Doctor Who – Stagione 11: la recensione
Una stagione di racconti avvincenti che introducono la tredicesima Dottora e la sua squadra
La stagione 11 di Doctor Who racconta la rigenerazione della Tredicesima Dottora e pone le basi per nuove storie con efficacia e intensità, benché la scrittura degli episodi sia un po’ ondivaga in coerenza ed efficacia.
La Tredicesima e il suo Team – Doctor Who, stagione 11: recensione
Il nuovo showrunner Chris Chibnall, già autore della bellissima Broadchurch, ha dato vita a un team di personaggi diversificati, impegnati da subito a confrontarsi con una serie di questioni riguardanti il passato, la costruzione di una famiglia, la perdita e il lutto. In questo gruppo, la Tredicesima è soprattutto un perno emotivo, elemento rassicurante e solido, dopo una certa instabilità e impulsività che caratterizzavano il Dodicesimo. L’intepretazione di Jodie Whittaker riprende in parte la stravaganza estetica e la goffagine accattivante che avevano caratterizzato l’Undicesimo Dottore, interpretato da Matt Smith.
Più che concentrarsi sul suo passato e sulle linee narrative che la riguardano, e che nelle stagioni del Dodicesimo (interpretato da Peter Capaldi) avevano raggiunto una complessità, un’ampiezza e una retorica finanche eccessiva, la scrittura si rivolge dunque soprattutto ai personaggi “umani”, allargando la prospettiva a un orizzonte molteplice e diversificato.
Graham è il personaggio più complesso della stagione, con la sua traiettoria di lutto e vendetta. Tale traiettoria curiosamente ha un ruolo meno importante nello sviluppo di Ryan, giovane afroinglese affetto da disprassia e nipote acquisito di Graham, che ha mostrato in più di un caso di essere in conflitto con le figure genitoriali (soprattutto quella paterna). Promettente ma ancora poco articolato è il personaggio di Yaz, giovane poliziotta proveniente da una famiglia musulmana, che sembra essere stata in grado di uscire senza troppe ombre da un passato di bullismo e razzismo.
Gli episodi – Doctor Who, stagione 11: recensione
I primi due episodi tessono in modo convincente il nuovo passo di Doctor Who, costruendo una Dottora sempre in azione e che riempie di parole i suoi momenti di debolezza: la confusione del nuovo corpo, il disorientamento della solitudine, la necessità di ricongiungersi con il TARDIS; al tempo stesso, il bellissimo The Ghost Monument (11×02) semina alcune tracce narrative sulla nostra protagonista che speriamo vengano riprese in futuro da archi più ampi.
Ma, come detto, sono soprattutto gli altri personaggi ad essere costruiti da una scrittura più meticolosa e accorta. Aspetto di grande interesse è che nel farlo, questa undicesima stagione di Doctor Who entra esplicitamente nel merito di una serie di discorsi politici non secondari nella nostra quotidianità di terrestri: gli ottimi episodi Arachnids in the UK (11×04) e Kerblam! (11×07) mettono i nostri personaggi a confronto con le conseguenze più disumane delle pratiche neoliberiste; mentre Rosa (11×03) e Demons of the Punjab (11×06) si relazionano con il razzismo, il fondamentalismo religioso e le conseguenze del potere coloniale (anche se in alcuni casi è stato criticato proprio per assumere la posizione progressista in modo eccessivamente didascalico). Questo sesto episodio, che affronta direttamente la problematica decolonizzazione dell’India (è ambientato durante il giorno della Partition, ovvero il 14 agosto 1947, momento in cui furono tracciati i nuovi confini fra India e Pakistan) è particolarmente efficace e coinvolgente nel tenere insieme storia politica e storie private, tragedie collettive e perdita personale.
Meno emozionanti e più “meccanici” nella relazione fra prospettive culturali e azione gli episodi che al momento hanno affrontato il posizionamento di soggetti che si identificano come donne in una società comunque segnata dal patriarcato: delude soprattutto The Whitchfinders (11×08), in cui un Re Giacomo fresco di traduzione della Bibbia conduce una caccia alle streghe in cui vengono riversate troppe tematiche in modo confuso. Ben più efficace invece il modo in cui viene raccontato il lutto dei personaggi maschili nel commovente It Takes You Away (11×09).
Il finale di stagione – Doctor Who, stagione 11: recensione
La conclusione della stagione 11 The Battle of Ranskoor Av Kools (11×10) si ricongiunge con il suo inizio, individuando in Tim Shaw/T’Zim-Sha un nuovo villain assoluto, che al momento però non ha il respiro epico né l’approccio ironico che ha contraddistinto altri super-cattivi del passato. Troppo orientato a raggiungere il potere personale, questo villain manca di una motivazione che metta in discussione la linearità degli intenti di coloro che combattono contro di lui. Nonostante l’interessante parabola di Graham, si tratta dell’episodio meno intenso della stagione: avrei voluto venissero inseriti più agganci per futuri sviluppi narrativi dei personaggi, e che venisse prospettata qualche ombra in questa Dottora fin troppo concentrata, coerente e capace di agire per difendere l’universo senza mai vacillare.
La stagione 11 di Doctor Who, insomma, diverte nel momento in cui la Dottora crea il suo Cacciavite Sonico e quando si relaziona con il nuovo TARDIS, ma soprattutto convince nel creare i suoi personaggi umani e nel produrre momenti di grande emozione relativi alle loro traiettorie. Ma la serie ha bisogno di dare maggiore profondità alla sua protagonista, di ricollegarla al suo complesso passato e di costruire attorno a lei una rete di trame che oltrepassino i confini dei singoli episodi.
Non ci resta ora che aspettare lo speciale di Capodanno, in onda il 1° gennaio 2019, per capire come verrà conclusa questa prima parabola della Dottora del nostro cuore, che comunque ci ha regalato per un’altra stagione emozioni e soddisfazioni.