I migliori film horror del 2020, da luglio a dicembre
Le uscite vod hanno compensato il vuoto lasciato dai titoli per la sala
Il 2020 è andato come è andato e il cinema inteso come industria basata sulla distribuzione in sala ha subito un colpo tremendo. I migliori film horror del 2020 sono comunque tanti e meritevoli perché questo è un genere che ha sempre prodotto una grande quantità di opere per il mercato home video. Nel corso dell’anno sono saltate le uscite di quei titoli di punta posticipati al 2021 nella speranza di farli arrivare al cinema – si parla del remake di Candyman, il nuovo The Conjuring, Antlers, A Quiet Place Part II e tanti altri. La loro assenza ha però lasciato spazio a produzioni più piccole, tra cui svariati horror diretti da donne. Questa non vuole essere una classifica complessiva: la prima parte dei migliori film horror del 2020 l’abbiamo già pubblicata a luglio; qui trovate il sequel, in cui si prendono in esame soprattutto quelli circolati nella seconda metà dell’anno. Molti dei titoli discussi sono stati presentati al Sundance Festival e sono poi usciti in vod durante gli ultimi mesi.
I migliori film horror del 2020, da luglio a dicembre
Anything for Jackson di Justin G. Dyck
Horror occulto uscito su Shudder che entra di diritto in una trilogia ideale formata con Hereditary e A Dark Song. Presenta l’esorcismo al contrario: il punto non è fare uscire qualcosa, ma metterlo dentro. Nella logica della perversione del canone, i protagonisti non sono le vittime come in Hereditary, ma i cattivi. Si tratta di una coppia di vecchietti dolcissimi dediti alle arti occulte, che usano un grimorio più o meno come se fosse un libro di ricette. Si rievoca l’immaginario di The Omen e anche dei film di fantasmi violenti come Insidious. C’è un tono faceto che rende il film ancora più godibile con un umorismo mai ridicolo, sempre ammantato di nero: si ride però si percepisce il pericolo. Con poca moneta e un’ambientazione chiusa in casa, il film tiene sul bordo della sedia. C’è coerenza tra temi su più livelli e una rappresentazione occulta che si trova solo nell’horror più puro. Non è un festival del jump scare. Effetti pratici e poca CGI. Bellissimo il cast tutto di facce particolari.
Scare Me di Josh Ruben
Atmosfera dei racconti attorno al fuoco restituita con una contaminazione di sottogeneri thriller/horror e un citazionismo molto creativi. Riprende la matrice del thriller psicologico vecchia maniera, dall’impianto teatrale: una base di commedia nera, molto parlata, piena di arguzie e comicità ma pervasa da una certa cattiveria. Aya Cash è nei panni di una variante di Gretchen (il suo personaggio di You’re the Worst), mentre la sua controparte è il regista-attore-sceneggiatore Josh Ruben. I due mettono in scena delle storielle pulp stile Tales from the Crypt, con uno spirito mumblecore. Il film è molto meta e sfrutta il mezzo cinematografico in modo antinaturalistico, ricreando la suggestione del teatro. Le questioni di gender tra i due sono ampiamente esplorate. Perfetto se avete amato i due Creep di Patrick Brice.
Amulet di Romola Garai
Spiazzante horror britannico passato come altri di questa lista al Sundance 2020. È uno slow burn pieno di idee, che crea disagio grazie a un senso di indeterminazione tipico degli incubi. Contiene Imelda Staunton, un finale stupendo e i tipi di orrore più fighi: cosmic, folk, body. È il debutto registico dell’attrice Garai, che potrebbe avere un futuro radioso nel genere. Come accade sempre più spesso, il film rivista alcuni trope trovando un’interpretazione personale. Il risultato ha il grande merito della peculiarità, ma soprattutto è uno di quei film che rimangono in testa anche a distanza di tempo, per via del suo immaginario vivido e schifido.
Bad Hair di Justin Simien
Conoscete già Justin Simien grazie alla sua serie Netflix Dear White People, espansione dell’omonima commedia del regista. Anche se il genere è diverso, in Bad Hair ritroviamo lo stesso approccio satirico alle questioni di persecuzione razziale. I capelli a cui si riferisce il titolo sono quelli di una parrucca imposta alla protagonista nera da un sistema che non la lascia lavorare in pace perché i suoi capelli sono afro. Si tocca un po’ tutto: capitalismo, appropriazione culturale, oppressione del corpo nero, gentrificazione. Il tono è sornione senza sottrarre gravità alla materia discussa, in una via di mezzo tra Jordan Peele e Sorry to Bother You di Boots Riley. La dimensione folk ricorda In Fabric di Peter Strickland, che proponeva un vestito stregato. Con l’aiuto di un cast stupendo (Vanessa Williams, Lena Waithe, Laverne Cox e altre), Simien dimostra che si può comunque dire qualcosa di nuovo anche su una struttura così classica.
