Il pilot di Vinyl: la recensione
L'industria discografica protagonista della nuova serie prodotta da Martin Scorsese e Mick Jagger
Un taxi attraversa New York in una notte degli anni ’70 e le luci sfumate della città scorrono sul parabrezza, mentre poco distante un idrante fuori controllo allaga la strada. Fuori controllo come il passeggero del taxi che non è Travis Bickle, bensì il produttore discografico Richie Finestra, protagonista della nuova serie targata HBO il cui pilot, diretto da Martin Scorsese, è stato trasmesso domenica notte su Sky Atlantic in contemporanea con gli Stati Uniti.
Un primo episodio che assomiglia tanto a un lungometraggio sia per la durata, 120 minuti, che per la struttura della sceneggiatura, chiusa e circolare, nella quale trovano spazio numerosi flashback volti a ricostruire alcuni momenti chiave nella vita del protagonista.
Scorsese aggiunge con Vinyl un nuovo tassello al suo personale mosaico dedicato agli italoamericani a New York: come tutti i suoi predecessori, anche Richie Finestra è un personaggio estremo, non conciliato. Non ha di certo l’animo criminale e spietato dei Goodfellas, ma proprio come loro è in balia delle droghe e dell’alcol di cui abusa. Possiede un potenziale autodistruttivo paragonabile a quello di Jake La Motta (Raging Bull) con cui condivide anche la tipica testardaggine italoamericana. La spregiudicatezza, invece, è quella di Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street, film quest’ultimo scritto proprio da Terence Winter, co-sceneggiatore di Vinyl assieme a George Mastras. Le due sceneggiature hanno effettivamente dei punti in comune e il tocco di Winter è riconoscibile nell’inserimento di fugaci momenti surreali (ricordate la sequenza della Lamborghini in The Wolf of Wall Street?), nell’ironia dei dialoghi, nell’estremizzazione delle situazioni che arrivano a sfiorare il parossismo. Curioso notare come, proprio come accadeva in The Wolf of Wall Street, anche in questa prima puntata di Vinyl la sceneggiatura si soffermi sulla descrizione dell’ambiente di lavoro in cui operano i personaggi, in questo caso la casa discografica American Century. Si tratta di un luogo caotico in cui il capo assomiglia al leader di una rock band e le scrivanie degli uffici nascondono più cocaina che contratti discografici.
Supportato da una sceneggiatura originale e solida, il celebre talento visivo di Scorsese si esprime al meglio soprattutto nelle numerose sequenze musicali come quella in cui Otis Redding canta Mr. Pitiful illuminato da un faro in controluce così potente da trasformare per brevi istanti lo schermo in una tavola bianca, o quella in cui Richie osserva sconsolato da dietro le quinte l’ingresso sul palco dei Led Zeppelin. Nella suggestiva sequenza finale, ispirata a un fatto realmente accaduto, il tocco surreale risulta tanto inatteso quanto opportuno per descrivere un mondo in cui tutto sembrava incredibile. La musica nuova sta arrivando e fa prima tappa a New York: forse Richie Finestra riuscirà a prendere quest’ultimo treno.
Scritto da Michele Boselli.
Michele B. | Sara M. | ||
8 | 7 |