Black Mirror – Stagione 5: recensione
Lo show fantascientifico di Charlie Brooker torna su Netflix con 3 nuovi episodi
Per parlare di Black Mirror senza equivoci, va fatta una premessa. Lo show di Charlie Brooker ha sempre avuto una tendenza conservatrice, espressa da una visione apocalittica del rapporto tra umano e tecnologia. Per questo motivo, fin dal suo inizio Black Mirror viene sia lodato, sia attaccato. Negli ultimi anni le critiche si sono inasprite, complice il trasferimento dello show su Netflix e il suo conseguente allungamento (più episodi, più minutaggio, e quindi più filler). Si può però parlare di Black Mirror senza per forza volerlo innalzare a quello che non è, ovvero la Televisione Innovativa, e apprezzare ciò che è veramente: un buono show di fantascienza capace di divertire, ma non troppo profondo o illuminato, una serie che non spinge le sue analisi a chissà quali profondità.
Se volete qualcosa di più, dovete rivolgervi altrove. Infatti, la serie da guardare ora è Years and Years (BBC One), che approccia la riflessione fantascientifica di Black Mirror da un’angolazione diversa. Si lega di più al quotidiano, in un dialogo credibile tra presente e futuro immediato, e lo fa grazie a un formato non antologico, ma soprattutto in virtù di una bella intuizione: sì, la tecnologia cambia rapidamente, ma il vero segno dei nostri tempi è il tramonto delle democrazie occidentali. Fatta questa doverosa precisazione, ci si può godere anche Black Mirror, che con i suoi 3 nuovi episodi mantiene un livello di intrattenimento dignitoso.
Proseguendo con la recensione è necessario uno SPOILER ALERT.
Striking Vipers – Black Mirror – Stagione 5: recensione
Al centro dell’episodio c’è un’amicizia tra uomini che si trasforma in torrida relazione erotica. Il catalizzatore è un videogame, mondo virtuale all’interno del quale i due fanno sesso per mezzo di due avatar etero. La scelta è ardita, ma solleva critiche per il suo svolgimento. La rappresentazione del rapporto omoerotico viene esaminata negativamente su Polygon, dove si fa notare che, nello scioglimento della vicenda, sull’esplorazione queer prevale la famiglia eterosessuale. Un altro aspetto che può risultare deludente è la mancata esplorazione del sesso via avatar e delle fluidità di genere che suggerisce: i personaggi rimangono saldamente ancorati ai ruoli virtuali che si sono dati il primo giorno, senza mai cambiarli nonostante le possibilità offerte dal mezzo. Pur senza entrare mai troppo nel merito di cosa ci sia effettivamente dietro alle pulsioni erotiche dei protagonisti, la puntata riesce comunque a centrare il suo punto, esplorando un “what if” piuttosto specifico: cosa succede quando la realtà virtuale ci consegna la possibilità di uscire dal nostro corpo per un’esperienza sessuale realistica?
Approcciando questo episodio non bisogna pensare troppo a San Junipero, pena una delusione. Striking Vipers non ha l’obiettivo di riproporre un lieto fine come quello in cui l’amore lesbico trionfava sull’eternità. Non è nemmeno una vera e propria commedia romantica, in cui i nostri eroi devono chiudere il loro arco formando una nuova coppia. Striking Vipers non funziona così perché la sua storia è focalizzata sul sesso, e non sull’amore. Il family man alla fine resterà tale, ma la sua coppia diventerà aperta; lo scapolo deciderà di prendersi un gatto. L’episodio non offre insomma grandi trasformazioni dei personaggi; la coppia tradizionale si apre, ma senza grandi scossoni. È comprensibile la ragione per cui Striking Vipers è stato recepito con scarso entusiasmo, ma rimane un episodio valido proprio perché racconta molto bene il funzionamento di un’ossessione più erotica che amorosa, con tutte le sfumature del caso – e cioè quelle per cui non è poi così scontato che esista una differenza netta tra le due cose.
Smithereens – Black Mirror – Stagione 5: recensione
In questa nuova stagione di Black Mirror si nota subito la presenza di un cast stellare in ogni puntata. Nella precedente, troviamo Anthony Mackie, direttamente dall’MCU, mentre qui il protagonista è Andrew Scott (Moriarty in Sherlock, ma recentemente apparso nella seconda stagione di Fleabag), che con la sua interpretazione eleva una storia altrimenti fiacca. Smithereens non è una vicenda classicamente fantascientifica, ma un dramma sulla dipendenza da social media, volutamente ambientato nel 2018 proprio per chiarire fin dalla prima inquadratura la sua vocazione di commento senza filtri sul presente.
