Palo Alto: la recensione
Sembra che per i Coppola, blasonata e talentuosa famiglia di cineasti, sia quasi doveroso, una sorta di rito d’investitura, cimentarsi con quello che è ormai considerato un vero e proprio genere cinematografico: il teen movie, ovvero i dibattimenti adolescenziali sempre in bilico tra tragedia e possibilità.
Lo ha fatto il capostipite Francis Ford Coppola con il suo I ragazzi della 56 strada, uno dei maggiori successi degli anni ’80, sottolineando affettuosamente il sensibile altruismo di alcuni giovani in un mondo praticamente senza adulti. Lo ha fatto Sofia Coppola, esordendo con il suo Il giardino delle vergini suicide, analisi attenta della psicologia di un gruppo di sorelle oppresse dai genitori. Ci riprova dunque Gia Coppola, il membro più giovane della casata, purtroppo non con gli stessi brillanti risultati.
Pur superiore nel girato alla mediocre fonte fornitagli dal racconto della talentuosa, indaffaratissima, e “forse” un filo narcisistica, eterna promessa James Franco, qui in veste anche di produttore e interprete, la regista non aggiunge nulla di originale alla banalità di questa “gioventù sprecata”, che sublima nei soliti cliché di sesso, alcol, droga, l’impulsività dell’adolescenza lasciata a ruota libera perché gli adulti si mettono, alquanto forzatamente e con scelte narrative piuttosto scontate, sul loro stesso piano, diventando, insensatamente, loro antagonisti. È questo il più grande limite del film. Pur avvalendosi di un cast giovane ma preparato, in cui spiccano Emma Roberts e il bravo Jack Kilmer, dirigendoli con buona mano, la Coppola guarda e racconta il caotico intreccio delle vite di quattro viziati, dunque scontenti, ragazzi dell’agiata città di Palo Alto che dà il titolo al film. Ma non osserva, non affonda il coltello. Li lascia lì, alla mercé dell’impetuosità giovanile, già di suo gravida di frustrazione e insoddisfazione, vittime del rassegnato destino dovuto alla solita, ormai immancabile, cronica mancanza di comunicazione, che li porta a essere inevitabilmente autodistruttivi. Un pantano emozionale che non scuote gli spettatori, li annoia. Inoltre, pur padrona del mezzo, la giovane regista appesantisce ulteriormente il film spezzando la narrazione e il ritmo con i tipici rallentamenti alla Coppola, rendendolo così sfocato e poco fluido.
In parte si salva Palo Alto, soltanto perché autentico nelle intenzioni della promettente ma ancora acerba regista e, soprattutto, grazie alle volute atmosfere di tutti i giorni dovute, in gran parte, alla luce apparentemente naturale di Autumn Durald, bravo direttore alla fotografia.
Scritto da Vanessa Forte.
Vanessa F. | ||
5 1/2 |