Jurassic World: la recensione
Ancora prima di aprire i battenti, Jurassic World è stato attaccato da più fronti. Dapprima i fan, che hanno deriso il portone di ingresso al parco che nel primo trailer sembrava uscito dalla più scadente CGI anni ’80. Poi dal nostro Joss Whedon, che alla visione della prima clip ufficiale – un dialogo tra l’algida Bryce Dallas Howard e il macho Chris Pratt – aveva criticato l’uso dei soliti cliché sessisti per rappresentare i personaggi.
Alla prova della visione, forse urge ridimensionare le critiche. Il portone è stato modificato, ripreso dal basso e curato meglio nei dettagli, mentre è vero che i personaggi incarnino degli assoluti cliché, ma diciamolo: funzionano! E funzionano perché il film opera proprio sul déjà vu al fine di creare un effetto spettacolare, coinvolgente e probabilmente anche consolatorio. Jurassic World, infatti, assomiglia più a un reboot che a un sequel. Recupera la stessa trama di Jurassic Park, aggiornandola e riarredandola nello spazio e nel tempo. Operazione consapevole e voluta, sottolineata dal personaggio fan del vecchio Jurassic Park (Jake Johnson, il Nick di New Girl) che indossa anche la t-shirt del primo parco (film) acquistata su ebay. Non un omaggio, ma proprio la volontà di coccolare i fan, schiera nutrita di cui anche il regista Colin Trevorrow fa parte, e di riportarli in un nuovo mondo jurassico, ma comunque già battuto, onde evitare di perdere la strada. “La gente vuole dinosauri più grossi, più cattivi e con più denti”, dicono gli esperti di marketing del Jurassic World, slogan che all’orecchio dello spettatore risuona come una dichiarazione di intenti. E andrebbe anche bene, se non fosse per il fastidio di assistere a una storia che si ripete, all’interno di uno spazio sì familiare, ma comunque nuovo, e disvelato in maniera meccanica e (ci si perdoni il termine) televisiva.
Resta comunque un film spettacolare, dal ritmo godibile, con i giusti plot point, spaventi e risoluzioni, coraggiosamente capace di recuperare il linguaggio degli action di una volta (le parolacce!) e di usarne i cliché, anche sessisti (Joss, in fondo cos’era la tirata della Vedova Nera sulla sua sterilità, se non un cliché sessista?). Ma avremmo gradito un’attenzione maggiore alla regia. E pensare che all’epoca dell’uscita del primo Jurassic Park, Steven Spielberg fu accusato di aver privilegiato le creature preistoriche non mettendo al centro del film il fattore umano, vero punto di forza dei suoi Incontri ravvicinati del terzo tipo con extraterrestri e squali bianchi. Saranno cambiate le aspettative, i gusti, le consuetudini, ma a rivederlo ora non lo diremmo mai. Perché in fondo Jurassic Park era un thriller evoluzionista, mentre Jurassic World un action catastrofico che ci ricorda che “c’è sempre un pesce più grande” (cit. Qui-Gon Jinn). A proposito di cliché.
Scritto da Sara Sagrati.
Sara S. | ||
6 1/2 |