La stagione 4 di Black Mirror: la classifica
Gli episodi della nuova stagione di Black Mirror dal peggiore al migliore
Dopo mesi di sadismo da parte di Netflix – che aveva rilasciato i teaser degli episodi ad agosto, ma fino all’ultimo nessuna data ufficiale – il 29 dicembre è uscita la stagione 4 di Black Mirror. È un banco di prova significativo per la serie di Charlie Brooker. Dopo due stagioni di culto su Channel 4, lo show viene rilevato da Netflix e nel 2016 esce la terza stagione. Questo passaggio sembra cambiare l’alchimia di Black Mirror: la qualità c’è ancora, ma qualcosa manca e gli episodi minori sono la maggioranza. La stagione 4 di Black Mirror esce con la responsabilità di dimostrare la direzione in cui sta andando la serie. È ancora la Twilight Zone degli anni ’10, in equilibrio tra weird tale, distopia e satira? Oppure ha esaurito gli argomenti nella sua critica alle tecnologie a cui affidiamo le nostre vite? Vediamo com’è andata, mettendo in ordine tutti gli episodi dal peggiore al migliore.
Da qui in avanti ci saranno SPOILER minori.
6 – Crocodile
La prima buona notizia è che la stagione 4 di Black Mirror non ha nessun episodio che possa dirsi brutto, per cui anche il 6° posto è occupato da una puntata che ha qualche difetto, ma anche molti pregi. Crocodile è un buon thriller, genere su cui lo show innesta spesso le sue narrazioni distopiche e beffarde. Il problema di Crocodile è che non è un thriller dove l’aspetto fantascientifico sia fondamentale. Esiste una tecnologia di puntata, il “rammentatore”; ma questo device entra in scena quando la protagonista ha già preso tutte le decisioni fondamentali che cambieranno la sua vita. Manca quell’ambiguità che ci spinge a domandarci se l’abiezione morale del personaggio e la tecnologia si influenzino l’una con l’altra. Ci sono spunti interessanti lasciati da parte: l’episodio non si sofferma su come i ricordi letti attraverso il rammentatore possano essere modificati dalla memoria del soggetto; il fatto che l’esistenza stessa del rammentatore diventi il movente di un omicidio rimane marginale, speso come twist d’effetto. A rendere particolare Crocodile sono altre intuizioni: l’ambientazione islandese, il furgone della pizza, il criceto. Ammirevole il tentativo di creare una formula diversa, ma il risultato è sbilenco.
Diretto da John Hillcoat.
5 – Metalhead
Anche questo episodio si allontana dal Black Mirror più classico. In questo caso, i pregi e i difetti della puntata sono gli stessi: è la storia di un inseguimento estenuante. Ad alcuni piacerà proprio per la sua appartenenza a un sottofilone action, altri lo troveranno troppo scarno. Senza dubbio punta all’essenzialità. È l’unico caso in cui lo show abbia scelto il bianco e nero, forse allo scopo di rendere più omogeneo l’elemento in CGI. D’altra parte, Metalhead affida il 50% delle interpretazioni proprio alla computer grafica: il supervillain che insegue la protagonista è un cane robotico – più somigliante a una cimice–, dotato della determinazione di un Terminator (a cui la puntata si ispira inequivocabilmente, pescando anche dal post-apocalisse di Mad Max). È proprio questa creatura ad aggiudicarsi i momenti migliori dell’episodio. Di Metalhead si apprezza la dimensione action, ma rimane più vicino all’esercizio di stile che alla blackmirrorata vera e propria. Ci si può giustamente interrogare su quale sia la riflessione ultima dell’episodio, ma forse non ce n’è una in particolare. Perde un punto ulteriore con l’inquadratura finale, che ci dà un’informazione di cui non si sentiva la necessità, posticcia nel suo essere stucchevole.
Diretto da David Slade.
4 – Arkangel
Arkangel è un Black Mirror standard, che conclude l’ideale trilogia iniziata con The Entire History of You (1×03) e Be Right Back (2×01). Sono quelle storie in cui l’irruzione della tecnologia nella sfera privata mette in crisi la serenità di un nucleo familiare. La sfida di Arkangel è quasi impossibile, dovendo eguagliare la qualità di due tra gli episodi più riusciti dell’intero Black Mirror. Sceglie di puntare su un personaggio che non solo flirta con l’abisso tecnologico, ma che si lancia di testa nel vuoto. Quando arriviamo alla fine, siamo sicuri che il device non c’entri più niente: il male si annidava nell’essere umano – d’altra parte, solo un genitore malefico può davvero ritenere una buona idea l’uso del sistema Arkangel. Rispetto ai suoi illustri predecessori, in questo episodio manca il lento infiltrarsi dell’ossessione tecnologica. Non è mai raccontato un momento di dubbio vero e proprio: la protagonista non mette in discussione l’utilizzo del dispositivo finché non vi è costretta da cause di forza maggiore (nonostante i suoi pericoli fossero fin troppo chiari). Quadra col ritratto di un genitore oppressivo, sicuro delle sue idee. Alla fine Arkangel funziona soprattutto per il sadomasochismo voyeuristico che unisce lo spettatore a un personaggio fatto per essere odiato, mentre compie la sua discesa infernale.
