I 10 migliori horror del 2018
I migliori film horror del 2018, le menzioni speciali e gli esclusi
Per comporre questa compilation filmica dei migliori horror del 2018, ne ho visti il maggior numero possibile (ma non tutti, e mi scuso in anticipo per le eventuali mancanze). Mi hanno aiutata le uscite homevideo di parecchi film non distribuiti in sala e ho avuto la fortuna di vederne qualcuno al ToHorror Film Fest. Per quanto riguarda la datazione: il ciclo di vita di un film indipendente, come spesso sono quelli d’orrore, può essere piuttosto lungo. Di solito c’è il giro dei festival prima della distribuzione; l’uscita homevideo o streaming lo completa, rendendolo accessibile in molti paesi in cui non era riuscito ad arrivare al cinema. Per questo motivo, nella lista dei migliori horror del 2018 ho scelto di inserire anche titoli che hanno girato i festival nel 2017, ma che hanno raggiunto il grande pubblico solo nel 2018. Con un’eccezione: un film che è uscito in Italia all’inizio del 2019, ma che era stato presentato a un festival ed era uscito all’estero nel 2018 (avete già capito quale).
I 10 migliori horror del 2018 – Conto alla rovescia dei film
10 – Unfriended: Dark Web di Stephen Susco
È prodotto dal kazako Timur Bekmambetov, che sta lanciando con successo il sottogenere da lui chiamato screen life, ovvero l’ultima versione del found footage, quella dove tutto accade sullo schermo di un computer. Non l’ha inventato lui, ma è il primo ad avere ottenuto dei riscontri forti. Questo secondo Unfriended è anche migliore del primo per ritmo e invenzioni: la declinazione dark web dà vita a un thriller serratissimo in cui le leggende urbane si manifestano in tutta la loro violenza, portate in casa dal computer di una sconosciuta. Sullo schermo cine-televisivo anche il più banale click si trasforma in uno snodo importantissimo della trama, tenendoci col fiato sospeso. Abilità nella scrittura e budget basso potrebbero davvero rendere lo screen life un filone classico, e Unfriended Dark Web ne è un ottimo esemplare.
9 – Pyewacket di Adam MacDonald
Presentato in Canada alla fine del 2017, ha circolato nel mondo durante il 2018. Horror di evocazione occulta, ha uno sviluppo della storia classico. Funziona perché è diretto con cura, ispirando un senso di realismo documentario grazie alle inquadrature, e montato usando una serie di ellissi che oltrepassano l’ovvio, lasciando un senso di mistero e minaccia incombente dall’inizio alla fine. Ha per protagoniste due brave attrici televisive, adatte alle loro parti: Laurie Holden di The Walking Dead nei panni della madre, bionda e lacrimosa, e Nicole Muñoz di Defiance come figlia metallara, tutta oscurità e ribellione. È un film piccolo che non fa mai trapelare l’oppressione di un budget basso, è curato ed elegante pur rimanendo semplice.
8 – The Endless di Justin Benson e Aaron Moorhead
Uscito al cinema USA nel 2018 dopo il consueto giro dei festival nell’anno precedente, The Endless è la seconda opera degli autori di Resolution, film che a questo si collega. Come molti altri titoli recenti, The Endless si apre con una citazione di H. P. Lovecraft, a indicarci l’ingresso nel territorio dell’indicibile che fa scricchiolare la mente umana – non esattamente la cosa più semplice da rappresentare sullo schermo. Per questo va apprezzato il film di Benson e Moorhead (qui anche attori principali): riesce a creare col mezzo audiovisivo quel senso di impossibilità dell’intelletto, di irrazionale che dilaga nella realtà. Il film non è un meccanismo a orologeria, c’è qualche compiacimento di troppo e alcune sbavature; ma nonostante qualche imperfezione, rimane un viaggio coinvolgente e in grado di stupire.
