I 10 migliori horror del 2019
Best of horror, le menzioni onorevoli, le serie tv e il resto
Per creare questa lista dei migliori horror del 2019, sono stati presi in considerazione i film distribuiti in Italia nel corso dell’anno. Come riferimenti sono stati usati l’uscita in sala o direttamente sulle piattaforme streaming, ma anche l’arrivo in home video di film precedentemente non distribuiti da noi. L’unica eccezione riguarda Suspiria di Luca Guadagnino, già incluso nell’elenco dei migliori horror del 2018 e quindi assente qua. Visto che il vero obiettivo dell’articolo è fornirvi una panoramica esauriente su questo tipo di cinema, troverete prima la vera e propria top 10 dei migliori horror del 2019, seguita da una lista di menzioni onorevoli, una sezione sui fuori gara non strettamente d’orrore e una bonus track sulle migliori serie horror uscite durante l’anno. Le opinioni sono inevitabilmente personali e il tempo quello che è, quindi è possibile che qualche titolo degno di nota sia sfuggito. Non prendetevela, ricordando che questa lista ha comunque richiesto un lavoro mostruoso – tanto per stare in tema.
Top 10 – I migliori horror del 2019
10 – The Field Guide to Evil di Autori vari
Film a episodi ambientato per lo più in Europa e Asia, firmato da cineasti dei vari luoghi rappresentati. Spiccano alcuni nomi importanti nell’horror contemporaneo e il risultato, anche se discontinuo, è particolare. Le atmosfere sono trasognate, ma da incubo, con ambientazioni folkeggianti e un apparato visivo art-house fortissimo. Spicca il corto d’apertura The Sinful Women of Höllfall di Veronika Franz e Severin Fiala (che ricorda il film Hagazussa), elegante, semplice e con un mostro bellissimo. Efficace Haunted by Al Karisi, the Childbirth Djin di Can Evrenol. Più caotico The Kindler and The Virgin di Agnieszka Smoczyńska, che però gratifica sul piano dell’immagine, come anche il greco What Ever Happened to Panagas the Pagan?, bel delirio natalizio di Yannis Veslemes. Si poteva tranquillamente fare a meno del segmento americano, Beware The Melon Heads di Calvin Reeder. Dignitoso invece il bianco e nero indiano di Ashim Ahluwalia, Palace of Horrors. Con A Nocturnal Breath di Katrin Gebbe torna il folklore contadino in costume nella foresta mitteleuropea. Chiude il progetto il muto di Peter Strickland, The Cobblers’ Lot, ennesima prova del talento formale del regista. Nel complesso, un film da guardare under the influence. Quest’anno il folk horror è stato così abbondante e di buona qualità che si potrebbe fare una classifica solo con i titoli di questo sottogenere. Superstizione e vita contadina sono state narrate anche nei film in costume Hagazussa di Lukas Feigelfeld, Gwen di William McGregor e Il signor diavolo di Pupi Avati, mentre The Head Hunter di Jordan Downey riporta il discorso più prettamente sul fantasy.
9 – Here Comes Hell di Jack McHenry
Girato con un budget minimale, Here Comes Hell si ispira al cinema d’altri tempi, in un remix tra le epoche. Come spiegato benissimo su Il giorno degli zombi, il film parte come un “old dark house”, filone gotico degli anni ’20 e ’30, replicandone l’estetica sotto diversi aspetti. Il gioco citazionista rivela la sua vera forma quando il film raggiunge una svolta splatter che richiama Evil Dead, senza però abbandonare il contesto creato all’inizio. Rievocazione e commistione di generi convergono in un climax di orrore cosmico, arricchito dalla leggerezza con cui viene affrontata l’operazione. Uno splendido uso di un budget risicato.
