Synchronicity, il senso del viaggio nel tempo
La fantascienza indipendente e i suoi paradossi, su Netflix
Synchronicity è un film del 2015 di Jacob Gentry, uscito in Italia direttamente su Netflix. La piattaforma, vero e proprio videonoleggio 3.0, sta ritagliando uno spazietto per quel genere che mette d’accordo tecno-geek e drogati di tutti i tempi: la fantascienza.
In questo caso, se non si tratta fantascienza hard, poco ci manca. Synchronicity è uno di quei film che vanno seguiti con attenzione per essere capiti. Piacerà a chi adora Westworld e Memento, cioè a chi è fan dei Nolan in generale e a chi ama quel mindfuck che si presenta come un rompicapo da risolvere.
Synchronicity sguazza in un brodo primordiale fatto di paradossi e timeline da ricordarsi, e infatti parla di viaggi nel tempo (d’altra parte, con un titolo così…). Ma non è un film sui loop temporali, come invece Arq, altro esempio della rassegna Netflix. Synchronicity segue le orme di Shane Carruth, che 10 anni fa vinceva il Sundance Festival con Primer, un film così complicato da aver generato letteratura e video dedicati a spiegarne la trama.
Se avete odiato Primer perché non si capiva niente, sappiate che Synchronicity riduce il malloppo di timeline sovrapposte, semplificando le cose allo spettatore. Rimane uno di quei film che gradirete solo se avete voglia di stare al gioco, impegnandovi nello scioglimento dei grovigli temporali. È godibile soprattutto perché parte da un budget piccolo, ma lavora tanto sulla direzione artistica. La sua ambientazione prende spunto da Blade Runner, con una fotografia dark che disegna le inquadrature filtrando luci e ombre, con studio maniacale. Location e musiche sono scelte secondo la stessa idea: palazzoni, città notturna, colonna sonora che omaggia Vangelis. Il gusto retrò non è pura nostalgia, ma diventa la marcia in più del film, che si distingue dagli indipendenti minori proprio grazie a una caratterizzazione estetica forte.
Synchronicity, come molti film di questo filone, ci costringe a riflettere su chi siamo e come funzioniamo. Qual è il senso ultimo delle storie di viaggio nel tempo? Si parla dell’apprendimento attraverso la memoria (come fa anche Westworld coi suoi robot) e della conoscenza come elemento fondante la nostra identità. I personaggi viaggiano in avanti nel tempo, come tutti noi facciamo ogni giorno. Quando guardiamo chi eravamo ieri, vediamo qualcuno diverso dalla persona che siamo oggi, perché abbiamo vissuto e imparato: ci siamo ridefiniti. Riconosciamo il nostro io passato, ma è diverso da chi siamo diventati.
In Synchronicity e in molti altri film, i protagonisti seguono proprio questo processo ordinario, solo che lo sperimentano in senso letterale. Vanno avanti, poi tornano indietro, si guardano da lontano, incontrano se stessi. E confrontandosi coi sé passati, scoprono la necessità di cambiare continuamente punto di vista per comprendere davvero la realtà. Perché poi la vita, lo sappiamo bene, è davvero un grosso, incasinato mindfuck.