Possessor di Brandon Cronenberg
Nuovo film scritto e diretto dal figlio di David Cronenberg, dopo Antiviral (2012). La storia è meno originale del viaggio malato (letteralmente) della prima opera, richiama volutamente il cinema del padre con la presenza di Jennifer Jason Leigh e alcuni dettagli cyberpunk. Estetica curata, stile art-house bello da vedere. Attori protagonisti presi tra quelli che spuntano più spesso ai festival: Christopher Abbott, ma soprattutto Andrea Riseborough, icona horror di questi anni, qui perfettamente in parte. È una storia che parla di identità e del desiderio di liberarsi del proprio ego, immaginando un modo di essere nel mondo diverso da quello ordinario. È anche un film pieno di violenza e dettagli gore, per cui non aspettatevi niente di consolatorio da questa visione.
Impetigore di Joko Anwar
Folk horror indonesiano ambientato in un villaggio nella giungla. Tecnicamente sopra la media, si apre una sequenza che sfrutta con abilità il clima terrificante dei caselli autostradali. Coi personaggi principali il film coglie l’occasione per descrivere con toni leggeri l’amicizia tra due ragazze, facendo provare grande simpatia per loro. Fotografia, location, scenografie, movimenti, colonna sonora, tutto è stiloso senza diventare per questo irritante. L’approccio ai vari generi che chiama in causa è ultra-consapevole, e proprio per questo Anwar riesce a trasformare il film in qualcosa di suo. Dettagli horror fantasiosi e sanguinanti, mitologia ben sviluppata.
Relic di Natalie Erika James
Slow burn paranormale australiano, girato con gusto in zona art-house ma con sobrietà. La fotografia desaturata è adatta al concept del film: l’orrore della casa della nonna. Potrà infastidire chi lamenta che l’horror odierno è troppo legato alle metafore, perché più va avanti, più diventa chiara la sua allegoria della vecchiaia. Relic presenta un messaggio semplice e bello, anche se effettivamente didascalico. La grammatica horror però c’è tutta ed è ottima. Apprezzabile l’anziana al centro della vicenda sia come figura perturbante, sia per l’interpretazione di Robyn Nevin, perché suscita allo stesso tempo pena, paura e disgusto.
Hunter Hunter di Shawn Linden
Survival thriller in cui troverete un uso peculiare delle trappole per animali. Il film parte da uno spunto classico ma usa tutti i trope in modo originale, tant’è che non è sempre ovvio quello che succederà dopo. Questo effetto deriva da un’applicazione non convenzionale delle regole di scrittura, nel senso che il film rischia di “sbagliare” pur di ottenere il risultato. Hunter Hunter usa l’ambientazione rurale per raccontare una storia di isolamento, povertà e scelte esistenziali che evidentemente non stanno ripagando i protagonisti come vorrebbero – un gruppo di sentimenti che saranno i più adatti per la narrativa da dopo trauma pandemico. Nel complesso non è un film spaventoso quanto piuttosto uno di tensione angosciosissima. Per il terzo atto è previsto il secchio del vomito.
Spree di Eugene Kotlyarenko
È uno screen life, cioè un tipo di found footage che mostra solo materiale presente su uno schermo nella storia. Lo spunto qui è l’ossessione per la popolarità di uno youtuber che non riesce a diventare famoso e quindi decide di produrre il contenuto definitivo per la popolarità. Il risultato è un po’ come se Joker fosse un episodio di Black Mirror. A tratti didascalico, è uno slasher simpatico che cazzeggia col rapporto che abbiamo coi social media. Protagonista Joe Keery direttamente da Stranger Things.
The Craft: Legacy di Zoe Lister-Jones
Reboot/sequel del cult anni ’90 con Fairuza Balk, nasce in casa Blumhouse sulla falsa riga del Black Christmas di Sophia Takal per intercettare un pubblico femminile giovane. Nonostante i presupposti troppo votati al marketing, il film è realizzato con perizia, corregge alcune sviste della trama del primo e presenta un bel gruppo di amiche adolescenti in una dinamica non tossica tra loro. È più un thriller paranormale che un horror tout court ma funziona come intrattenimento nel reame del fantastico per un’oretta e mezza piacevole.
The Dark and the Wicked di Bryan Bertino
Storia di demoni e fantasmi stilisticamente molto buona e ben retta dall’interpretazione di Marin Ireland. C’è l’isolamento in una casa di campagna, comune a tanti film del genere, qui caratterizzato anche dalla presenza del bestiame. C’è un visitatore sinistro, strane visioni e manifestazioni contaminate con la sfera religiosa. Come in Relic, c’è l’assistenza a un parente anziano e moribondo, a cui il film di Bertino non aggiunge molto tranne un finale ancora più cupo.