8 – Head Count di Elle Callahan
Siamo ancora in ambito folk horror, ma lontano dalle tradizioni fiabesche dell’Europa che caratterizzavano i film già menzionati. In questo caso, abbiamo a che fare con un orrore mitologico che dilaga nei grandi spazi del deserto americano. Vi suonerà simile a un altro titolo significativo del 2019: The Wind di Emma Tammi, una ghost story di frontiera. Head Count merita però il posto d’onore nella lista per via di come Elle Callahan riesce a coordinare la propria regia col sound design, anch’esso curato da lei. Head Count non è solo un’avventura spaventosa tra le rocce del Joshua Tree, ma anche il perfetto esempio del valore del sonoro in un film dell’orrore. Nonostante il titolo e la premessa con un gruppo di giovani in vacanza, non è uno slasher ma più che altro un weird tale. Ricorda vagamente It Follows, anche in virtù della bella fotografia.
7 – Tone-Deaf di Richard Bates Jr.
Potrebbe intitolarsi Ok Boomer: the Movie, in sintonia con uno dei meme più diffusi nel 2019; tant’è che quelle parole sembrano sempre sulla punta della lingua della protagonista. Con questo presupposto, sarebbe facile aspettarsi una divertentissima commedia grottesca. Il regista però è Richard Bates Jr., autore tra le varie cose del commovente e crudele Excision. Tone-Deaf ne riprende la vena satirica e il caleidoscopio visivo di sogni malati, anche se il film ha toni più leggeri. Il suo pregio maggiore è proprio nel mescolare il lato comedy con una solida struttura che non smette neanche per un secondo di essere horror. L’home invasion è lambita dalle paturnie del killer Robert Patrick, senza per questo cedere mai a una glorificazione del suo punto di vista.
6 – Doctor Sleep di Mike Flanagan
Doctor Sleep di Mike Flanagan è un dark fantasy spettacolare tratto da Stephen King. Senza dubbio, tra i vari adattamenti dello scrittore usciti nel 2019, questo è il migliore – gli altri, pur sempre potabili, sono In the Tall Grass di Vincenzo Natali, Pet Sematary di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, It Chapter 2 di Andrés Muschietti. L’opera nasce schiacciata dal peso di 40 anni di cultura pop: ci sono i romanzi di King, ma c’è anche il film di Kubrick (con buona pace della miniserie di Mick Garris, che in questo caso non interessa a nessuno). Flanagan ha dovuto prendere decisioni scomode per far coesistere tutti questi testi. Per riuscirci, osa molto e scrive un film aderentissimo al libro di King nel primo tempo, rivolgendosi invece a Kubrick durante la seconda parte. Flanagan riorganizza gli elementi irrinunciabili del romanzo, scegliendo Dan Torrance come vero protagonista, ma lasciando spazio alla descrizione del mondo della sua avversaria. Rose risulta infatti una cattiva carismatica, meno macchietta rispetto al testo. Si riduce invece la presenza della ragazzina luccicante Abra, di cui rimane però intatta la ferocia. Lo scontro al centro del film è proprio tra queste due figure, mentre Dan combatte demoni più personali ereditati dal padre. È una triangolazione che prende le convenzioni della scrittura e le piega a una situazione pop particolarissima. L’horror arriva in Doctor Sleep in modo obliquo, metacinematografico. Le sue soluzioni visive sono intelligenti per un film che sa essere elegante nell’esecuzione, serioso di un’austerità necessaria a controbilanciare il kitsch connaturato all’operazione.
5 – Wounds di Babak Anvari
Incomprensibilmente accolto con ostilità da critica e pubblico, il ritorno di Babak Anvari dopo Under the Shadow è un gran bel lavoro di adattamento della novella Il nero visibile di Nathan Ballingrud. Uscito direttamente su Netflix, Wounds restituisce fedelmente lo spirito del racconto, che arricchisce di idee nuove in armonia col resto. Nonostante la presenza di uno smartphone che veicola messaggi raccapriccianti, Anvari evita di impantanarsi nella storia del “device maledetto”, calando il pubblico in una dimensione di folklore più universale. C’è l’orrore urbano, ci sono la vita da bar e l’alcolismo funzionale. L’equilibrio dei personaggi è stravolto dall’interferenza di un’oscurità innominabile, in cerca di una porta su questo mondo negli aspetti più ovvi del quotidiano: i nostri corpi, le nostre abitudini, i nostri prolungamenti tecnologici.
