FestivaldiBlogger Erranti,1 Settembre 2018
Venezia 75 – La favorita e The Mountain: recensione
Il period drama di Yorgos Lanthimos e la provincia americana di Rick Alverson
Vi interessa la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ma non potete essere al Lido? Cinema Errante vi propone i Diari da Venezia 75, con i film visti in anteprima per voi.
La favorita di Yorgos Lanthimos
Con La favorita Yorgos Lanthimos declina il suo sguardo cinico e inesorabile secondo i canoni del period drama, scegliendo come ambientazione la corte della regina Anna, nell’Inghilterra settecentesca. Un tripudio di grandangoli trasforma il set in un acquario barocco popolato da creature variopinte e irresistibili interpretate da un cast perfetto: a contendersi le grazie della regina (una strepitosa Olivia Colman, che non permette all’obesità e alla gotta di privarla dei piaceri terreni) troviamo Rachel Weisz nei panni della Duchessa di Marlborough ed Emma Stone in quelli della cugina Abigail, di un ramo decaduto della famiglia. Le due interpreti, ugualmente graffianti e spietate, si fronteggiano in una guerra costante senza esclusione di colpi, fra gozzoviglie, tiro al piccione e una battle of wits che arricchisce l’inglese dell’epoca con insulti ben lontani dal linguaggio aristocratico, forte della sceneggiatura caustica di Deborah Davis e Tony McNamara. I personaggi maschili, pur sostenuti dall’interpretazione calzante di attori come Nicholas Hoult e Mark Gatiss, servono principalmente a sottolineare la straordinaria performance delle tre protagoniste, in particolare di una Emma Stone che libera tutta la sua vis sarcastica con tempi comici impeccabili. Fra immensi corridoi kubrickiani e un’irriverenza feroce da Cruel Intentions, La favorita costituisce la versione più fisica e sfrenata della misantropia e della fascinazione per il grottesco che caratterizzano l’opera del regista greco. (Alice Casarini)
The Mountain di Rick Alverson
Ambientato nella provincia americana degli anni ’50, The Mountain di Rick Alverson, in concorso a Venezia 75, segue la vicenda di un ragazzo che, in seguito a un lutto in famiglia, si unisce in qualità di fotografo a uno psichiatra lobotomista nel suo giro per i manicomi del Paese per documentarne le imprese. Immerso in un’atmosfera di cupa desolazione, ben rappresentata da una fotografia dai colori desaturati che sottolinea l’estremo squallore esistenziale della vita del protagonista, scossa solo da traumatiche visioni di corpi che si accoppiano, il film vorrebbe essere una sorta di atto d’accusa contro il trattamento disumano riservato in passato ai malati mentali – a base di elettroshock e lobotomie – e più in generale, e di riflesso, contro l’ipocrisia della società americana dell’immediato dopoguerra, bigotta e opprimente, che considerava ogni spinta sessuale alla stregua di una patologia da reprimere in maniera drastica, ma getta via le discrete premesse della prima parte nel disastro della seconda. Fintanto che si analizza il rapporto fra il giovane disturbato e lo spregiudicato psichiatra, interpretato da un convincente Jeff Goldblum, The Mountain dimostra una certa coerenza narrativa e si lascia guardare con un minimo di interesse, anche se con poco cuore. Con l’entrata in scena dell’ingombrante personaggio impersonato da Denis Lavant, specie di santone alcolizzato che appare più folle degli stessi malati, la storia si incarta su se stessa, stretta fra gli eccessi recitativi dell’attore francese (il cui debordante istrionismo finisce col fagocitare il film perdendo ogni altra direzione, ma senza portare a nulla) e la totale catatonia di un Tye Sheridan esageratamente monocorde; la cui fragilità mentale, che lo porta a reprimere gli istinti sessuali e a seguire in maniera passiva figure paterne di riferimento ognuna diversamente negativa, non viene mai trasmessa allo spettatore con adeguata partecipazione. E non si capisce perché utilizzare un attore iconico come Udo Kier per il brevissimo ruolo del padre del ragazzo, che esce di scena troppo presto per lasciare il segno, in linea con un film che getta sul piatto ottime carte per poi giocarsele nel peggiore dei modi. (Davide Vivaldi)
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