7 – Zombie contro zombie – One Cut of the Dead di Shin’ichirô Ueda
Film giapponese che ha destato interesse nel suo paese dopo il successo al Far East Film Festival di Udine nel 2018, è quindi uscito al cinema in Italia, Giappone e pochi altri paesi asiatici, e ha vinto il ToHorror Film Fest. È una commedia che sfrutta i cliché degli zombie movie, un bel film sull’epica di fare cinema senza soldi. Il metacinema diventa un rompicapo diviso in due tempi molto diversi tra loro, ma complementari. Senza spoiler, si può dire che One Cut of the Dead chiede fiducia al pubblico, ripagandolo dell’impegno con cui accetta la sua premessa rimanendo davanti allo schermo fino alla fine.
6 – Mandy di Panos Cosmatos
“Revenge horror psichedelico” e la definizione di Wikipedia, tutto sommato condivisibile. L’atmosfera è fatta da immagini evocative, irreali e coloratissime; d’ispirazione anni ’70 nel primo tempo, nel secondo sembra una fusione tra Hellraiser e Mad Max. Il clima generale è quello di una fiaba o di un racconto mitologico in versione ultrapop: Mandy (Andrea Riseborough), sposata col boscaiolo Nicolas Cage, è una sorta di ninfa dei boschi che ha la sfortuna di essere notata dal re/stregone del caso. Quello che succede è cupo come le fiabe e violento come la mitologia, in una dimensione in cui il confine tra verosimile e surreale è labile. Non un realismo magico, però, più un barocco allucinato. Un film che è facile accusare di essere pretenzioso, ma che ha anche una buona dose di carisma.
5 – Revenge di Coralie Fargeat
Ai festival nel 2017 e in sala nel 2018, Italia compresa. Come anticipa il titolo, si tratta di un rape&revenge movie, genere controverso per l’uso che fa dello stupro come meccanismo narrativo. Il film di Fargeat non è esente dai problemi connessi al tema, e di certo non va scambiato per un manifesto femminista (approfondimenti). Accettate queste premesse, Revenge si fa apprezzare per i suoi altri pregi: 4 attori, un deserto polverosissimo e sconfinato, il peyote, il body horror, la caccia; funziona tutto nel migliore dei modi. È un western gore che fa un uso sapiente dello spazio e dei movimenti dei personaggi in esso. Oltre alla pioggia di sangue, c’è anche una componente di realismo più lisergico che magico, che colloca il film in prossimità della dimensione sovrannaturale/sovrumana di cui l’horror fa naturalmente parte.
4 – Annientamento – Annihilation di Alex Garland
Uscito direttamente su Netflix in quasi tutto il mondo all’inizio del 2018, Annihilation è l’adattamento del primo romanzo della trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, guardiano del New Weird, sottogenere tra fantascienza e orrore lovecraftiano. Il film di Garland ne riprende lo spirito, pur alterandone la trama, e crea la sua personale Area X attorno al lutto della protagonista, spedendola in territori alieni vitali e incomprensibili. È stato detto che Annihilation è come se Björk dirigesse un remake di The Abyss, e un po’ è davvero così. È un film sbilanciato sul versante art house, più amato dalla critica che dal pubblico, ma che sa turbare e ha una grande potenza visiva. Lo trovate su Netflix.
3 – Thelma di Joachim Trier
Un horror norvegese del filone fantastico, Thelma è uscito in patria nel 2017, ma è arrivato al cinema in Italia nel 2018. Si tratta di un coming of age in cui gli elementi sovrannaturali coesistono armoniosamente con quelli realistici. C’è la religione, un’ombra cupa e opprimente. C’è lo sbocciare sentimentale ed erotico dell’omosessualità di una ragazza adolescente. C’è anche una misteriosa forma di epilessia, una forza che rifiuta di categorizzarsi come buona o cattiva, attorno alla cui natura ruota l’arco del film. La scena iniziale aggancia subito l’attenzione ed è seguita da tempi che si dilatano e restringono, punteggiati da immagini evocative ma non meramente estetizzanti. Film originale e imprevedibile.