4 – Ready or Not di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett
Uscito in Italia col titolo Finché morte non ci separi, Ready or Not è un film divertentissimo e cruento, che vede protagonista l’ormai consolidata diva horror Samara Weaving – il suo personaggio è un costume di Halloween già pronto, in abito da sposa insanguinato e scarpe da ginnastica gialle. Il film inscena un carnevale al contrario, coerente con l’America contemporanea e collocabile vicino ai film della saga di The Purge, anche se in chiave più comica: una donna è costretta dai suoi parenti acquisiti a partecipare a una variante del nascondino, mentre questi le danno la caccia per sacrificarla alla divinità luciferina che li ha fatti arricchire. Raggiunge il suo climax in un finale catartico saturo di splatter, perché il capitalismo che descrive è una macchina ironica e senza pietà.
3 – Us di Jordan Peele
Uno degli argomenti più disonesti che viene usato per ridimensionare il successo di Jordan Peele è che si parli bene di lui solo per via dell’impegno sociale dei suoi film, visto che trattano argomenti come razzismo e lotta di classe. Questo atteggiamento denota, tra le varie cose, cecità verso le caratteristiche che gli hanno portato invece dei riconoscimenti giusti. Anche Us – come l’esordio Get Out – è un film importante perché il cinema di Peele, oltre a essere piacevole e ben eseguito, è anche innovativo, capace di trascende i sottogeneri inventandosene dei nuovi, rispettoso della cinematografia che l’ha preceduto e che ama omaggiare. Us ha ritmo, movimento e idee, spazia tra l’home invasion e il peggior incubo weird, infuso di vita grazie all’interpretazione di Lupita Nyong’o. Us è iconico grazie alla serie di immagini indelebili che si lascia alle spalle, dimostrandosi un film destinato a durare.
2 – The Lighthouse di Robert Eggers
Discesa a precipizio nella follia per una coppia di personaggi che paiono usciti da un’opera di Samuel Beckett. The Lighthouse è il secondo lungometraggio di Robert Eggers, regista di The Witch, film che ha dato il via al revival del folk horror in costume nel cinema indie odierno. Nonostante l’attitudine “da festival”, Eggers è uno dei pochi che pur essendo sdoganati dal pubblico intellettuale, manifesta la sua gratitudine per la libertà ottenuta grazie al cinema di genere. E infatti, con The Lighthouse, Eggers spinge ancora di più sul lato art-house. Sceglie un formato ostico, quasi quadrato, e una notevole fotografia in bianco e nero analogico. Il film ha un ritmo ipnotico, retto dal carisma di Willem Dafoe e Robert Pattinson, in una spirale new weird carica di immagini paradossali. Pur evitando l’esposizione più didascalica, il film si fa capire senza intrappolarsi nel suo immaginario. Non poterlo fruire in sala è un peccato; per ora è arrivato in home video, mentre di una distribuzione italiana non si sa nulla.
1 – Midsommar di Ari Aster
Come anticipato, il 2019 è stato l’anno del folk horror. Com’è giusto che sia, in cima alla classifica può esserci solo Midsommar, opera seconda di Ari Aster, che aveva già sconvolto l’horror odierno con Hereditary nel 2018. Tornando al canone folk di film culto come The Wicker Man, Aster prende una strada solo apparentemente imitativa, dirigendo un film personalissimo e deviato quanto il precedente. C’è ambiguità su chi sia davvero cattivo in questo film; si parla di comunità, di isolamento, di lutto, di violenza nella coppia. È soprattutto un film sul dolore e su come la sua esperienza sia solitaria nella nostra società. Nel ragionare su questo, Midsommar prospetta una controproposta piena di luci e ombre, facendo assumere un significato diverso a un arco narrativo ripreso dai classici del genere. È puro cinema art-house che divide il pubblico tra fan e hater, a dimostrazione di come Aster riesca sempre a essere perfettamente contemporaneo sotto ogni punto di vista.