Purtroppo, ne risulta un episodio minore, uno dei tanti filler che hanno caratterizzato Black Mirror dal suo passaggio a Netflix in avanti. La presenza di sole 3 puntate nella stagione corrente faceva sperare che fossero tutte necessarie, ma Smithereens è riuscita solo a metà. Procede con un ritmo lento e ripetitivo, che rende ingiustificabile il suo minutaggio superiore all’ora, e ha uno scioglimento ampiamente prevedibile. La spiegazione finale rimanda a tanti altri drammi sci-fi con aspirazioni mindfuck, come il film Rememory e l’episodio di Into the Dark recentemente diretto da Nacho Vigalondo, Pooka!. Ma è dai tempi di The Machinist che risulta trito l’espediente dell’incidente stradale come rimosso scatentante.
A favore di Smithereens si può dire che la sua anima non sia tanto nella ricerca del colpo di scena, per l’appunto prevedibilissimo, quanto nel racconto della disperazione del protagonista, reso credibile da Scott. Risultano però paradossalmente più urgenti altri temi, che sono invece solo marginali nella puntata: il fatto che una compagnia simile a Facebook possa eseguire un lavoro poliziesco più efficiente di quello delle vere forze dell’ordine, o il senso di onnipotenza del CEO tecnologico di turno. Ma in fin dei conti sono tutti elementi che abbiamo già visto svolti meglio altrove, per esempio in serie come The Good Wife e persino in Silicon Valley. Resta allora la descrizione del rapporto di dipendenza dalle app, volutamente costruite per distrarci; ma mostrare il gesto disperato del protagonista non è sufficiente né a farci immedesimare, né a riflettere su un aspetto effettivamente sinistro del nostro presente – sullo stesso argomento, leggete la critica feroce di Vulture.
Rachel, Jack and Ashley Too – Black Mirror – Stagione 5: recensione
Episodio curioso con protagonista Miley Cyrus, offre subito una chicca al pubblico più adulto (o più dark): una cover di Head Like a Hole, singolo dal primo album dei Nine Inch Nails. La canzone è rifatta in modo speculare, inizialmente trasformata in una hit pop priva della patina sporca e trasgressiva, con un testo che rimanda all’originale invertendone però il significato. Secondo lo stesso spirito, Ashley O, la musicista interpretata da Cyrus, sembra orientata a una svolta alla Kurt Cobain quando inizia il suo arco di puntata, ma le circostanze la costringono a continuare a comporre melodie inoffensive per non rovinare il suo mercato.
L’analogia continua con la falsa pista della premeditazione del suicidio, che scorre in parallelo all’altra trama della storia, che vede protagoniste le sorelle adolescenti che l’aiuteranno a salvarsi. Fino a metà, l’episodio è un thriller fantascientifico angosciante, grazie al senso di minaccia che incombe sia sulle ragazzine, sia sulla cantautrice. L’elemento sci-fi più forte è una trama imbastita sull’intelligenza artificiale della bambola “Ashley Too”, copia della mente della cantante. La sua introduzione – in odore di Generazione Proteus e HAL 9000 – subisce però un’inversione, esattamente come la storyline che punta verso il suicidio: come San Junipero in precedenza, Rachel, Jack and Ashley Too si rivela un bright mirror, un episodio più felice nonostante la pesantezza dei suoi temi – tra i quali spunta con naturalezza una difesa dell’eutanasia.
Quando Ashley cade in coma, non è solo una bella addormentata, ma un’Amleta ricorsiva: è sia il fantasma che svela il proprio avvelenamento, sia la sua stessa vendicatrice; ma soprattutto, Ashley è una damsel in distress che riesce a salvare se stessa – con l’aiuto di altre ragazze, umane e postumane che siano. Il tono scanzonato che l’episodio assume dalla metà in avanti risulterà indigesto a molti fan del Black Mirror più classico, ma se ne può apprezzare l’essere una volta tanto sopra le righe per ragioni allegre. Per quanto sia stucchevole la trasfigurazione finale di Ashley in una versione “sana” di Cobain, c’è bisogno anche di un Black Mirror capace di uscire dal circolo stantio delle sue visioni apocalittiche, e in quel senso l’episodio offre un sincero tentativo di reinvenzione.
Sara M. | ||
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