Venezia 72. Per amor vostro e altre recensioni
Gli ultimi giorni di Venezia 72 ci hanno regalato alcune belle sorprese provenienti sia dall’Italia che dall’estero e sparse fra le varie sezioni, contribuendo a risollevare le sorti della Mostra.
Nettamente superiore agli altri tre il quarto film italiano presentato in concorso, Per amor vostro di Giuseppe Gaudino, un melodramma ambientato a Napoli e incentrato su una donna abituata alla rinuncia e disposta a tutto pur di prendersi cura dei figli. Un’ottima fotografia in bianco e nero che prende colore solo nei rari momenti felici – rispecchiando il grigiore della vita della protagonista – e una ricercata colonna sonora, che unisce le parodie musicali vintage del Quartetto Cetra alle partiture contemporanee degli Epsilon Indi, danno vita alla passionalità tutta partenopea di una Valeria Golino che incarna l’anima della città stessa, capace di affrontare con orgoglio e ironia i momenti più duri, ben assecondata dal resto del cast, compreso un Adriano Giannini affascinante e ambiguo. Immerso nel folclore locale, con la sua religiosità arcaica basata sul culto dei morti e la centralità della famiglia, per quanto litigiosa e disfunzionale, Per amor vostro è cinema ricco di umanità e dotato di notevole potenza registica.
Altrettanto radicato nel suo profondo legame col territorio – in questo caso Palermo – il nuovo film di Franco Maresco, Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati, che è stato presentato fuori concorso. Attraverso la biografia di uno dei massimi esponenti del palcoscenico palermitano, raccontata sottoforma di documentario ironico ma allo stesso tempo pieno di rispetto, Maresco riprende il discorso iniziato l’anno scorso con Belluscone, estendendo l’interessante vicenda individuale dell’artista a una riflessione storico-sociale su una Sicilia in cui i fermenti culturali del passato sono sempre più sommersi dalla volgarità e dalla superficialità contemporanee, con il risultato che un personaggio di valore come Scaldati – autore in bilico fra la comicità grottesca e la metafisica beckettiana, che ebbe una forte influenza sull’opera del regista fin dagli sketch di Cinico TV – non ha mai ricevuto il giusto riconoscimento.
Batte infine bandiera australiana l’opera vincitrice della Settimana Internazionale della Critica, Tanna di Bentley Dean e Martin Butler, che ritrae con delicatezza e realismo i nativi dell’isola dell’arcipelago di Vanuatu, focalizzandosi sull’amore fra un ragazzo e una ragazza contrastato da un conflitto tribale. Interpretato da autentici indigeni locali non professionisti, è un film poetico ed emozionante per la sua capacità di mettere in scena l’amore puro sullo sfondo di un paradiso naturale incontaminato, con una fotografia meravigliosa e un bel messaggio di speranza, incarnato da una bambina, che non diventa buonismo. Evitando di cadere nel mito del buon selvaggio, il film esprime la sofferenza dei personaggi nel voler vivere fino in fondo la loro passione, in totale armonia con la natura, con una sensibilità di fondo che richiama Tabu di Murnau.