2 – Suspiria di Luca Guadagnino
Presentato a Venezia e poi uscito nei cinema USA nel 2018, è arrivato nella sale italiane all’inizio del 2019, ma, visto l’hype creatosi già durante l’anno passato, sembrava un delitto non inserirlo in questa classifica tardiva. Lontanissimo dall’originale, pur riprendendone una gran quantità di elementi, Suspiria 2018 non è un remake vero e proprio, quanto un film nuovo che si ispira alla mitologia di Dario Argento. Sapendo che la storia la conosciamo già grazie all’originale, questo Suspiria crea un clima basato su infinite anticipazioni, pieno di sangue e delirio nei punti giusti, popolato da streghe feroci e con un finale orgasmico. È un film saturo di simboli e riferimenti, che andrebbero però presi così come sono, invece di cercare di scioglierli in una soluzione di significati esoterici. Perché Suspiria di Guadagnino è soprattutto un onesto film dell’orrore. La presenza al suo interno di elementi che vengono attribuiti a un cinema “alto”, come la danza, ha mandato in cortocircuito parte della critica, che si è impegnata a decodificare il film senza capirci più nulla.
1 – Hereditary di Ari Aster
Uno di quei casi in cui le aspettative altissime create dai corti del regista sono state addirittura superate dal suo esordio al lungometraggio (ma guardatevi lo stesso The Strange Thing About the Johnsons). Horror art-house targato A24 (il distributore indie più figo/fighetto del momento), è un film dove si urla parecchio; di terrore, sì, ma anche di dolore e di disperazione. L’horror si mescola a un dramma familiare deragliato, in cui ogni scena è costruita per creare una sensazione di disagio. Qualcosa è sempre fuori posto, sembra dire ogni dettaglio del film; e la vicenda narrata lo confermerà. Cast meraviglioso assassinato dal doppiaggio italiano: una Toni Collette gigantesca, e poi Gabriel Byrne, Ann Dowd e i giovani Alex Wolff e Milly Shapiro. Una delle caratteristiche più inquietanti di Hereditary è il suono: al di là di un’ottima colonna sonora, c’è un lavoro straordinario di sound design. C’è un solo jump scare convenzionale, mentre tutti gli altri momenti di paura sono costruiti in modo più obliquo, pur appoggiandosi a questo bel lavoro sonoro. Aster usa la grammatica horror con grande competenza, fissando alcuni elementi classici, attorno ai quali però costruisce un film liberissimo, che scarta continuamente in nuove direzioni. C’è un bilanciamento ritmico tra momenti dilatati, in cui i protagonisti sono afflitti da un orrore che non è metafisico (l’angoscia del lutto), e le parti in cui tutto prende una piega prima grottesca e poi semplicemente terrificante.
Le menzioni d’onore – I migliori horror del 2018
Ma ci sono ancora troppi bei film per fermarsi qui: i migliori horror del 2018 sono più di 10. Ecco la seconda infornata di titoli che in qualche modo devono rientrare in questa lista con una menzione d’onore.
Unsane di Steven Soderbergh
Thriller claustrofobico che ci opprime con la sua deformazione visiva, visto che è stato girato con un iPhone, ma anche con la sua storia angosciante. C’è l’ansia dello stalking e quella della reclusione, ma anche l’ambiguità dello psychothriller che ci fa interrogare sulla veridicità di ciò che vediamo. Stupenda Claire Foy in versione antipatica. Non è horror puro, ma la dimensione di terrore evocata dalla situazione è tale da farlo rientrare nella lista.
A Quiet Place di John Krasinski
Tutto giocato su un’idea sola, sviluppata in modo abbastanza forte da reggere la durata del film (al contrario di Bird Box). L’orrore non è solo quello dei mostri da cui nascondersi, ma soprattutto il modo in cui queste creature cacciatrici hanno modificato l’esperienza umana. I personaggi sono costretti a un adattamento che allo spettatore sembra innaturale, e lì sta la forza del film: mostrare i protagonisti vivere una vita che a noi sembra impossibile, quella in cui si è costretti a non generare mai nessun suono. Notevole prova di regia per l’attore/regista Krasinski.
Calibre di Matt Palmer
Thriller scozzese della sopravvivenza che non è horror, ma ha lo stesso effetto di stress psicologico. Due amici vanno nei boschi e tutto va male come da programma, in una rivisitazione dei tropi classici del genere. Il suo pregio maggiore è come mostra quasi in tempo reale lo sfaldarsi della situazione, con l’incatenarsi di una lunga serie di cattive decisioni. Originale Netflix, lo trovate lì.