Menzioni onorevoli – I migliori horror del 2019
Belzebuth di Emilio Portes
Film messicano ambientato lungo il confine con gli USA, rivisita le classiche storie di possessione con un’avventura d’azione. Pur soffrendo di uno script ingenuamente machista, Belzebuth si distingue per l’insolito coraggio con cui assembla il proprio immaginario. In scena vediamo: non una, ma ben tre stragi di bambini; un Gesù demoniaco; un esorcismo con crocefissione; in generale, un’iconografia cattolica rielaborata al servizio dell’orrore.
You Might Be the Killer di Brett Simmons
Slasher meta, costruito come una commedia horror che scherza sui luoghi comuni del genere. La sua origine è peculiare: il soggetto nasce da un thread su Twitter. Ci si potrebbe aspettare poco, e invece è uno dei migliori horror metacinematografici degli ultimi anni. Montaggio ritmato, gag divertenti, attori whedoniani amabili come Fran Kranz e Alyson Hannigan. Non va visto pensando alla magniloquenza di The Cabin in the Woods, ma alla sagacia che tiene insieme una produzione piccola come questa.
Atlantique di Mati Diop
Grand Prix al festival di Cannes 2019, girato con uno stile quasi documentario, Atlantique è una storia di zombi nel senso tradizionale del termine. Ambientato a Dakar, prende spunto dai naufragi nel Mediterraneo per costruire una storia di fantasmi che si allontana dalle convenzioni del genere. Nonostante il linguaggio da cinefestival, è a pieno titolo un horror, seppure diverso dal solito. Qualche elemento in comune con un altro film presentato a Cannes, Zombi Child di Bertrand Bonello.
Depraved di Larry Fessenden
Un retelling della storia di Frankenstein, qui ambientata ai giorni nostri e raccontata dal punto di vista della creatura. Dramma di fantascienza horror, dall’impianto visivo vibrante, sostenuto da make up e interpretazioni. L’elemento chiave è ovviamente quello della scienza come potere su vita e morte, riletto in un contesto di trauma e ptsd. I personaggi sono intrappolati in un ciclo di abuso che trova il suo picco nella sofferenza della creatura. Non torna sempre tutto, ma ha comunque un bell’approccio al classico.
I Trapped the Devil di Josh Lobo
Piccolo film indipendente quasi privo di budget che ipnotizza nonostante le limitazioni materiali. Tetra l’ambientazione domestica, per una discesa agli inferi dal tono lisergico, senza che uso di effetti speciali veri e propri. Si fa notare per la semplicità con cui ottiene il risultato, per come sa turbare con una presenza-assenza malefica e per la bellezza della colonna sonora. L’arco narrativo in sé è scarno e ricalca senza accreditarlo un vecchio episodio di The Twilight Zone (The Howling Man).
The Furies di Tony D’Aquino
Film australiano che mescola slasher e battle royale, notevole soprattutto per i suoi momenti gore. Le regole dei generi sono riviste abbastanza da dare l’originalità necessaria al progetto. Le implicazioni ludiche della situazione non cedono troppo terreno al sadismo, anche se gli impulsi rivoluzionari restano sottosviluppati. Il risultato è discreto, ma il film avrebbe potuto osare di più.
