Andrea Molaioli su Slam: l’adolescenza? Uno stato mentale
"Il romanzo di Nick Hornby, la filosofia skate, il mio cast giovane con Jasmine Trinca e Luca Marinelli: vi racconto"
Slam – Tutto per una ragazza di Andrea Molaioli sceglie un romanzo di Nick Hornby per “cercarsi un rischio”, come fanno certi skater quando spiccano il volo: parlare di un tema delicato quale l’adolescenza. Lo fa attraverso la storia di Sam, sedicenne patito per lo skateboard, che vorrebbe tanto non fare il grande salto di diventare genitore alla sua giovane età, come capitato già alla nonna e alla madre. L’incontro col Alice gli cambia la vita, tra inattese responsabilità, adulti non sempre responsabili, una passione nell’animo ed in testa il mito di Tony Hawk. Ne parliamo proprio con Andrea Molaioli, vincitore nel 2008 del David di Donatello col film La ragazza del lago.
Ho cercato di raccontare non tanto un tipo di adolescenza, quanto due adolescenti, i nostri protagonisti. Due adolescenti normali, la cui vita non è alterata da situazioni particolari, come delinquenza, tossicodipendenza, ecc., e che proprio per questo possono vivere l’adolescenza nella propria forza, bellezza e crudeltà. È il periodo in cui tutto è assoluto, o bianco o nero, e può velocemente cambiare. Soprattutto, è un momento nel quale il pensiero del futuro è molto forte: il pensiero di essere pronti, adeguati a quello che ci aspetterà. Spesso il sogno e l’incubo si mischiano nell’idea di andare avanti.
L’adolescenza è fase anagrafica, ma anche stato mentale; la lasciamo, ma rimane anche con noi, riaffiora spesso. Nel film l’adolescenza, meglio, l’essere adolescenti è un approccio che riguarda tanto gli adolescenti veri quanto gli adulti, specie quelli che fanno fatica ad accettare l’idea di essere cresciuti. Questo mi sembrava molto interessante perché vi si giocava nel romanzo, e nel film abbiamo cercato di trasporlo non come gag o situazione comica, quanto come commedia in grado di mantenere sia la leggerezza che la profondità.
Il film partiva sì dalla parola skate, ma originariamente anche dalla parola Londra, in quanto luogo di provenienza di Tony Hawk, uno dei protagonisti “parzialmente presenti” del film. Lo skate l’ho conosciuto durante la preparazione di questo film, ho capito davvero cosa voglia dire praticarlo e quale filosofia ci sia dietro. In Slam – Tutto per una ragazza, lo skate non è presente solo fisicamente, bensì anche come idea: quella di dover lavorare tanto, di provare, di capire, di fare tanti slam – una brutta caduta nel gergo di questo sport. C’è anche molto Roma perché, dirò una cosa forse curiosa, Roma può esprimere molto questa ironia un po’ british ed hornbyana di essere insieme leggeri e profondi, di poter dare uno sguardo ironico senza svilire ciò di cui si sta trattando.
Per certi aspetti è così: lo sport simbolo è sia concreto e visivo, sia filosofico. Peraltro il surf e lo skate sono due sport “da tavola”, insieme allo snowboard. In quanto tali, rappresentano per antonomasia il senso di essere liberi: il vento che ti viene addosso, come lanciarsi da soli verso il futuro, entrare in un’onda, superare un ostacolo. Un mercoledì da leoni è un grandissimo film, non so se ne sono all’altezza. Sono film diversi, ma in effetti far entrare lo sport dentro una storia in maniera visiva e allo stesso tempo concettuale, è un ‘idea che li accomuna.
Cercavo tre interpreti che potessero dare vita e ricchezza a quanto avevamo scritto con Ludovica Rampoldi e Francesco Bruni. Per fare questo, ho dovuto come sempre vedere tanti ragazzi. All’inizio, per il ruolo di Sam, ho cercato dentro la comunità skate,, poi ho allargato la cerchia ed ho trovato un ragazzo straordinario di cui mi sono immediatamente innamorato ed ho trovato soprattutto una disponibilità eccezionale al lavoro. Abbiamo dovuto fare tantissime prove legate al ruolo e al personaggio, ma anche due mesi e mezzo di allenamento per acquisire una padronanza ed una naturalezza nei confronti dello skate. Ci è riuscito facendo tante cadute, alcune anche rovinose, che hanno lasciato dei segni! Discorso simile con gli altri. Con Barbara, ad esempio, il lavoro è stato lungo e intenso. La cosa fondamentale è che, essendo un film che aveva un testo e che non poteva basarsi sulle improvvisazioni, loro hanno dovuto appropriarsi del ruolo, fare un lavoro da professionisti adulti, non da ragazzi alle prime armi. Ho cercato un cast adulto che potesse allo stesso tempo supportarli ed essere così intelligente da recepire da loro quanto riuscivano ad apportare. Una delle cose di cui vado più fiero è stata propria la scelta del cast attraverso un lavoro di concerto, molto duro ma anche piacevole e soprattutto, a parer mio, con risultati notevoli.
Il personaggio interpretato da Luca è il padre del nostro protagonista, separato da Jasmine Trinca, che è la madre. È l’incarnazione di chi non riesce a farsi una ragione del fatto di essere cresciuto, di chi continua con determinazione a far finta di avere ancora quindici anni, di chi ha un figlio ed un po’ – un bel po’! – se ne dimentica. Allo stesso tempo, però, ha un gran cuore, ed è attraverso quello, ed attraverso fallibilità, errori, stupidaggini che si possono dire o fare, che continua a mantenere un legame forte col figlio. Tutto questo con momenti molto divertenti e simpatici, come abbiamo visto anche dalle reazioni del pubblico.
Sono sicuramente cambiato dal mio esordio, per forza di cose, anche perchè purtroppo sono passati un po’ di anni. Per fortuna, però, anche se può suonare come una frase fatta, non è cambiata la determinazione né la voglia di usare questo straordinario mezzo di comunicazione che è il cinema, che ci consente di avere una buona scusa per rimanere un po’ adolescenti. Con il cinema, continuiamo a vivere tra il sogno e l’incubo, tra l’essere seri ed il poter giocare, il poterci pensare un po’ bambini. Il cinema ci consente di mitigare e nascondere quanto altri lavori non potrebbero.
(Ride) Io sarei ben lieto, ma dipende solo in parte da me. Sono lento, ma non è semplice realizzare un film in questo Paese, riuscire a trovare tutti i presupposti finanziari. Poi, appunto, c’è la mia lentezza atavica, che cerco costantemente di superare: spero quantomeno di migliorare in questo. È mio interesse riuscire a fare quello che mi inviti a fare!
Scritto da Antonio Maiorino.