Ant-Man: la recensione
Scott Lang, uno sfortunato scassinatore appena uscito di galera, trova la seconda occasione della sua vita rubando una tuta in grado di trasformarlo in un minuscolo supereroe capace di controllare le formiche: questo l’incipit alla base di Ant-Man. Da un personaggio minore dei fumetti della Marvel (presentato qui nella sua seconda incarnazione, creata nel 1979), prende vita un cinecomic di discreto livello, leggero ma non stupido, che tenta faticosamente di replicare l’equilibrio fra azione e umorismo del primo Iron Man.
È proprio al capostipite di Favreau che fa pensare il ritmo scoppiettante, con le sequenze spettacolari intervallate, forse un po’ troppo spesso, da quelle comiche, che appaiono esageratamente demenziali (specie quelle affidate a Michael Peña, insopportabile nella parte di un compagno di cella di Scott). Più riuscite le sequenze di riflessione, nelle quali si sviluppa il legame fra Scott e il suo mentore Hank Pym, con la figlia di quest’ultimo che, inizialmente, vede nel nuovo arrivato un rivale. Sempre a Iron Man rimanda il villain, Darren Cross (interpretato dal Corey Stoll di House of Cards), scienziato ambizioso e senza coscienza che di Pym è cattivo allievo al pari di come Obadiah Stane era cattivo maestro per Tony Stark. Totalmente nuova, invece, la caratterizzazione del protagonista (vero punto forte del film), che ha tutti i tratti del perdente dei giorni nostri – disoccupato malgrado una laurea in ingegneria, licenziato da una grande azienda, ex carcerato, padre separato a cui viene negato di vedere la figlia – compresa una voglia di riscatto senza precedenti, che ne fanno un antieroe, per quanto ugualmente maldestro e autoironico, sicuramente più maturo e consapevole del cazzone tout-court Star-Lord di Guardiani della Galassia: merito anche della sommessa interpretazione di Paul Rudd, che vi riversa la comicità amara dei suoi personaggi nel cinema di Judd Apatow. Se Michael Douglas, in buona forma, fa del canuto dottor Hank Pym la versione invecchiata del dirigente in crisi di Rivelazioni, la stupenda Evangeline Lilly, nel ruolo della figlia Hope, dimostra ancora una volta un’innata sensualità pur senza indossare costumini attillati. Peccato che il rapporto fra lei e il protagonista risulti poco approfondito e un po’ programmatico, a differenza di quello fra padre e figlia che resta al centro della storia nella sua doppia declinazione fra Pym e Hope e fra Scott e la piccola Cassie, in entrambi i casi convincente e ben gestito.
In seguito alla sostituzione di Edgar Wright (di cui rimane lo script) con il meno geniale Peyton Reed, sul piano registico il film non appare irresistibile – buone la sequenza della prima trasformazione in Ant-Man (che aggiorna alla tecnologia digitale tutta la filmografia sulla miniaturizzazione a partire da Radiazione BX Distruzione uomo) e quella dell’addestramento delle formiche, totalmente strumentale alla continuity il confronto con Falcon, divertente ma per nulla epica la battaglia finale – chiudendo in maniera dignitosa ma senza botto la Fase 2 del MCU, con l’approvazione di Stan Lee che non rinuncia al solito cameo.
Davide V. | Giacomo B. | ||
6 1/2 | 5 |