FestivaldiAlice Casarini,6 Settembre 2018
Venezia 75 – José e La noche de 12 años: recensione
L'opera di Li Cheng per il Queer Lion e il film di Brechner sul José "Pepe" Mujica
Vi interessa la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ma non potete essere al Lido? Cinema Errante vi propone i Diari da Venezia 75, con i film visti in anteprima per voi.
José di Li Cheng
L’opera del regista cinese Li Cheng, formatosi negli USA, è la prima pellicola girata in Guatemala ad approdare al Lido. Il film, selezionato per le Giornate degli Autori, concorre anche alla dodicesima edizione del Queer Lion, premio per i lavori su tematiche LGBT+, e offre uno sguardo sull’omofobia inesorabile e stagnante dell’universo sudamericano, intriso di machismo, religione e opprimenti rapporti familiari. La vita dell’eponimo protagonista diciannovenne (Enrique Salanic), stretta nella morsa del legame con la madre (Ana Cecilia Mota), è una sequela di attività sempre identiche: il lavoro da accalappia-clienti per una tavola calda (che porta a fermare letteralmente le auto di passaggio), la simbiosi con il cellulare e gli incontri occasionali anonimi e sovrapponibili con l’amante di turno, sempre prima che si esaurisca la sabbia nella clessidra dell’albergo a ore. L’incontro con Luis (Manolo Herrera), lavoratore edile immigrato dalla costa caraibica, segna però una svolta nell’esistenza di José, portandovi l’amore, ma soprattutto il germe del cambiamento, l’epifania della possibilità di sottrarsi allo schiacciante immobilismo sociale e culturale. Se il senso di potenzialità inespressa traduce efficacemente la resistenza del mondo guatemalteco, la pellicola rischia però di scivolare nello stesso eccesso e di perdere di vista la propria direzione, soprattutto nella parte conclusiva.
La noche de 12 años di Álvaro Brechner
La noche de 12 años, scritto e diretto Álvaro Brechner, racconta il calvario dell’ex presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica (Antonio de la Torre) e dei compagni Eleuterio “Ñato” Fernández Huidobro (Alfonso Tort), Ministro della Difesa fino alla morte nel 2016, e Mauricio “Ruso” Rosencof (Chino Darín), scrittore e giornalista. I tre, esponenti di spicco del Movimento di Liberazione Nazionale dei Tupamaros, furono arrestati durante il colpo di stato del 1973 che diede inizio alla dittatura uruguaiana e detenuti per dodici anni in condizioni al di là di ogni limite umano. Il regime non li considerava più prigionieri, ma rehenes, ostaggi, e mirava a far perdere loro il senno sballottandoli da un carcere all’altro e costringendoli ad affrontare ogni tipo di privazione, da quelle più fisiche come cibo e indumenti caldi a quelle più logoranti a livello mentale, come l’impossibilità di comunicare o di vedere la luce del giorno. Come ha dichiarato Brechner in un’intervista su Variety, la pellicola è lontana dal genere del prison movie, dal momento che non contiene tentativi di fuga e non sviluppa il microcosmo sociale interno ai vari luoghi di detenzione (fra i quali spicca il terribile braccio ricavato in fondo a un pozzo trasposto sullo schermo con claustrofobico realismo). Si tratta piuttosto di un film di denuncia e di impegno civile che a tratti ricorda Hunger di Steve McQueen; La noche de 12 años non fa leva sulla rabbia, ma sull’empatia, riuscendo comunque a bilanciare la commiserazione con inserti ora ironici, ora poetici. Lo spettatore è catapultato nella notte terribile infinita dei detenuti grazie a riprese che non anticipano mai il destino dei personaggi, trasmettendo efficacemente l’effetto spiazzante delle nuove angherie introdotte di volta in volta. A sottolineare la crudeltà del trattamento e il disperato tentativo dei detenuti di trovare un’ancora di salvezza mentale contribuisce un ottimo uso della dimensione sonora, fra rumori amici e nemici (il codice Morse con cui i tre compagni riescono a comunicare, la porta dell’ennesima cella richiusa con violenza), una soundtrack calzante (compresa una struggente versione di Sound of Silence di Sílvia Pérez Cruz) e appunto un silenzio immenso che porta insieme terrore e speranza. L’accoglienza che il pubblico commosso ha riservato al film, presentato nella sezione Orizzonti, è stata però tutt’altro che silenziosa: una standing ovation con tanto di coro di “El pueblo unido jamás será vencido”. Nella sezione Documentari di Venezia 75 è stato presentato anche El Pepe, una vida suprema di Emir Kusturica.
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