densi quasi come una vita intera.
Linklater, affidandosi ai dialoghi fluviali e al continuo scambio di battute e a una colonna sonora trascinante ed emblematica del periodo (siamo nel 1980), delinea un altro tassello della sua poetica che mira a conferire al cinema il maggior grado di purezza e la più radicale verosimiglianza. Riesce, ancora una volta, nell’impresa perché la concettualità di fondo di questo approccio rimane quasi totalmente impercettibile; il film scorre infatti con assoluta naturalezza, anche grazie a uno stile anche esso solo all’apparenza invisibile, e in realtà più “denso” di quanto appaia a un primo sguardo.
Il gruppo di giovani attori pare essersi enormemente divertito sul set, oltre a divertire gli spettatori; a questo proposito – sì, sappiamo che lo fate sempre – rimanete fino alla fine dei titoli di coda. Il film è stato presentato in anteprima alla Berlinale.
Edoardo P. | Davide V. | ||
7 1/2 | 7 |
Scritto da Edoardo Peretti.