Top of the Lake – China Girl è la seconda stagione della miniserie di Jane Campion e Gerard Lee che, visti i buoni risultati, fu rinnovata nell’ormai lontano 2014. Se avete visto la stagione 1, sapete che Top of the Lake è uno show affascinante ma spesso indigesto, che affronta temi sensibili come la violenza di genere e la maternità. Lo fa piegando alle sue esigenze un impianto poliziesco. In questa nuova stagione troviamo un percorso più convenzionale, in cui l’investigazione di un crimine e il dramma familiare sono intrecciati strettamente, allo stesso modo di serie come Broadchurch.

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LE DONNE DI TOP OF THE LAKE – CHINA GIRL
Guardando questa nuova stagione di Top of the Lake è impossibile non pensare che Elisabeth Moss sia diventata l’icona televisiva di ogni forma di abuso sulla donna: il sessismo di Mad Men, la schiavitù di The Handmaid’s Tale, i crimini sessuali di Top of the Lake, in cui interpreta la detective Robin Griffin. Per adesso, il gioco funziona: l’espressività nervosa di Moss in Top of the Lake definisce il personaggio di una poliziotta giovane e selvatica, incline all’alcolismo e perseguitata da traumi e fantasmi del passato. China Girl l’affianca ad altre figure femminili, creando così l’occasione di esplorare diversi tipi di confronto tra donne. C’é una Nicole Kidman perfetta nella parte di Julia, accademica femminista seguace di Germaine Greer, inquadrata in uno spaccato familiare borghese in bilico tra melodramma e satira.

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Il vero punto focale del confronto tra donne si concentra però sul rapporto tra Robin e Miranda, interpretata da Gwendoline Christie, che coglie l’occasione per farci conoscere qualche nuova sfaccettatura dell’attrice diventata famosa per il ruolo di Brienne of Tarth in Game of Thrones. Il loro rapporto travagliato riprende il cliché dell’amicizia tra partner nelle storie di polizia: personaggi che finiscono insieme per forza, che devono superare le proprie divergenze per coprirsi le spalle reciprocamente, e che, facendolo, imparano a volersi bene. Tra Robin e Miranda il problema non è solo caratteriale, ma riguarda la difficoltà di Robin nel sospendere il giudizio verso una donna che fa scelte molto diverse dalle sue nella vita sessuale e sentimentale, e in materia di maternità. Il nodo tra le due riflette, come tutto, i temi di Top of the Lake.

C’è un altro personaggio femminile molto importante per la storia: Cinnamon (Thien Huong Thi Nguyen), giovanissima sex worker thailandese che non appare mai nello show da viva: quando la vicenda inizia, è già morta. L’intreccio poliziesco è innescato dall’occultamento del suo cadavere. Il suo personaggio rimane sempre indefinito e sfocato, la conosciamo solo attraverso i suoi resti mortali, tracce di un destino atroce, e il ricordo che ha di lei un suo cliente abituale, deformato dagli stereotipi a cui lui stesso ha desiderato credere. È la “China Girl” del titolo, e tale resta dal principio alla fine. Questa scelta narrativa si lega a una visione che emerge chiaramente da questa stagione di Top of the Lake: le donne vivono in un mondo desolante e pericoloso, il lavoro sessuale è una trappola infernale.

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IL SEX WORK SECONDO JANE CAMPION
Campion ha dichiarato al Guardian di aver incluso il punto di vista di ver* sex worker di Sidney, che ha incontrato contattando l’associazione Scarlet Alliance. La regista ha ricevuto critiche da parte loro riguardo all’uso del cliché della “prostituta morta”, triste e patetico dal punto di vista di chi fa per davvero questo lavoro. Campion dice di avere quindi voluto includere nella storia quanto ascoltato durante questo incontro.

Guardando la serie, questa inclusione non sembra avere funzionato appieno: la descrizione del lavoro nell’industria del sesso che troviamo in Top of the Lake – China Girl rimane quanto meno tetra, la morte che innesca la vicenda è terribile. La serie esprime una posizione molto chiara, contraria alla prostituzione legalizzata, che viene descritta come un’esperienza inesorabilmente tragica. Le persone che lavorano nel bordello di China Girl corrono pericoli mortali, sono infelici e sfruttate. Gli uomini che frequentano questo luogo sono tutti consumatori alienati, a volte psicotici.

Campion lega questa tesi, già di per sé categorica, al tema della maternità surrogata, che gioca un ruolo importante nello sviluppo narrativo. In Top of the Lake – China Girl, le coppie che non possono concepire sono tutte eterosessuali, frustrate e nevrotiche, le madri mancate rasentano la pazzia e in generale questi personaggi sono rappresentati come egoisti e ingordi. Le madri surrogate sono tutte sex worker che vengono doppiamente sfruttate. Nessuna di queste ragazze viene mostrata come pensante, capace di decidere per sé: Cinnamon rimane la “China Girl”; anche se durante l’indagine scopriamo il suo vero nome, Padma, questo è l’unico dato che abbiamo a disposizione per pensare a lei come a una persona reale. Tutte le altre sex worker che appaiono nello show sono caratterizzate da comportamenti superficiali e scarsa intelligenza, al punto da essere personaggi tutti perfettamente sovrapponibili tra loro in una mitica asian girl da sogno erotico.

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MINISERIE: CONTINUARE O NO?
Quando una stagione apparentemente autoconclusiva viene rinnovata, molte persone si domandano se abbia senso andare avanti. È un tema che viene periodicamente discusso, quest’anno in particolare riguardo al rinnovo di 13 Reasons Why. Serie e miniserie che nascono con una trama orizzontale risolta nell’arco della stagione, se non addirittura serie antologiche come True Detective, sono considerate a volte come perle da preservare, nel timore che portarne avanti la storia possa annacquare quell’alchimia che funzionava così bene sulla breve durata. Ma, d’altra parte, la televisione è un’industria e un prodotto di successo è un investimento sicuro.

Top of the Lake alla sua seconda stagione è una serie imperfetta, che però ha ancora molto da dire. Alterna momenti buoni ad altri più scricchiolanti: l’equilibrio dei primi episodi viene travolto dal precipitare degli eventi, che porta a volte a piccoli salti dello squalo volti ad accentuare il melodramma, non sempre in modo elegante, e fin troppo funzionali a legare le vicende personali dei personaggi alla trama poliziesca. La storia di Robin Griffin, però, regge: c’era ancora tanto da sapere su di lei, e la sua vicenda fa da ponte a quella di personaggi interessanti, calibrati sul peso specifico dello show e dei suoi temi. A Campion e Lee si può rimproverare il modo in cui scelgono di trattare temi delicatissimi, senza riuscire a fornire un contraddittorio convincente rispetto alla loro tesi. Al netto di questo, la serie rimane un bel crime drama, ricco di interpreti d’eccellenza e costruito con una cinematografia suggestiva, nonostante il trasferimento dell’azione dalla natura incontaminata neozelandese della prima stagione alla dimensione urbana di Sidney. Ha il pregio di correre qualche rischio per aderire alla formula già sperimentata senza ripeterla pedissequamente, creando 6 episodi difficili e allo stesso tempo godibili.

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