Le migliori serie TV del 2015
I Blogger Erranti vi propongono il best of della serialità
Il 2015 è stato un ottimo anno per gli appassionati di serie televisive. Novità eccellenti tra cui Jessica Jones e Daredevil, i grandi ritorni di Fargo e The Knick, e sorprese affascinanti come la miniserie britannica London Spy. La nostra gioia di binge-watchers è stata coronata dallo sbarco di Netflix in Italia. Il 2016 si dovrà impegnare molto per renderci altrettanto felici!
Alice Casarini: Better Call Saul. Niente è in grado di cancellare il confine fra bene e male come i Bildungsroman al contrario di Vince Gilligan. E poi, gente, Saul E Mike.
Antonio Maiorino: Fargo. La sfida di muovere dall’immaginario dei Coen verso nuove lande creative – o piacevolmente vecchie, zeppe come sono di citazioni – viene superata mischiando le carte, col trademark di un grottesco gelido che accompagna una vicenda avvincente.
Chiara Checcaglini: Fargo. La serie continua a fare proprio e a tramandare lo spirito del film dei fratelli Coen, con un’incredibile stagione più corale, più rarefatta della prima, ma forse addirittura più estrema, nella disamina di una follia che dilaga in ogni tempo dove meno te l’aspetti.
Davide Vivaldi: Daredevil. Testa di ponte della Marvel su Netflix, è una serie dai toni cupi, adulti e profondi, il cui fulcro è la crociata di un avvocato cieco e cattolico con doppia vita di vigilante mascherato contro il crimine, che ha il volto di un magnetico Vincent D’Onofrio al tempo stesso fragile e crudele.
Eleonora Benecchi: The Flash. La serie è un continuo gioco di scatole cinesi, per cui non sai mai chi sono i buoni e i cattivi, ed è piena di inside joke dedicati ai fan. In più The Flash ha una di quelle caratteristiche che rendono le serie grandi. Migliora con il tempo. E il 2015 è stato senza dubbio l’anno della consacrazione.
Eugenio De Angelis: The Knick. Soderbergh racconta l’inizio ‘900 con grande cura formale, nessuna concessione spettacolare e pugni allo stomaco dello spettatore. L’ospedale diventa il catalizzatore di dilemmi morali su razzismo, progresso tecnologico e, inevitabilmente, sulla natura umana, che rimangono attualissimi.
Giacomo Brotto: London Spy. Nella miniserie della BBC ci sono le spie, i complotti e Ben Whishaw che fa gli occhioni dolci a Edward Holcroft. Per strada troviamo omaggi a Hitchcock e Lynch e due protagonisti innamorati lontanissimi dagli stereotipi di genere del filone thriller. Tutto funziona perfettamente. E va bene così.
Giusy Palumbo: Ash vs Evil Dead. Bruce Campbell sarebbe bastato a fare di Ash vs Evil Dead la serie dell’anno, eppure c’è molto di più: splatter, psichedelia, oscenità, erba e una colonna sonora che spacca. Bruciare all’inferno non è mai stato così bello.
Gualtiero Bertoldi: One-Punch Man. La trasposizione animata che tutti stavamo sognando, la decostruzione finale dello shonen che in sé ha già tutti i possibili germogli per l’evoluzione del genere stesso. E una fracca di risate come contorno.
Lucia Tralli: Jessica Jones. Una serie che parla di abuso, trauma, dolore e sopravvivenza, chiamando tutte le cose col loro nome. E la protagonista perfetta.
Sara Mazzoni: Humans. Remake dell’originale svedese, la serie usa gli androidi per parlare di discriminazione e schiavitù, interrogandosi su cosa siamo disposti a considerare “umano”. Dalla rivolta di Blade Runner a quella di Spartacus, anche attraverso il corpo delle donne.
Stefania Malagutti: Vikings. Stagione dopo stagione, la serie riconferma l’appassionante racconto delle leggende nordiche del guerriero vichingo Ragnar Loðbrók, grazie alla seducente visione del suo autore e sceneggiatore, Michael Hirst, che ne marca i tratti da romanzo storico epico, adatto al linguaggio del genere d’azione.