Giovani si diventa: la recensione
Passato in sordina nel semi-deserto della distribuzione estiva italiana, While we’re young (tradotto con il più sempliciotto titolo Giovani si diventa) conferma la maturazione come regista di Noah Baumbach, capace di distaccarsi dagli stilemi più indie dei suoi primi film e di avvicinarsi a un’impostazione più classica, ma non per questo più banale, della commedia.
Giovani si diventa ha come punto di forza, soprattutto nella prima parte – la più riuscita – di avere uno sguardo lucido su una varietà di tematiche, amalgamate in un approccio che salta continuamente dallo sguardo ironico, a volte sferzante, alla constatazione amara e un po’ disincantata. Al centro, la crisi di una coppia intorno alla mezza età, condita da utopie infrante, piccoli fallimenti e un generale senso di inadeguatezza alle esigenze degli anni che passano. A far detonare la crisi, l’incontro con una coppia di giovani, un po’ “hipster-fighetti”, che, all’apparenza, riaccendono nella “coppia-senior” la voglia di vivere e che paiono una sorta di specchio dei loro anni passati conditi da entusiasmo e voglia di fare. Non è però tutto oro ciò che luccica; così, l’entusiasmo iniziale lascia pian piano spazio alle amare prese di consapevolezza.
Baumbach, partendo dall’analisi e dal racconto di una coppia bloccata dal peso delle illusioni e delle disillusioni, riflette – e ironizza – su una più vasta varietà di tematiche: sulle essenze, anche contrastanti, e sulle evoluzioni del cinema documentario (i maschi sono entrambi documentaristi, così come lo è il suocero del protagonista), e quindi sul cinema in generale, sulle mode culturali e su come il tempo agisce su esse, e su come, più in generale, cambia lo sguardo sul mondo dell’artista e dell’intellettuale. Lo fa seguendo la strada maestra della migliore tradizione della commedia americana: quella cioè di prelevare dal racconto di inquietudini private, spesso di coppia, problematiche più vaste, e di raccontare molteplici disagi, quelli personali così come quelli culturali. Non è quindi un caso che While we’re young ricordi, più che la commedia indie, certi lavori di colui che è il maggiore erede di questa tradizione: Judd Apatow e della sua crew – si paragoni, per esempio, il pre-finale al finale di Questi sono i 40.
Tutto funziona e fila liscio soprattutto nella prima parte, quella, diciamo così, più descrittiva, mentre la seconda, quando i fili narrativi vengono al pettine, è macchiata da qualche passaggio non ben calibrato e da qualche momento eccessivamente didascalico. Giovani si diventa rimane comunque una commedia estremamente lucida, sia nell’affrontare le numerose tematiche, sia nel gestire l’alternanza tra il tono ironico e quello più amaro.
Decisivo per la riuscita del film il quartetto degli interpreti: Ben Stiller, nel suo ruolo, è una sicurezza, così come non sorprende la prova di Naomi Watts in un personaggio sfaccettato. Passando alla coppia più giovane, Amanda Seyfried conferma la sua crescita costante, mentre Adam Driver pare sì più che adatto al ruolo in questione, ma allo stesso tempo continua a lasciare qualche dubbio sulla sua effettiva espressività.
Edoardo P. | Eugenio D. | Sara M. | Thomas M. | ||
7/8 | 8 | 8 | 7 |
Scritto da Edoardo Peretti.
Una delle cose più riuscite di Giovani si diventa è come rende il disagio dei più vecchi per il modo in cui i giovani si appropriano dei loro feticci culturali. Ben Stiller incarna perfettamente quel disorientamento: non usa un vhs da decenni, guarda i film su Netflix, è sempre attaccato allo smartphone; ma non può accettare che la pubblicità della sua infanzia venga fatta oggetto di culto (e di scherno) da parte dei ventenni, perché quell’appropriazione, che tutto sommato è ironica, lo priva dei suoi punti di riferimento. Mi piace come Baumbach risolve questa contrapposizione stabilendo che nessuno ha ragione, che nessuno debba vincere: rimane tutto una questione di punti di vista, e ciascuno ha ragione a vedere il mondo dalla propria prospettiva.