Absentia: la recensione
Dal regista di Oculus e Somnia, un horror del 2011 dall'umore oscuro e dalle chiare scelte di stile
In nessuna delle proprie fatiche il regista Mike Flanagan, autore di horror come Oculus e Somnia, è stato davvero esente dal quel pugno di difettucci che gli hanno impedito di fare il salto di qualità: su tutti, la tendenza agli “spiegoni”, che abbassa l’evocatività del racconto, e la forzatura di certi stilemi, che si tratti del trucco o della colonna sonora. In Absentia, primo lungometraggio del 2011 che precede la successiva esplosione mainstream, questi tratti artistici sono tutto sommato comprensibili, se non addirittura perdonabili, considerando l’evidente realizzazione low budget del film: bisognava giocarsi un’idea originale, svilupparla con buona mano e – se possibile – provare a spaventare, senza dispendio di sangue o effetti. L’idea di Absentia è quella di un tunnel che collega una cittadina americana a un underwold non meglio identificato; lo sviluppo è cupo e angoscioso e, per scelta autoriale, ambiziosamente attento ai profili psicologici delle due protagoniste; la paura è dispensata con equilibrio tra sussulti improvvisi e andamento logorante, tra i drammi dei nostri e le minacce dei mostri.
Da sette anni Tricia soffre per la sparizione del marito. In un momento delicato della propria vita – è incinta e sta per dichiarare il coniuge morto “in absentia” – si ricongiunge con Callie, sorella un po’ ribelle che cerca ugualmente di gettarsi il passato alle spalle. Mentre quest’ultima comincia a sospettare di alcune misteriose sparizioni nel quartiere e su di un tunnel che sembra un buco nero, qualcosa di inaspettato sconvolge la vita della sorella.
Proprio per uscire dal tunnel dell’esiguità di mezzi (il film fu sostenuto da una campagna di crowdfunding su Kickstarter), il regista di Salem, classe ’78, imprime al racconto una marca stilistica originale. Lo si osserva soprattutto nelle scelte tecniche che influenzano in maniera decisiva la percezione dello spettatore: la fotografia, che sa di carta sbiadita, come quella dei manifesti delle persone scomparse che ingialliscono sui pali della corrente; le luci sui toni dell’ocra spento, con qualche livida nota di freddezza e i gorghi neri di tunnel e cantina; lo score musicale, un ininterrotto e sordo rumore di fondo, rimbombante da qualche stomaco contratto o dall’oltretomba più torbido. Si aggiungano le continue allusioni al fuori campo, le sfocature dei secondi piani e, di contro, la studiata ricerca di alcuni dettagli (tra cui l’insistenza strategica sulle ragnatele) e si avrà idea del riuscito effetto di straniamento e ansia di Absentia.
È un’operazione paura ben condotta, ma prevedibile: scolastica, come gran parte dell’opera di Flanagan, anche se di quella “scuola” apprezzabile per impegno e sano artigianato. Absentia, in fin dei conti, fa quasi il meglio che può, anche a dispetto di un cast i cui cedimenti sono visibili soprattutto nei comprimari (il poliziotto, il marito) e che si regge sulle sole due protagoniste, Katie Parker e Courtney Bell. Non trascina all’entusiasmo, ma nel tunnel di una godibile oscurità.
Antonio M. | ||
7 |
Scritto da Antonio Maiorino.