V/H/S/2: la recensione
Adrenalina e sangue per la svolta gore del secondo capitolo della serie
A riavvolgere il nastro dell’ultimo lustro cinematografico dell’horror, il progetto V/H/S, per quanto disomogeneo nei risultati, riesce tra i più magnetici. In V/H/S/2, sequel del 2013 a un anno dal primo capitolo, sia le forze centrifughe che centripete del progetto si fanno più vigorose, ossia: da un lato, la pluralità di proposte si mantiene viva con la formula degli episodi horror che, anzi, diventano cavalcate frenetiche inondate dal sangue di un’inattesa svolta gore; dall’altro, la trama principale prova a unificare le schegge impazzite degli episodi, non solo all’interno del film, bensì inventandosi una vaga coerenza seriale.
Tape 49 è il nome della storia di contorno: Larry e la sua ragazza, Ayesha, sono due investigatori privati che s’infiltrano a casa di un ragazzino scomparso da settimane, per conto della madre. Trovano un’accozzaglia di televisori e videocassette. Lui perquisisce la casa, lei comincia a visionare i filmati, imbattendosi, virtualmente, anche nel “desaparecido”. Prima che si capisca dove vada a parare il video e cosa succeda in casa, lo schermo snocciola quattro raccapriccianti found footage (di diversi registi).
In Phase I Clinical Trials, a firma di Adam Wingard (You’re Next e The Guest), un uomo con problemi alla vista pensa di aver risolto la situazione impiantandosi un occhio artificiale. Vede fin troppo bene, anche i fantasmi. Riuscita la prospettiva in soggettiva, specie per il senso di claustrofobia e il convulso finale.
A Ride In The Park è uno zombie-splatter che incarna la direzione estrema presa da V/H/S/2 rispetto all’esordio del 2012. Un uomo al parco con la moglie, nel tentativo di soccorrere una donna, viene infettato. Grand guignol, pic-nic rovinati, corse sudate ed epilogo tra lacrime e sangue. Una formula vecchissima, salvata dalla durata. Alla regia di questo episodio, insieme a Gregg Hale, c’è Eduardo Sanchez (The Blair Witch Project).
Safe Haven è una versione truculenta e demoniaca di The Sacrament: un documentario in una comunità di fanatici prende una piega di macabra schizofrenia. è l’episodio più insano ed esagitato del lotto, con gli shift della macchina da presa che sembrano impazzire come su di una giostra nera.
In Slumber Party Alien Abduction, quando i genitori non ci sono, i figli ballano, fino all’arrivo degli alieni. Altro micro-concentrato di stereotipi, che evita di farsi rapire nel vortice della banalità grazie a qualche tocco d’ironia (i ragazzi che giocano a travestirsi da alieni all’inizio, la telecamerina montata sul cane). Funziona l’effetto in situazione, anche se la situazione è già nota.
Nulla di prima visione, dunque, in V/H/S/2, dove il grosso del minutaggio è nella festa del piccolo, un divertissement che funziona da juke box di generi e rilancia un serpentone di sketch di rapido consumo. L’idea resta comunque intrigante, perché il breve formato può incubare incubi da rivisitare, tanto come restare inoffensivamente frivolo. Ecco perché, in fin dei conti, la trama principale può permettersi di contraffare atmosfere da Pulse, spunti da The Ring e viralità alla Rec. In definitiva, è un esperimento che può permettersi di fallire: laddove non dovessi prodursi un’originale diversione, almeno può rinsanguarsi il divertimento.
Antonio M. | ||
6 1/2 |
Scritto da Antonio Maiorino.