One Cut of the Dead – Zombie contro Zombie: recensione – TOHorror Film Fest
Commedia horror giapponese che ha vinto il premio come miglior lungometraggio
Film d’esordio di Shin’ichirô Ueda, One Cut of the Dead ha vinto il premio come miglior lungometraggio al TOHorror Film Fest 2018. Sarà distribuito nelle sale italiane – ma solo per 3 giorni – il 7 novembre col titolo Zombie contro Zombie. È una commedia horror, concentrata sul piano umoristico e non su quello del terrore, ma vale la pena vederla sia per chi è fan del genere, sia per chi non ama la paura. One Cut of the Dead è soprattutto un bel film sull’epica di fare cinema senza soldi e con creatività.
Varie testate americane lo paragonano a Shaun of the Dead di Edgar Wright per la genialità nel costruire una commedia horror. E in effetti One Cut of the Dead, pur avendo un approccio diverso al sottogenere, ha la stessa forza nel rinnovarlo. Il film di Wright usava la comicità per sottolineare una situazione paradossale, sempre e comunque sinistra. Quello di Ueda non vuole evocare sensazioni di disagio, ma la partecipazione emotiva a un’impresa eroica. In questo senso, è più vicino alla serie tv nostrana Boris: il divertimento deriva dallo stare al gioco metatelevisivo e metacinematografico.
Shin’ichirô Ueda, che ha scritto, diretto e montato One Cut of the Dead, fa una scelta iniziale ardita proprio per trascinarci nel suo mondo narrativo. Se volete approcciare la visione senza conoscere alcun dettaglio della trama, vi avviso che potreste ritenere quanto segue uno spoiler – ma per alcuni quest’informazione potrebbe essere lo stimolo necessario per proseguire la visione dopo i minuti iniziali. L’originalità di One Cut of the Dead dipende dalla sua struttura fuori dal comune: la sua prima mezzora è infatti un lungo piano sequenza che imita il cinema zombie low budget. Un mediometraggio fatto e finito, che scopriamo essere soltanto il primo tempo di un altro film, ovvero la commedia divertentissima che racconta come quello che abbiamo appena visto sia stato realizzato.
Attenzione, però: non è un documentario, ma pura fiction. Le due parti sono complementari, continuano a dialogare fino ai titoli di coda. La commedia del secondo tempo è ricamata attorno alle scene deliranti del primo, svelandone segreti che le rendono ancora più esilaranti. Contemporaneamente, ci appassioniamo alle sorti una famiglia di cineasti: padre regista (il cui motto è “fast, cheap, but average”), madre attrice e figlia adolescente, abbastanza pazzi da lanciarsi anima e corpo – soprattutto col corpo, perché il cinema low budget è uno sport estremo – nella realizzazione di un piano sequenza che viene trasmesso in diretta dalla tv giapponese. One cut, nessun errore consentito. Ogni problema deve essere risolto nel giro di pochi secondi, senza pensare troppo, tuffandosi nella missione come kamikaze pronti allo schianto.
La prima parte, che imita così bene un cinema consapevole dei propri limiti, sfrutta ogni sfumatura del suo essere perfettamente realistica, guadagnandosi le risate in un crescendo verso il suo (falso) finale. Ma è la frenesia del secondo tempo a rivelare la vera essenza del film. One Cut of the Dead vi chiede fiducia, ripagandovi dell’impegno con cui accettate la sua premessa. È un cinema gioioso, che parla di sé senza ammiccare troppo e crede nel benessere del suo pubblico.