Russian Doll – Stagione 1: recensione
Commedia fantastica Netflix perfetta per il binge-watching
Questa recensione di Russian Doll è senza spoiler fino all’ultima parte. Non temete: quando sarà il momento, vi verrà data la dovuta segnalazione.
In un 2019 che potrebbe rivelarsi la migliore annata per la serialità tv del decennio, Russian Doll è la prima novità veramente eccitante – con buona pace dei fan della pur godibile Sex Education. Originale Netflix, la serie è stata creata da tre autrici dalla reputazione consolidata: la ben nota Amy Poehler; Natasha Lyonne, che è anche l’interprete principale; e Leslye Headland, regista del pregevole Sleeping with Other People, che dirige anche metà degli episodi.
Un difetto che è quasi un pregio – Russian Doll: recensione
Perché è una novità così soprendente? La lista dei pregi è lunghissima, mentre di difetti ce n’è soltanto uno: per assurdo, trovare l’intera stagione già pronta sulla piattaforma non dà la possibilità di ragionare sugli interrogativi che ogni episodio innesca. È una serie scritta talmente bene da funzionare alla perfezione per il binge-watching a cui è destinata – inevitabile dato il ritmo serrato dei cliffhanger e la brevità degli episodi (circa 26 minuti); ma, proprio per le stesse ragioni, uscendo a cadenza settimanale avrebbe potuto generare un fandom felice di produrre ed esplorare tutte le teorie che la serie volutamente evoca.
Il fatto che questo sia l’unico difetto dello show conferma la sua riuscita: un successo inaspettato dal punto di vista della “qualità versus quantità” per Netflix, che tende ad allungare esageratamente i minutaggi delle sue serie originali. Basandosi su continui twist, misteri e scoperte, la scrittura di Russian Doll la accomuna a un’altra grande serie del presente, The Good Place (la cui prima stagione si ispirava allo stile di Damon Lindelof, autore di Lost e The Leftovers). Come The Good Place, anche Russian Doll opera un mix sapiente di fantastico e commedia.
La forza nei personaggi – Russian Doll: recensione
Tra i molti pregi di Russian Doll c’è il lavoro su personaggi e attori. Natasha Lyonne è del tutto a suo agio nel ruolo di Nadia Vulvokov, una protagonista amabile e scalcinata, umanamente decente nonostante sia affetta da quelle idiosincrasie antieroiche tanto frequenti nei personaggi televisivi. Con acume, Nadia è costruita per essere sopra le righe, unapologetic ed egoista, senza per questo trasformarsi in un manifesto del narcisismo sociopatico alla Don Draper. Attorno a Nadia/Lyonne si sviluppa una costellazione di comprimari carismatici, con un bel cast tra cui spicca Greta Lee (l’iconica Homeless Heidi di High Maintenance).
DA SOTTO LA FOTO, SPOILER ALERT PER LA PRIMA STAGIONE DI RUSSIAN DOLL
A rimarcare uno sguardo contemporaneo sul mondo in cui si muove Nadia, la serie presenta con valori comicamente negativi quasi tutti i maschi etero-cis-bianchi (cioè quelli a cui si crepano gli occhi leggendo questa frase), che approcciano sempre la protagonista con la disinvolta ostilità del privilegio. Pur giocando con questo stereotipo, Russian Doll non si limita a fare una separazione tra “buoni e cattivi”, ma fornisce una lettura sensibile della complessità, soprattutto quando tratta il personaggio del villain Mike nel suo confronto con il co-protagonista Alan. Il ruolo antagonistico di Mike viene approfondito, sfaccettato e alla fine confermato, assieme alle sue connotazioni sgradevoli, su cui la serie scherza a più riprese; ma la sua funzione di cattivo non devia le responsabilità di Alan: in quello che non va, Mike è ininfluente, Alan deve autoesaminarsi.
La narrazione a loop – Russian Doll: recensione
Russian Doll appartiene a un sottofilone particolare della commedia fantasy, quello del loop temporale. Se vogliamo lasciare in pace Sisifo, il punto di riferimento di ogni opera del genere è il film che l’ha sdoganato al grande pubblico: Groundhog Day, ovvero Ricomincio da capo di Harold Ramis, del 1993. Ma oggi si contano innumerevoli variazioni sul tema, tra cui Edge of Tomorrow, action di fantascienza che richiama implicitamente il concept videoludico della narrazione a loop, e Happy Death Day, che declina questa mitologia in commedia slasher.
Entrambi hanno qualche elemento in comune con Russian Doll. Nella serie, Nadia lavora come programmatrice di videogame, ammiccando a quel meccanismo dei reset condiviso con la logica del videogioco. Come in Happy Death Day, la protagonista continua a rivivere il giorno del proprio compleanno, finché l’esperienza è interrotta dalla sua morte e la giornata ricomincia. Essendo Russian Doll una commedia tout court, le morti sono accidentali, con una bella collezione di incidenti che sfiorano il Darwin Award – e sono un severo monito alle persone distratte.
L’eredità di Groundhog Day – Russian Doll: recensione
Quando un loop è fantascientifico, viene generato da dispositivi governati da forze malvagie, che i protagonisti devono sconfiggere investigando ogni scenario. Quando invece si tratta di commedia, si entra nel realismo magico, e purtroppo le morali facili sono spesso dietro l’angolo: c’è una forza dispettosa, ma giusta, che vuole insegnare qualcosa ai personaggi. Nel 1993, quando Groundhog Day era una novità ancora fresca (efficace l’analisi tecnica che ne ha fatto Lessons from the Screenplay proprio in questi giorni), era accettabile che l’obiettivo fosse migliorare un protagonista troppo narciso, per fargli conquistare l’amore. Russian Doll, 26 anni dopo, cerca di non dare risposte così scontate, mantenendo però una struttura molto simile.
Dopo aver titillato il pubblico con tropi e allusioni, Russian Doll evita le scappatoie troppo ovvie e rivela una riflessione umana sul valore dell’amicizia e la pericolosità dell’indifferenza. Lo fa passando attraverso deformazioni cupe dell’universo in cui sono intrappolati i protagonisti, con richiami lisergici alle interferenze che tanto piacevano al Philip K. Dick di Ubik e dei Giorni di Perky Pat, e che oggi ritroviamo in serie apparentemente distanti come Legion.
Russian Doll ha lo stesso umorismo beffardo di Black Mirror ma con l’atteggiamento speranzoso di San Junipero; riprende la discussione su trauma e memoria tanto cara alla televisione contemporanea; e rivisita un sottogenere conosciutissimo senza dimenticarsi mai la competenza dello spettatore in materia. Probabilmente dobbiamo ringraziare l’abbondanza dell’offerta tv del presente, se un progetto come Russian Doll riesce a farsi strada tra le mille proposte che riceve Netflix. Terminata la visione, l’unico dubbio è come farà, nel caso di rinnovo, a tornare con una stagione all’altezza della prima.
Sara M. | ||
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