Menzioni onorevoli – I migliori film horror del 2020, da luglio a dicembre
Brevi dispacci su altri titoli dignitosi che meritano una menzione tra i migliori film horror del 2020. In ordine sparso: His House di Remi Weekes è una storia di fantasmi innestata su un tetro dramma dell’emigrazione; non sempre l’amalgama è omogeneo, ma è brillante quando funziona. Ancora screen life, Host di Rob Savage, ambientato durante un lockdown, intrattiene pur somigliando tantissimo al primo Unfriended. The Wretched di Drew e Brett Pierce ha qualche incertezza nella costruzione della storia, riscattata da una bella creatura e un plot twist difficile da prevedere. The Rental di Dave Franco è l’esordio alla regia dell’attore scritto con l’autore mumblecore Joe Swanberg. Usa bene il dramma sentimentale come spazio per paura e frustrazione, anche se purtroppo non tutte le idee buone del film hanno una risoluzione alla loro stessa altezza.
L’irlandese Extra Ordinary, di Mike Ahern e Enda Loughman, a detta degli autori stessi è una commedia sovrannaturale e non un film dell’orrore. Divertente parodia del sottogenere occulto di cui si parlava più sopra, ha un bel cast che include anche Will Forte e Claudia O’Doherty. The Mortuary Collection di Ryan Spindell è un antologico con un racconto cornice che introduce altri episodi, tutti governati dal paradigma classico del peccatore che viene punito. Coi suoi sforzi meta, l’impianto visivo gotico nel senso più kitsch e i personaggi grotteschi, rimane nel limbo del carino. The Wolf of Snow Hollow di Jim Cummings è un giallo sui delitti sanguinosi di un lupo mannaro, ambientati in una comunità isolata in mezzo alla neve. Interessante anche se ha un aspetto eccessivamente da tv movie. Il sudcoreano The Call di Lee Chung-hyun è un thriller paranormale con un telefono che mette in contatto presente e passato. Non va per il sottile ma ha parecchi twist vivaci.
BONUS TRACK Quasi orrore – I migliori film horror del 2020, da luglio a dicembre
Black Bear di Lawrence Michael Levine
Black Bear presenta una di quelle vicende mistery ambientate in un luogo circoscritto, basate su dialoghi serrati e squilibri continui nei rapporti di antagonismo tra personaggi, che cambiano in continuazione mandando avanti il film con l’energia ricavata dallo spostamento. Non è un horror, ma è comunque un film di tensione. Scritto e diretto da Lawrence Michael Levine, cioè il marito di Sophia Takal (Black Christmas, Always Shine) che come lui è sia autrice sia attrice, tant’è che i due si sono diretti l’un l’altra nei loro film precedenti. Come mai questo dato biografico sia importante lo capirete quando avrete visto il film. Basti sapere che gli equilibri tra i personaggi sono ispirati a questa dinamica incrociata. Levine e Takal (qui solo producer) sanno di mumblecore, ma nella sua gradazione più pulita e precisa – tant’è che allora forse non è proprio mumblecore. C’è Aubrey Plaza in un ruolo di primo piano, che di solito è una ragione sufficiente per vedere un film. In quello che alla fine è soprattutto un thriller psicologico, uno dei temi predominanti è il concetto di “coppia” (tradizionale, eteronormata, monogama), che posta a confronto con qualsiasi altra entità rende la situazione asimmetrica. Paradossalmente quest’asimmetria riguarda ogni individuo coinvolto, cioè anche per i membri stessi della coppia. Trigger warning perché si mette in scena volutamente parecchio gaslighting.
Cosa manca – I migliori film horror del 2020, da luglio a dicembre
Film visionati che però rimangono fuori da tutto, anche dalle menzioni: The Vigil, Antebellum, Nocturne, She Dies Tomorrow, Freaky, The Call (americano), Fulci for Fake, Il legame. E siccome non si può vedere tutto, seguono alcuni dei titoli interessanti che sono finiti fuori lista perché non c’è stato tempo e modo anche per loro: Koko-di Koko-da, The Swerve, Mortal, Spontaneus, Get Duked!
Breaking Surface, The Bloodhound, The Other Lamb, Spell, Blood Quantum, 12 Hour Shift, Nobody Sleeps in the Woods Tonight, The Owners, Sputnik, La Llorona, Nicole, Beneath Us, Bulbull, The Beach House, Run, Spiral di Shudder, Homewrecker, Breaking Surface, #Alive, Peninsula, Death of Me, Fantasy Island, Shortcut, Feedback, The Pale Door, Vampires vs. the Bronx, The New Mutants, Alone, The Witches, The Pool, Books of Blood di Hulu; e ce ne sarebbero ancora…
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