FestivaldiBlogger Erranti,30 Agosto 2018
Venezia 75 – First Man e Sulla mia pelle: recensione
I film di Damien Chazelle e Alessio Cremonini protagonisti d'inizio festival
Vi interessa la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ma non potete essere al Lido? Cinema Errante vi propone i Diari da Venezia 75, con i film visti in anteprima per voi.
First Man di Damien Chazelle
Ad aprire la 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è l’attesissimo nuovo lavoro di Damien Chazelle. Dopo aver sferzato lo spettatore a suon di percussioni con Whiplash e averlo abbagliato con lo scintillio di La La Land, l’enfant prodige americano-canadese allarga il proprio orizzonte dalla city of stars alle stelle vere e proprie con First Man, incentrato sulla figura di Neil Armstrong. La pellicola tratteggia gli anni dal 1961 al 1969, evidenziando il lato politico della space race spesso celato dietro l’irresistibile attrazione del cosmo. Come scherza Ryan Gosling durante la conferenza stampa, citando le origini canadesi sue e del regista, First Man è ben lontano dal tripudio di americanness che ci si potrebbe aspettare. L’allunaggio è “one giant leap for mankind”, ma senza il celeberrimo posizionamento della bandiera a stelle e strisce: a dominare la narrazione non è il trionfo sulle avversità, come per esempio in Apollo 13, ma il confronto fra l’uomo e i limiti dell’esistenza. Lo sguardo è incerto ed esitante, costantemente pervaso dalla consapevolezza dell’impotenza umana di fronte agli incidenti, alla malattia e alla morte. Ne sono simbolo i riflessi sui caschi degli astronauti e sugli oblò, che, coadiuvati dall’abbondanza di soggettive, delineano un gioco prospettico tra terra e spazio, tra dentro e fuori, tra fragilità umana e spinta al superamento dei confini. Gosling dà vita a un Armstrong umile e tormentato, segnato dai numerosi lutti e provato dal suo stesso Streben verso l’eccellenza. L’eroico traguardo resta in secondo piano rispetto al senso di inadeguatezza nei confronti della moglie (un’ottima Claire Foy che scongiura il rischio dell’effetto patinato anni Sessanta) e dei due figli, metafora vivente dell’ambiguità dell’esplorazione spaziale, tra fascino e timore. La colonna sonora del fido Justin Hurwitz, mai realmente trionfale, è un perfetto contrappunto per la dimensione intimista e spesso claustrofobica che mira a restituire il lato umano di una delle più grandi imprese del XX secolo. (Alice Casarini)
Sulla mia pelle di Alessio Cremonini
Film d’apertura della sezione Orizzonti di Venezia 75, Sulla mia pelle di Alessio Cremonini racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, che fu protagonista di un tragico caso di cronaca nera nel 2009, dal momento dell’arresto da parte dei carabinieri a quello della morte, avvenuta dopo una lunga e dolorosa agonia durante la custodia cautelare nella clinica penitenziaria Sandro Pertini. Sulla mia pelle non è il classico film di denuncia arrabbiato contro il sistema e, in particolare, le forze dell’ordine e le strutture penitenziarie, quanto una disamina lancinante del calvario di un uomo il cui destino sembra essere segnato fin dall’inizio. L’ellissi narrativa con cui Cremonini evita di filmare quanto accaduto a Stefano nella caserma dei carabinieri, per poi mostrarlo subito dopo con i segni del pestaggio, la dice lunga di come il regista sembri cercare più l’umana empatia verso una persona ferita e sofferente che l’indignazione verso i presunti responsabili della sua orribile fine. Proprio perché non viene ritratto come una vittima innocente o tantomeno un eroe, ma come una persona travolta tanto dall’indifferenza delle istituzioni quanto dalla propria stessa recidività e ostinazione, delle quali sarà costretto a rendere conto a prezzo altissimo, l’immedesimazione che scatta nello spettatore nei confronti dello sfortunato protagonista si dimostra più autentica, al di sopra di giudizi morali o di parte, aumentando di intensità di pari passo con la sua solitudiine e il peggioramento delle sue condizioni di salute. Grazie anche all’impressionante prova di Alessandro Borghi, che nella sequenza iniziale del cantiere sembra quasi citare il suo personaggio di Non essere cattivo, risulta difficile restare indifferenti. La vicenda parallela della famiglia di Stefano che cerca invano di avere un contatto con il figlio, per quanto raccontata con delicatezza e partecipazione, risulta invece più convenzionale. (Davide Vivaldi)
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