The Handmaid’s Tale e il patriarcato come istituzione
Un’ancella racconta la necessità del femminismo in un futuro fin troppo prossimo
Basata sul romanzo di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella, la serie di Hulu vincitrice di numerosi Emmy sarà in esclusiva su TimVision dal 26 settembre. The Handmaid’s Tale si è rivelato un prodotto di grande interesse ed efficacia, che riscrive in modo originale il romanzo mantenendone le posizioni politiche forti.
The Handmaid’s Tale racconta un futuro distopico non troppo lontano in cui gli Stati Uniti, in seguito a un aumento dei disastri ecologici causati dall’uomo che hanno portato a sterilità di massa e crollo verticale della natalità, sono in preda a una guerra civile per l’istituzione di Gilead, totalitarismo teocratico cristiano.
Si tratta di un nuovo stato interamente gestito dagli uomini e ispirato a quelli che sono definiti valori tradizionali, fra cui una re-istituzione radicale della mistica della femminilità, secondo cui le donne dovrebbero dedicarsi esclusivamente al loro destino biologico di madri – senza avere proprietà di cui occuparsi, studi a cui dedicarsi, o altre attività oltre alla cura della casa e della famiglia. Il controllo dei corpi da parte delle istituzioni è totale, e le poche giovani donne segnate dalla fertilità vengono trasformate in ancelle, assegnate a un uomo di alto livello nelle istituzioni di cui assumono il patronimico, per procreare i suoi figli.
È in questo regime di sorveglianza che seguiamo Offred, ancella una volta nota come June e interpretata da una splendida Elizabeth Moss – quest’anno già splendida in Top of the Lake – China Girl. La donna è assegnata al comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) e a sua moglie Serena Joy (Yvonne Strahovski), dopo essere stata rapita durante il tentativo di fuga con il marito Luke e la figlia Hannah – dei quali non ha più avuto notizie. The Handmaid’s Tale percorre la nuova vita della donna, il suo addestramento nel Centro Rosso, e i suoi rapporti con la famiglia Waterford, le altre ancelle e le istituzioni da cui è tenuta prigioniera; ma vengono subito raccontati anche i ricordi suoi e degli altri personaggi che assumono un ruolo specifico nella sua vita.
La scrittura della serie riesce a trovare un equilibrio perfetto fra pratiche e politiche del femminismo, esplicitamente sollecitate dal rigido patriarcato a cui sono improntate le istituzioni di Gilead, le tante linee narrative che iniziano a diramarsi a partire da June, e il coinvolgimento affettivo ed emotivo nelle storie di personagge complesse e sensibili. The Handmaid’s Tale va a scandagliare la difficile articolazione fra scelta individuale e ubbidienza alla legge, dovere morale e ricerca di un’autonomia, collettività e personalità. Anche le antagoniste ricevono una grande attenzione di scrittura, che dispiega le loro motivazioni e le difficoltà della loro esperienza.
Anche a livello visivo la serie dimostra di avere una grande attenzione alla relazione fra la configurazione delle immagini e il racconto, attraverso un apparato produttivo ricco che ha dato alle registe (Reed Morano – prima regista vincitrice di un Emmy, Floria Sigismondi, Kate Dennis, Kari Skogland e Mike Barker) i mezzi per esplorare il proprio talento narrativo e spettacolare. Lo showrunner Bruce Miller e le altre scrittrici hanno creato un universo di radicale attualità, che riflette su alcune questioni dolorosamente irrisolte, primo fra tutti il maschilismo e la violenza di gender che tornano a soffocare la vita di tante donne e altre persone non-privilegiate, anche a livello istituzionale.
Ilaria D. | ||
8½ |