Fuori gara – I migliori horror del 2019
Questi sono film non completamente horror, anche se è davvero difficile stabilire i confini tra generi, e a volte non ha nemmeno tanto senso. Alcuni sono tra le migliori uscite dell’anno, per cui meritano una sezione dedicata. Climax di Gaspar Noé, distribuito da noi in sala nel 2019, è un lungo e frenetico ballo, che proietta nel musical più sperimentale spaventose figure mitologiche come le baccanti, qui incarnate dai componenti di una compagnia di danza rinchiusi insieme sotto acido. High Life di Claire Denis è un film di fantascienza intriso di orrore esistenziale, mentre Border di Ali Abbasi è il più fantastico dei gialli nordici: di entrambi si è già parlato qua. Greener Grass di Jocelyn DeBoer e Dawn Luebbe è una commedia dell’assurdo dai colori sgargianti composta da sketch grotteschi, ambientata in un sobborgo simile a quello di Stepford Wives.
The Nightingale di Jennifer Kent è un rape and revenge in costume che usa alcuni tropes del western parlando di vari tipi di violenza: coloniale, di genere e di classe. È un film controverso e violentissimo, che meriterebbe uno spazio di discussione non inquinato da polemiche; ma nonostante la partecipazione al festival di Venezia nel 2018, da noi non è nemmeno stato distribuito. Piercing di Nicolas Pesce è un dramma psicologico sadomaso, con un’estetica che si rifà al giallo italiano, il cui revival è sempre più popolare. Contiene un’ottima Mia Wasikowska. Lords of Chaos di Jonas Åkerlund è un true crime che incontra il biopic rock, pieno di violenza cruda e qualche vezzo estetico, con Rory Culkin a raccontare la vicenda criminale del True Norwegian Black Metal; soprattutto, è una storia di vanità. We Have Always Lived in the Castle di Stacie Passon è uno psychothriller sornione pieno di elementi gotici, messo in scena con grande cura per rendere le atmosfere dell’omonimo romanzo di Shirley Jackson – consigliato quanto il film, anzi, di più.
Bonus: le serie tv e streaming – I migliori horror del 2019
American Horror Story – 1984 di Ryan Murphy
Stagione asciutta e divertentissima, che riprende tutti i cliché dello slasher anni ’80 ambientando la vicenda in un campeggio ricettacolo di serial killer. Rilettura competente di un sottogenere che ha fatto la storia, è piena di scene memorabili, one liner e sottotrame che sono piccole parabole dell’orrore. Rinfrescato il cast tradizionale, con sempre più spazio ai nuovi volti: i giganti della stagione sono Billie Lourd nei panni di Montana, il disperato Mr Jingles di John Carroll Lynchx. Adorabili Angelica Ross e Cody Fern, quest’ultimo più sopra le righe rispetto alla stagione precedente. È confermata ancora almeno un’altra stagione FX della gloriosa serie antologica di Ryan Murphy.
Evil di Michelle e Robert King
Evil di Michelle e Robert King, autori di The Good Wife e The Good Fight. Il rapporto con la contemporaneità politica americana viene qui traslato in un racconto di demoni e possessioni. C’è un tocco di X-Files nell’impostare il rapporto tra la protagonista Kristen, psicologa scettica, con il seminarista tormentato David, tensione erotica compresa. Ma c’è anche forte e chiara l’eco di Millennium nella costruzione di una mitologia millenarista per un pianeta che sembra destinato all’apocalisse. I King colgono lo spirito del tempo rappresentando la lotta tra bene e male, chiamando in causa il terrorismo bianco che sta insanguinando l’America. L’aspetto più efficace di Evil emerge però nelle puntate dedicate a piccole storie di terrore domestico, che raccontano l’emancipazione attraverso la paura – rito di passaggio per i più piccoli – e allo stesso tempo le insicurezze dei genitori, che temono di non riuscire a proteggere i loro figli da un male sempre più insidioso. È un buon horror perché intercetta paure elementari e condivise, collegandole a un tempo specifico: il presente, di cui i King sono da sempre grandi cantori. Già rinnovata da CBS per una seconda stagione.