Housewife di Can Evrenol
La storia di una donna e di un culto alieno. Se Argento e Fulci sono la sua ispirazione visiva, la vera fonte del mondo narrativo di Housewife è ancora una volta H. P. Lovecraft. Un suo pregio è quello di riportare il body horror al centro della perturbazione, dando un’impronta estetica personalissima e riconoscibile. Proiettato al ToHorror Film Fest.
Cam di Daniel Goldhaber
Scritto da Isa Mazzei, che ha davvero lavorato come camgirl, il film è un thriller-horror che mette in scena un evento che dovrebbe spaventare tutti: il furto della propria identità digitale, che sembra acquisire una vita a sé stante. Controintuitivamente, non è stato girato come uno screen life e la scelta si è rivelata giusta: il film gode dei suoi colori esagerati, della regia e del montaggio lontani dalla piattezza pixelata della webcam.
Ghost Stories di Jeremy Dyson e Andy Nyman
Struttura a episodi ricorrente nell’horror, che punta in questo caso sulla relazione tra singole storie e racconto cornice. Gli episodi inizialmente risultano un po’ monchi, ma si capisce presto che c’è un messaggio da decodificare al loro interno. È l’adattamento di uno spettacolo teatrale; forse sul palcoscenico è più efficace, mentre come film rimane nella media.
La casa delle bambole – Ghostland di Pascal Laugier
Ultimo film dell’autore di Martyrs, regista incasellato in quella nuova onda di cinema estremo francese sorta negli anni 2000. Anche qui ci sono la violenza e una struttura fuori dagli schemi, ma il film si perde troppo tra la sua voluta stranezza e qualche luogo comune da superare. Rimane comunque una novità originale.
Cargo di Yolanda Ramke e Ben Howling
Distribuito in tutto il mondo su Netflix nel 2018, Cargo è un film australiano, variazione sul tema dell’apocalisse zombie. Qui la difficoltà più grande sta nel portarsi sulle spalle una bambina piccola, mentre la storia ruota attorno a quello che succede nelle 48 ore che precedono l’annunciata trasformazione da umano a morto vivente.
Le rimanenze: i migliori horror del 2018 che non ho neanche nominato
Sicuramente in questa lista mancano i vostri migliori horror del 2018. Lo so, e mi dispiace. Per completismo, aggiungo qualche spiegazione. Commento in ordine sparso: Apostle ha elementi folk molto interessanti, ma ha una sceneggiatura troppo disordinata. The Ritual è carino e nulla più. Summer of 84 non mi è piaciuto. The First Purge è il più brutto del franchise. Di The Strangers: Pray at Night si faceva tranquillamente a meno, nonostante una bella sequenza. La vedova Winchester non dice molto. Bird Box è scadente. Wildling è bello, ma il make up lo affossa. Truth or Dare è una simpatica trashata. Upgrade è notevole, ma è un action di fantascienza, non so come farlo rientrare in questa lista. The House That Jack Built ha qualche bella immagine, ma l’ho trovato troppo fine a se stesso per entusiasmarmi. Elizabeth Harvest è una fiaba sci-fi un po’ macchinosa. Errementari l’ho spento dopo 10 minuti. Mom & Dad mi ha strappato qualche sorriso. Veronica non mi ha colpita. Before I Wake è stato una delusione. They Remain è un Annihilation troppo povero e si vede. The Cured è interessante, ma si perde troppo nella sua allegoria. Dei corti di All the Creatures Were Stirring ce n’è solo uno davvero meritevole.
Ora invece l’angolo della vergogna, i film che non ho ancora visto. Quelli nella mia wishlist sono: Cold Skin, The Night Eats the World, Halloween, Piercing, The Lodgers, Possum, Climax, Mohawk, The Witch in the Window, Downrange, The Clovehitch Killer, Slice, Marrowbone, The Little Stranger, The Field Guide to Evil, The Devil’s Doorway, Ravenous, Anna and the Apocalypse e What Keeps You Alive. Quelli che non sono neanche qui, considerateli bellamente ignorati.
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