Mustang: la recensione
Un inno alla libertà raccontato con sguardo complice e sensibile
Crimine e misfatto: all’uscita da scuola, le cinque sorelle hanno osato giocare in spiaggia coi propri coetanei. Dove osano le turche, la punizione sarà amorevole e inesorabile: coprifuochi nella casa-prigione, inferriate e matrimoni programmati a dispetto della giovane età. Negli occhi della più piccola, Lale, si consuma il dramma che spegne la gioia di vivere delle coese sorelle, mentre s’infuoca un ribollente desiderio di fuga. I carcerieri sono la nonna e uno zio, i genitori sono morti – e qualche altro morto rischia di scapparci.
Si è scritto e si è letto di Mustang, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes, come al trapianto in terra turca di una vicenda affine a quella de Il giardino delle vergine suicide, non a caso, ancora una volta con la sensibilità di una regista a guidare i movimenti della macchina da presa, Deniz Gamze Ergüven. C’è però un ulteriore riferimento possibile nell’invito alla visione del film, per intendere il mood di questa storia di ragazze precocemente costrette al “mood for love”: Miss Violence di Alexandros Avranas, pluripremiato a Venezia 2013, per aggiungere all’asfissia da reclusione una certa quota d’ansia da violenza nell’ambiente domestico. Se le grate di ferro fanno percepire fisicamente l’atmosfera, all’iron delle sbarre si aggiunge però un’ironia complice e vitale.
Sospeso tra la tenerezza della scoperta condivisa e l’ombrosa prepotenza di parenti dispotici che assecondano il proprio contesto culturale, Mustang alterna il passo lieve del sogno proibito con l’opprimente claustrofobia del realismo d’interni. Gli stacchi del montaggio, a volte repentini se non brutali come la mano d’un patriarca villano, creano sequenze auto-concluse, in cui anche le innocenti evasioni delle giovani protagoniste sembrano sfumare tra le parentesi di un sogno. Si rallenta per penetrare umori, ma il ritmo resta ben scandito; si gioca sul gioco negato: con questa andatura, il film, co-sceneggiato da Alice Winicour – anche attrice – precipita nell’ultima parte con spericolata svolta da thriller avventuroso.
Che la svolta sia annunciata, poi, non risulta così pregiudizievole per l’attenzione dello spettatore, quanto indicativo della linearità di un’opera che sedimenta con la pazienza e la curiosità della micro-osservazione i desideri dei propri credibili personaggi, per farne scaturire, secondo manuale di sceneggiatura, la paura ed il pericolo. Proprio in virtù di questo controllo diligente, forse troppo, Mustang non è un capolavoro, ma ciò non toglie che sia qualcosa di speciale: un potente inno alla libertà, vibrante nel racconto, attento alla chimica delle piccole azioni e delle accalorate reazioni.
Antonio M. | Edoardo P. | Michele B. | ||
7 1/2 | 7 | 6 1/2 |
Scritto da Antonio Maiorino.