The Chilling Adventures of Sabrina – stagione 2 di Roberto Aguirre-Sacasa
Visivamente ineccepibile, arricchita da un amore per il dettaglio evidente in ogni compartimento artistico, la seconda stagione di The Chilling Adventures of Sabrina crea un vero mondo magico. La serie è ancora una volta caratterizzata dalla disinvoltura con cui si menziona Satana, divinità adorata dalla comunità della protagonista, e dall’allegoria con la società patriarcale. Degna erede di Buffy the Vampire Slayer, è un teen drama dark che ha un’identità ben determinata – a cominciare dall’assenza di mentori maschi nella vita di Sabrina. Un ottimo ritorno, che contiene la scena più bella di tutta la serie (Chapter Twenty-Six: All of them Witches). La terza stagione arriverà su Netflix il 24 gennaio 2020.
Castle Rock – stagione 2 di Sam Shaw and Dustin Thomason
Serie imperfetta, fieramente minore, eppure affascinante, originale, al passo coi tempi ma fedele alla sua linea dark fantasy e horror ispirata all’universo di Stephen King. La protagonista della stagione è Annie Wilkes, l’infermiera di Misery, qui interpretata da Lizzy Caplan. Lo show è retto dalla storia di una donna perseguitata da demoni personali, traumatizzata dal suo passato e tormentata dalla malattia mentale. Annie è dotata di una forza feroce e non è una vera “buona”: ha fatto cose molto cattive che la serie spiega senza perdonarle, mettendole semmai in prospettiva. È violenta e pericolosa, in sintonia con la vena deliziosamente da B-movie dello show. Nonostante sia una serie antologica, viene creata una mitologia interna che ricollega tra loro le stagioni. Al momento è in attesa di rinnovo.
Le rimanenze – I migliori horror del 2019
Oltre a ogni film menzionato nelle recensioni che avete letto qui sopra, per formare la lista dei migliori horror del 2019 sono stati presi in esame anche altri titoli. I più meritevoli tra gli avanzi sono: Lifechanger, In Fabric (nella foto), Braid, Mercy Black, Child’s Play, The Cleaning Lady, The Perfection, Darlin’, Brightburn, Satanic Panic, Eli, Body at Brighton Rock, Scary Stories To Tell in the Dark, The Hole in the Ground. Quelli meh: Escape Room, The Nest, Bliss, Corporate Animals, Sweetheart, Rust Creek, The Dead Don’t Die, Nightmare Cinema, Pledge, Happy Death Day 2 U, Slice. Quelli inutili: Velvet Buzzsaw, The Curse of la Llorona, Ma, The Prodigy.
Di seguito invece la lista dei film esclusi: sarebbe stato bello poterli includere nella rassegna, ma è mancato il tempo per vederli. Alcuni hanno una reputazione eccellente e avrebbero meritato più attenzione; di quelli, si parlerà durante il 2020. L’elenco generale comprende: Knives and Skin, Little Monsters, Knife+Heart, Fugue, November, Rabid, Animas, The Banana Splits Movie, I’ll Take Your Dead, Extra Ordinary, The Dead Center, The Oath, Crawl, Boar, Perfect, Deadtectives, Harpoon, Luz, Starfish, The Boat, Book of Monsters, Haunt, Girl on the Third Floor, The Golem, Antrum, Zilla and Zoe, Bloodline, The Nightshifter, Fractured, Deep Murder, One Winter Night, Annabelle Comes Home, Trick, 3 from Hell, Rattlesnake, Polaroid, Zombieland 2.
Questi invece sono alcuni dei film che arriveranno durante il 2020 (si spera): The Lodge, Last Night in Soho, Daniel Isn’t Real, Color From Outer Space, The Turning, The Invisible Man, Antlers, A Quiet Place 2, Gretel & Hansel, Come to Daddy, The Dead Ones, Saint Maude, Black Christmas remake (da noi non è uscito a Natale), Candyman remake, The Grudge remake, Antebellum, Synchronic, The Mortuary Collection, We Summon the Darkness, The New Mutants, Kindred Spirits. Un anno davvero promettente.
==> Leggi anche I 10 migliori horror del 2018