Diretto da Jodie Foster.
3 – Hang the DJ
L’altra buona notizia della stagione 4 di Black Mirror è che ci sono tre episodi che si possono considerare nuovi classici della serie. Hang the DJ recupera l’aspetto bright mirror che avevamo trovato nell’acclamato San Junipero, grazie a una storia d’amore per cui riusciamo a fare il tifo. I protagonisti dell’episodio non sono persone orribili o straordinarie; sono gente comune, in cui è facile riconoscersi. Prendendo però una direzione più vicina a Nosedive, la puntata crea la sua distopia misteriosa ipotizzando l’esistenza di un Sistema che governa la vita amorosa dei personaggi. È una satira delle app di dating che ne porta all’estremo le conseguenze – si potrebbe riassumere in What if Tinder, but too much?, riprendendo l’esilarante post di Mallory Ortberg sui possibili sviluppi della serie. Al di là dell’effetto sorpresa del twist finale, la critica paradossale operata da Hang the DJ resta intatta anche a fronte di una seconda visione. Queste sono le caratteristiche di un nuovo classico: non spendere tutto nell’istantaneità della visione e non tradire lo spirito del format; ciò non preclude la sperimentazione, la rende solo più difficile. Hang the DJ è classico nei termini in cui remixa elementi che hanno reso celebre lo show e non cerca strade nuove. L’innovazione rimane altrove.
Diretto da Tim Van Patten.
2 – Black Museum
Black Museum riprende la struttura di una pietra miliare come White Christmas, in cui la narrazione episodica porta all’inevitabile ricomporsi del mosaico quando il racconto cornice si rivela collegato alle storie nella storia. La rapidità con cui le informazioni devono passare, compresse nei brevi archi, carica la puntata di un tono sardonico che ricorda i Tales from the Crypt: non c’è tempo per caratterizzazioni raffinate, i personaggi sono volutamente caricaturali, così come il registro del racconto. La riflessione è metanarrativa: Black Mirror ammette di essere un museo degli orrori e ci porta a fare un giro, sapendo quanto ci divertano le sue perversioni. Proprio per questo non è soltanto la giostra di un luna park: sotto al faceto c’è un discorso sulla mancanza di empatia. Ogni storia parla del dolore e del distacco tra chi l’osserva e chi lo sperimenta. Black Museum è classico come non mai nella sua morale apocalittica, eccelle nell’abilità con cui intrattiene e gratifica con una conclusione solo falsamente consolatoria. In fondo, i depravati di cui ha parlato siamo noi, l’umanità.
Diretto da Colm McCarthy.
1 – USS Callister
Per forza di cose, dire quale sia l’episodio migliore della stagione porta nel territorio del gusto e delle inclinazioni personali. USS Callister è una puntata fortissima, nonostante qualche ombra. La sua qualità più grande è funzionare nonostante qualche difetto: passando la trama al microscopio, possiamo vedere qualche incongruenza. Eppure questo non la rovina. USS Callister riesce a essere comica e spaventosa al tempo stesso, senza che un genere abbia la meglio sull’altro, in un’alchimia perfetta. Il meccanismo thriller tipico di Black Mirror è in forma smagliante, c’è mistero, paura, aspettative create ad arte e poi disattese. C’è il recupero della mitologia interna dei cookies, con la sua riflessione sul post-umano e sull’intelligenza artificiale; c’è la parodia dei canoni che hanno fatto la storia della fantascienza, portata a livelli psichedelici; ci sono le interpretazioni di un cast formidabile, che rendono vibranti i personaggi. Ma c’è anche altro. Si parla delle tematiche del potere e del suo abuso, con un villain disgustoso in cui coesistono inettitudine, paranoia e sadismo, un personaggio che intercetta i tempi in cui viviamo. Il girone infernale tecnologico della USS Callister è l’incubo nerd definitivo. Non perché prenda in giro Star Trek, ma per come immagina la distopia dell’alt right: meschina e reazionaria, tutta schiacciata su piccoli mondi interiori, profondamente violenta. USS Callister è l’episodio che diventa classico perché ha il coraggio di osare di più senza perdere la natura dello show, trovando nuove strade per tenere insieme la fantascienza, l’orrore e la satira.
Diretto da Toby Haynes